Capitolo 65
Arretrai inorridita, la mente totalmente annebbiata dalla paura. Non riuscivo a fare altro se non fissare senza veramente vedere gli occhi della povera Julie, ora completamente dilatati, così colmi di dolore, sofferenza, rimorso ma soprattutto paura. La ragazza si teneva una mano stretta attorno alla gola cercando di fermare, invano, la copiosa fuoriuscita di sangue. La duchessa la spinse in avanti con una risata perfida e lei cadde in ginocchio davanti a me emettendo un gorgoglio strozzato.
Annaspai
guardando il sangue scivolare rapido sullo scuro vestito della ragazza e
formare una pozza attorno a lei, macchiando tappeto e pavimento.
«La
morte è sempre un evento molto affascinante, vero?»
Incapace
di emettere un qualsiasi suono, guardai la donna che stava lentamente avanzando
nella mia stanza. Una parte della mia mente notò che si era cambiata, non
indossava più il bellissimo abito che aveva durante la cena, ma una semplice
camicia abbinata a dei pesanti pantaloni da cavallerizza, con stivali scuri.
Anche i lunghi capelli erano stati raccolti accuratamente in un’acconciatura
molto più pratica, una semplice coda senza fronzoli. Negli occhi, quella strana
luce che già altre volte avevo notato, brillava con così tanta forza che mi
atterrì. Sorrise sollevando il lungo coltello che aveva usato per sgozzare
Julie poi, senza mai distogliere lo sguardo, si chinò per pulirne la lama su un
lembo del vestito di Julie non ancora intriso di sangue.
La
ragazza aveva perso ogni colore, anche i suoi capelli un tempo di un
meraviglioso rosso, ormai sembravano essere in qualche modo sbiaditi, senza più
forze, si accasciò al suolo, la mano ancora debolmente premuta contro la gola
lacerata, le tracce umide delle lacrime sulle guance.
«Pensava
davvero che l’avrei lasciata in vita dopo quello che aveva visto.» Rise
scuotendo la testa e sollevandosi. «Che stupida.»
In quel
momento, come un lampo, mi tornarono in mente tutte le volte in cui avevo
parlato degli omicidi, dell’assassino, in presenza di Julie, e di come lei
fosse sempre apparsa rigida, estremamente titubante a parlarne… perché sapeva.
Guardai
ancora una volta il corpo ormai privo di vita della ragazza a terra, pensai ad
Abigail chissà dove, anche lei esanime, le lacrime bruciavano nei miei occhi.
Stevenson aveva avuto ragione allora, c’era sempre stato un traditore tra di
loro.
«Perché?»
gemetti disperata, verso un corpo che ormai di risposte non avrebbe più potuto
darmene, invece la mia domanda venne colta dall’unica altra persona della
stanza.
«“Perché”
cosa, Desdemona? Perché stai per morire? O perché ci siamo ritrovati in questa
situazione? Sii più precisa per cortesia.»
Sbattei
le palpebre, distogliendo lo sguardo dal cadavere e portandolo sulla donna che
era arrivata di fronte a me con il coltello perfettamente pulito, la cui lama
scintillava alle luci del candelabro nella sua mano sinistra.
«Direi
entrambe le cose,» ribattei, cercando di guadagnare tempo per capire come fare
per uscire da quella stanza e correre a cercare aiuto al piano di sotto,
sicuramente se mi fossi messa a urlare, vicine com’eravamo lei si sarebbe
scagliata su di me facendomi fare la stessa fine di Julie e Abigail in meno di
un secondo. Dovevo trovare il modo di allontanarla dalla porta o di distrarla
quanto bastava per poter scattare in avanti e coglierla di sorpresa, così da scansarla
senza che potesse farmi nulla. O morire provandoci. Deglutii e il piccolo pezzo
di ferro premuto contro il mio collo mi diede una lieve stilla di coraggio.
Sì,
dovevo farcela, dovevo. Per Leo.
La donna
sorrise muovendo piano il coltello davanti alla faccia.
«Mi hai
rovinato i piani già una volta, perché dovrei rischiare di rovinare tutto di
nuovo perdendomi in chiacchiere?»
L’espressione
sul suo volto divenne feroce, la presa sul coltello più salda e io annaspai
quando la vidi avanzare con l’arma sollevata verso di me. Avevo sentito dire
che negli attimi precedenti alla morte, le persone vedevano passarsi davanti
agli occhi tutta la loro vita, e per me, in quegli istanti, fu esattamente
così: vidi ciò che per me rappresentava la mia vita, vidi Leo. E l’idea che
quella donna cercasse di strapparmi alla mia felicità dopo tanti anni di
ingiuste sofferenze, che cercasse di portarmi via all’uomo che amavo per chissà
quale motivo, accese una rabbia cieca dentro di me.
