Capitolo 64

Mamma urlò staccandosi con uno strattone dalla sua presa, andando a sbattere contro il basso tavolino accanto alle poltrone, il candelabro sopra di esso traballò leggermente.

«No!» esclamò risoluta, cercando di mostrare più coraggio di quanto sapevo ne avesse in quel momento.

«Non puoi comandarmi, non più. Non puoi più decidere per me. Sono una donna adulta!»

Isaac la ascoltò in silenzio, nessuno osava fiatare in quel momento.

Credo che tutti, esattamente come me, stessero cercando di capire quale sarebbe stata la mossa successiva dell’uomo.

«Tu sei e resterai sempre la stessa ragazzina svergognata e altezzosa che eri prima che ti costringessi a prendere marito, adesso farai quello che ti dico o lascerò che ci pensino loro

Così dicendo indicò con un gesto secco della testa mio padre e Leo, immobili e tesi, pronti a scattare in qualsiasi istante e ad avventarsi su di lei; anche mamma dovette accorgersi della reale situazione di pericolo in cui si trovava. Guardò i due uomini col terrore che lentamente prendeva possesso di lei, con la consapevolezza che era ancora incolume solo per la flebile protezione che suo padre aveva sempre esercitato. La gatta, aveva scoperto di essere finita nella tana dei lupi.

Isaac le si avvicinò di nuovo, afferrandola brutalmente per un braccio.

«Adesso tu verrai con me,» le ordinò brusco. «Partiremo per Londra stanotte stessa, ce ne andiamo a casa…»

Se prima mamma era apparsa terrorizzata, in quel momento qualcosa di simile all’orrore puro le si palesò sul volto, orrore misto a disgusto, misto a qualcos’altro di indecifrabile.

«No!» strillò di nuovo istericamente e, con una mossa rapida, afferrò il candelabro dietro di lei. Brandendolo alla cieca lo scagliò con tutte le sue forze sulla testa del padre che, colto alla sprovvista da quel suo gesto, non ebbe il tempo di ripararsi in tempo. L’oggetto lo prese dunque dritto in faccia, costringendolo a mollare la presa.

Trattenni il fiato, inorridita dalla visione del sangue che zampillava, mentre l’uomo cercava di tamponarlo con le mani e si accasciava al suolo. Papà lo raggiunse subito, mentre Leo si scioglieva dal nostro abbraccio per scattare in avanti e bloccare mamma, ma lei, approfittando della confusione che aveva provocato, era già corsa fuori dalla portafinestra.

Leo si affacciò sul giardino e imprecò, non riuscendo evidentemente a vedere in che direzione fosse andata con il buio che incombeva in maniera sempre più fitta, guardò verso la stanza dove papà cercava col suo fazzoletto di tamponare la grossa ferita del suocero e io che non riuscivo a muovermi, bloccata nello stesso posto in cui ero rimasta per praticamente tutta la sera, atterrita da ciò che era appena successo.

«Serve un medico!» esclamò papà sollevando gli occhi verso Lucas che si era a sua volta avvicinato per poter essere in qualche modo utile.

«Vado a chiamarlo,» dichiarò lui e uscì di corsa, lasciando che la porta sbattesse su se stessa.

«Gregory dobbiamo seguirla, non possiamo lasciare che scappi!» urlò Leo dalla soglia, visibilmente irritato e impaziente di lanciarsi all’inseguimento.

Papà voltò leggermente il capo nella sua direzione.

«Dove vuoi che vada in piena notte con l’abito che ha addosso? Non conosce questi luoghi, anche se non le andiamo subito dietro, sapremo ritrovarla molto facilmente.»

«Perché devi essere così maledettamente calmo anche in questa situazione?» inveì Leo sbattendo il palmo aperto contro il legno della porta finestra facendone tremare i vetri.

«Perché serve,» ruggì papà in risposta. Isaac, anche nella semi incoscienza causata dalla grave ferita al volto, cercava di seguire attentamente il discorso con gli occhi che si spostavano su entrambi, come del resto facevano i miei.

«Cosa vuoi fare, Leo, sentiamo? Lasciare qui un uomo ferito e Desdemona da soli – in una casa in cui ti ricordo è presente un individuo psicopatico che l’ha puntata come sua prossima vittima – per andare dietro a una pazza che non ha mai messo piede in una foresta in vita sua e che si troverà spersa nel bosco dopo i primi dieci passi?»

Leo digrignò i denti e imprecò, ma non aggiunse altro.

Attraversò a grandi falcate la stanza e si attaccò al campanello che già prima era stato usato da mio padre, tirandolo forsennatamente.

Nemmeno un minuto dopo, sentii i passi rapidi di Stevenson avvicinarsi per il corridoio e subito dopo, l’uomo entrò nella stanza, arrossato e affannato per la corsa, i segni della lotta di poco prima ancora chiaramente visibili sul suo volto.

«Che succede?» chiese, gli occhi sgranati, alla vista dell’uomo steso a terra che stava lentamente imbrattando il pavimento con il suo sangue.

«Mary è scappata.»

Stevenson si chinò per guardare l’uomo.

«Sta perdendo troppo sangue, c’è il rischio che soffochi, si capisce dov’è stato colpito?»

Papà scosse la testa.

«Ero alle sue spalle non l’ho visto, e se smettessi di premere temo che il sangue riprenderebbe a scorrere più copiosamente.»

Mi sentivo male, non per la vista del sangue, quello non era mai stato un problema, ma per quanto le cose fossero precipitate in così poco tempo. In parte condividevo la voglia di Leo di riacchiappare mia madre prima possibile, di renderla inabile a escogitare qualsiasi contromossa per vendicarsi. Vero, magari non era pratica dei boschi, ma sapeva tremendamente bene come risultare amabile quando voleva e, se disgraziatamente qualcuno avesse incrociato il suo percorso, allora sarebbe stata la fine.

Strinsi le dita attorno al mio collarino, quella solida presenza che mi era stata accanto tutta la sera, così come Leo che stava avanzando piano verso di me, gli occhi preoccupati.

«Desdemona,» mi chiamò per avere tutta la mia attenzione, «vorrei che tornassi in camera tua adesso, e che ti ci chiudessi dentro.»

Fece un cenno in direzione di Stevenson che stava parlottando a bassa voce con mio padre in merito a cosa fare per cercare almeno in parte di alleviare le sofferenze dell’uomo prima che arrivasse il medico.

«Ti accompagnerà James.»

Stevenson lanciò un’ultima occhiata al corpo di Isaac riverso a terra, poi si alzò elegantemente e si avvicinò rivolgendomi un cenno del capo.

I due uomini si studiarono quindi per un lungo istante, parlando in quel loro modo segreto che io non sarei mai riuscita a decifrare.

Alla fine, Stevenson annuì serio e Leo fece altrettanto, poi si chinò su di me, catturandomi le labbra in un bacio vorace.

Mi baciò come se fosse l’ultima volta che avrebbe potuto farlo, come se non ci saremmo mai più visti. Mi strinsi a lui mordendogli le labbra piene e succhiandogli la lingua, consumata da un bisogno dettato dall’angoscia. Fu lui a staccarsi per primo, mi guardò con un sorriso storto dipinto in volto, carezzandomi piano una guancia.

«Fa’ la brava.»

In un momento diverso mi sarebbe piaciuto scherzare con lui, ribattere che io ero sempre brava, era lui che faceva il cattivo con me, ma non era quello il luogo o il tempo adatto, ce ne sarebbero stati altri, sicuramente.

Sorrisi, annuendo piano e lasciando che Stevenson mi scortasse fuori, papà mi lanciò un’occhiata carica di mille sentimenti, mille parole che avrebbe voluto dirmi, e io cercai di sorridere anche a lui per comunicargli che avrei ascoltato ciò che aveva da dirmi, dopo che tutta quella faccenda fosse stata sistemata.

Una volta fuori, l’ultima cosa che sentii fu la voce di Leo che affermava deciso che dovevano spostare altrove il ferito, poi fummo troppo lontani per ascoltare qualsiasi altra cosa.

Stretta al braccio di Stevenson camminavo lentamente, cercando di trovare disperatamente un argomento di conversazione neutrale con cui ristabilire un contatto con quell’uomo così complesso.

«Come procede la cena?» domandai, mentre salivamo la prima rampa di scale, lui sbuffò scuotendo piano il capo.

«Dopo che siete usciti, per un po’ nessuno ha detto più niente, alla fine i gemelli hanno iniziato questo lungo soliloquio sull’importanza di lavarsi da soli i propri mutandoni. Un argomento francamente disgustoso in qualsiasi circostanza, figuriamoci durante un pasto, ma almeno ha riacceso le conversazioni.»

Nonostante tutto mi venne un po’ da ridere a immaginare qualcuno appartenente alla nobiltà che lavava da solo la propria biancheria intima.

«E voi invece?» chiese lui, mentre ormai percorrevamo il corridoio verso camera mia, «Come stava andando prima dell’incidente?»

Sospirai, sollevando gli occhi per guardarlo.

«Io… penso bene? Non saprei francamente.»

Lui rise, aprendomi la porta per farmi entrare.

«Vostra madre si è data alla fuga, direi che è andata magnificamente.»

Sorrisi, scuotendo piano il capo e in quel momento, il mio stomaco brontolò adirato. Il maggiordomo sorrise divertito prima di inchinarsi.

«Vi porto su la cena.»

Fece per uscire ma io lo bloccai sollevando rapidamente una mano.

«James.»

Lui si fermò, la porta già quasi chiusa, e mi guardò con aria interrogativa.

«Sono felice di essere un membro della tua famiglia.»

Il maggiordomo inspirò bruscamente emettendo un lungo fischio dal naso ammaccato ma non disse niente, annuì bruscamente prima di uscire chiudendo la porta.

Respirai a pieni polmoni, guardandomi lentamente attorno nella stanza illuminata solo dalla luna che filtrava dalle finestre, spossata dagli eventi della sera. Avrei tanto desiderato girare la chiave nella toppa e mettermi a dormire per svegliarmi il giorno dopo e scoprire che si era trattato solo di un tremendo incubo, invece, il mio stomaco borbottante e la mia mente in subbuglio mi ricordarono che la verità e le mie priorità erano ben altre.

Accesi le candele in tutta la stanza così da rischiararla quasi a giorno, poi, preso il candelabro che di solito tenevo sul comodino, lo spostai sul davanzale della finestra, portandomi dietro anche un libro. Non avevo la mente abbastanza rilassata per concentrarmi sulla trama, ma avevo bisogno di qualcosa da fare finché James non fosse tornato con la cena, altrimenti sarei anche potuta correre fuori per cercare Leo, nel disperato bisogno di sapere cos’aveva intenzione di fare.

Lessi giusto un paio di pagine prima di tornare a udire i passi del maggiordomo risuonare sul pianerottolo, mi alzai di scatto per andare ad aprirgli la porta e lui entrò sorreggendo il solito vassoio ricolmo di cibarie, ringraziandomi con un sorriso per il gesto.

Tornai a sedermi al tavolino, lasciando che apparecchiasse e mi servisse come sempre. Tagliai un pezzo di salsiccia arrosto e me la infilai in bocca osservando l’uomo che stava silenzioso al mio fianco.

«Ci sono novità?» chiesi, sperando che scendendo fosse anche stato in grado di carpire qualche informazione. Lui sollevò gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un sospiro carico di esasperazione.

«Leo nella sua infinita stupidità, dopo aver aiutato tuo padre a spostare Thornberry ha deciso di partire all’inseguimento di Mary. Adesso Gregory sta aspettando che Lucas torni, poi anche loro seguiranno quell’incosciente… se per allora non sarà già tornato.»

Deglutii il boccone che avevo in bocca, improvvisamente diventato gustoso come una manciata di terriccio.

«Dov’è andato? Di notte da solo nei boschi,» esclamai, preoccupata che potesse succedergli qualcosa, anche se di fatto, l’unico pericolo era proprio tra quelle mura a quanto pareva.

James mi guardò con l’espressione di chi capiva bene i miei crucci e li condivideva.

«È impossibile ragionarci quando si è messo in testa qualcosa, e lui si era messo in testa che doveva inseguirla e riportarla qui trascinandola per i capelli.»

Guardai il piatto, tremendamente agitata nel sapere che Leo era là fuori da qualche parte.

«Ma Jeremy e Martin sono andati con lui?» domandai, tuttavia il maggiordomo scosse energicamente la testa.

«No, per il momento non potevamo portare via anche loro dalla cena, sarebbe stato troppo sospetto, e poi Leo conosce bene questi luoghi, a differenza di tua madre.»

Ne ero consapevole, pur tuttavia quello sgradevole terrore non voleva lasciarmi andare, non voleva darmi pace. A livello logico c’erano tutti i presupposti per credere che Leo sarebbe tornato nel giro di qualche minuto e, proprio come aveva detto, portandosi dietro mia madre trascinata per i capelli, ma la parte irrazionale di me continuava a graffiarmi a sangue dall’interno, urlando che qualcosa sarebbe andato male, provocandomi un dolore fisico quasi insopportabile.

«Desdemona.» James si accucciò vicino alla mia sedia, poggiandomi delicatamente una mano sulla gamba. «Vedrai, non succederà niente, ci ha comunque detto che sarebbe andato verso casa dei Kerr, quindi, se serve sapremo dove ritrovarlo. Appena arriva il dottore andremo anche noi e li riporteremo entrambi qua.»

Annuii strizzando forte gli occhi.

Sì, aveva ragione, sarebbe andato tutto bene, Leo era Leo, non avevo motivo di preoccuparmi. Il problema era la mia mente, sempre troppo infida per riuscire a tenerla del tutto sotto controllo.

Finii lentamente il mio pasto, più per mettere a tacere il mio stomaco che per altri motivi, ogni boccone mi sembrava come masticare sabbia, poiché ero concentrata ad immaginare mille scenari tragici.

James si congedò quasi controvoglia, visibilmente dubbioso a lasciarmi da sola.

«Starò bene,» mormorai, indicandogli il libro che avevo lasciato sul davanzale accanto al candelabro, «leggerò un po’ e poi mi metterò sotto le coperte, vai pure.»

James si mosse a disagio sulla porta, i bicchieri che tintinnavano sul vassoio ora mezzo vuoto.

«Faccio venire su Abigail o Julie? Per aiutarti col vestito.»

In realtà sapevo che me lo stava chiedendo per non lasciarmi da sola con la mia mente, cosa di cui gli fui enormemente grata, quindi annuii.

«Tra un’ora o due magari,» sospirai carezzando l’abito e sentendo sotto le dita le piccole protuberanze delle gemme, «mi piacerebbe indossarlo per un altro po’.»

E, magari, più tempo le ragazze stavano di sotto, più informazioni avrebbero potuto comunicarmi una volta salite in camera.

James annuì congedandosi con un inchino e con un’altra frase di rassicurazione di cui, di nuovo, fui molto grata.

Uscito lui, chiusi finalmente a chiave la porta, tirando un sospiro di sollievo misto a sconforto. Avevo bisogno di sapere e allo stesso tempo, forse non sapendo avrei trascorso meglio quelle ore di incertezza.

Isaac sarebbe sopravvissuto? Quanto era grave la sua ferita? Mamma quanto lontana era riuscita a scappare? Leo sarebbe riuscito ad acciuffarla prima che potesse incontrare qualcuno disposto ad aiutarla?

Mi lasciai cadere sulla sedia poggiando la fronte sul freddo piano lucido del tavolo e chiudendo gli occhi. Mi chiesi come vivessero le persone normali, quali fossero i loro drammi, magari sarebbe stato bello per una volta andare a letto con, ad esempio, la preoccupazione di non sapere quale colore scegliere per la carta da parati.

 

Dovetti essermi appisolata in quella posizione, perché improvvisamente sentii la bussata tipica di Julie fuori dalla porta. Sbattei le palpebre, confusa, risollevandomi e provando a compiere qualche movimento per capire quanto fossi rimasta addormentata dal livello di indolenzimento delle mie ossa, ma il dolore era molto lieve e, anche le candele attorno a me non sembravano eccessivamente consumate. Quanto potevo essere rimasta assopita? Mi ero davvero addormentata? Possibile che fossi stata così persa nei miei pensieri da non aver sentito arrivare la ragazza?

Seguirono altri colpi alla porta.

«Julie?» chiamai, una lieve nota di dubbio insinuata nella voce. Dall’altra parte della porta regnò il silenzio per un lunghissimo, inquietantissimo istante.

«Sì, signorina.» La voce allegra di Julie risuonò chiara e cristallina anche attraverso la porta chiusa. «Sono venuta per aiutarla col vestito.» Tacque, ma poi, vedendo che io non accennavo ad aprirle la porta, continuò. «Ho anche delle novità da raccontarle, su Leo.»

Scattai in piedi, così rapidamente da far quasi cadere la sedia all’indietro. Mi avvicinai cautamente alla porta cercando di fare meno rumore possibile. La brutta sensazione che avevo avuto prima, si stava intensificando enormemente, urlandomi di tenermi ben lontana dalla porta e di non aprirla per nessun motivo.

Ma quella era Julie, giusto? Allora perché il suo tono così tanto allegro mi destava un così forte sospetto? Non l’avevo mai sentita così, che fosse successo qualcosa di bello?

«Dov’è Abigail?» chiesi, con la mano sulla maniglia della porta, di nuovo, occorse qualche secondo prima che la voce dietro la porta mi rispondesse.

«Di sotto, ora che la cena è terminata sta aiutando Lewis con i piatti, volete che scenda a chiamarla?»

Mi sembrava una risposta sensata ma c’era ugualmente qualcosa che stonava in quella situazione. Eppure, in quel momento, pensai che forse ero solo io a essere eccessivamente sospettosa e sul chi vive. Si erano verificate alcune strane coincidenze e io subito ero pronta a puntare il dito verso una persona che invece si era sempre mostrata carina e disponibile, ero veramente orribile.

«No, non serve,» asserii, girando la chiave nella porta, aprendola.

Venni accolta dal volto bagnato di lacrime di Julie, la luce delle candele della mia stanza le faceva brillare, gli occhi umidi come piccole monete.

«Mi dispiace,» gemette disperata e il mio primo pensiero andò a Leo. Mi immobilizzai, la mano stretta attorno alla maniglia, un lungo brivido gelido che mi scendeva lentamente lungo la schiena. «Ho dovuto farlo,» continuò lei con tono implorante, senza smettere mai di guardarmi, «per Abigail.»

Non capii, non capii finché la lama affilata di un coltello non sbucò oltre l’angolo buio della porta, puntando dritto contro la sua gola.

Spalancai gli occhi, la bocca socchiusa in un urlo muto, col cuore che batteva forsennatamente nel petto.

«Abigail è morta,» ridacchiò la duchessa di Cavendish, «e voi la seguirete presto,» concluse, incidendo rapida la pelle tenera di Julie, tagliandole la gola.


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Commenti

  1. Della contessa non mi sono mai fidata. Sapevo che nascondesse qualcosa!

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