Urlai
tutta la frustrazione che avevo nel corpo e, senza riflettere, sollevai il
pugno, abbattendolo con tutta la forza che avevo dritto sulla faccia della
donna, proprio mentre lei iniziava a far calare la lama sul mio petto.
Sentii
un dolore bruciante alla spalla e alla mano destra ma strinsi i denti, la donna
imprecò come non avevo mai sentito fare nemmeno a Leo, e arretrò, lasciando la
presa sul pugnale che, mal conficcato nella mia carne, cadde a terra con un
tonfo attutito dal tappeto. Rapida, mi chinai a raccoglierlo, puntandolo contro
la duchessa e reggendolo con entrambe le mani, col terrore che potesse tornare
a scagliarsi di nuovo contro di me per strapparmelo via.
La donna
mi studiò attentamente, le mani ancora premute contro il naso, il suo salto all’indietro
doveva essere stato causato più dalla sorpresa di vedermi reagire che dal vero
dolore, perché non mi sembrava di vedere sangue sgorgarle dalle narici, solo un
piccolo spacco sul labbro superiore di un vivido rosso. Peccato.
«E
adesso,» mi squadrò con una lunga occhiata beffarda, «cos’hai intenzione di
fare? Dartela a gambe come tuo solito?» mi derise, e io sentii il sangue
andarmi alla testa, avrei voluto scagliarmi su di lei e farle rimpiangere
quelle parole ma mi morsi le labbra, tacendo.
Anche se
ero riuscita a impadronirmi dell’arma, lei sicuramente era più allenata di me e
ormai consapevole di non dovermi più sottovalutare. Poteva scattare in
qualsiasi momento e riprenderselo, concludendo ciò che aveva iniziato. Dovevo
solo sperare che qualcuno avesse sentito il mio urlo e, nel frattempo,
continuare a tenere la mente vigile e la guardia alta.
«Ora,»
dissi a denti stretti cercando di ignorare il lancinante dolore alla spalla,
«parliamo.»
La donna
si profuse in un inchino canzonatorio.
«Come
desidera, milady.» facendosi di nuovo beffe di me, poi, come se nulla fosse
successo, come se non ci fosse un cadavere dissanguato ai nostri piedi, come se
non fosse in gioco la vita di nessuno, si voltò dandomi le spalle per andare a
sedersi al mio tavolino e accavallò le lunghe gambe, facendomi segno di
raggiungerla. C’era qualcosa che però stonava totalmente nel suo comportamento,
qualcosa che ancora non riuscivo bene a comprendere, come se la sua intera
personalità, il suo modo di camminare, di parlare fosse in qualche modo
cambiato improvvisamente.
Quel suo
strano comportamento era qualcosa che avevo già notato in precedenza, così come
quella strana luce che le conferiva un’aura così inquietante. Forse, sarei
finalmente riuscita a capire cosa celasse quella donna dietro quel suo strano
sguardo.
Sebbene
dubitassi fortemente che fosse una buona idea, mi avvicinai alla sedia libera,
continuando a tenere il pugnale puntato contro di lei. Lo afferrai saldamente
con la destra, nonostante il dolore terribile che sentivo, e lo appoggiai sul
davanzale della finestra, così che potesse sempre vederlo senza però poterlo
raggiungerlo se non allungandosi sul tavolo.
La donna
seguì attentamente i miei movimenti, cercando evidentemente il momento più
adatto per agire, ma quando anche io mi fui seduta, la presa saldamente stretta
attorno all’impugnatura, riportò gli occhi nei miei, sorridendomi
maliziosamente.
«Perché
tutto questo, Elisabeth?»
Le
parole uscirono quasi come una supplica disperata dalle mie labbra, come se una
parte del mio cervello ancora sperasse di trovare una logica in quanto accaduto,
sperasse ancora di risvegliarsi da quell’incubo. La donna corrucciò la fronte e
le labbra, apparentemente disgustata.
«Sam.»
Toccò a me corrucciare la fronte, confusa. Lei sorrise, indicandosi lentamente
con un dito dalla corta unghia perfettamente curata.
«Io sono
Sam, Elisabeth sta dormendo.»
Mentre
la mia mente cercava di elaborare l’informazione, i miei occhi agirono
d’impulso, abbassandosi all’altezza del suo petto ove però era evidente il
rigonfiamento del seno, seppur costretto dentro la camicia maschile. Non poteva
trattarsi di gemelli, quella che avevo davanti era senza dubbio Elisabeth.
«Sai,»
esclamò lei picchiettandosi il dito su una tempia, «posso quasi sentire gli
ingranaggi che girano in quella tua testolina.»
Scoppiò
a ridere davanti alla mia evidente confusione.
«Tranquilla,»
continuò agitando la mano, «quasi nessuno riesce mai a capirci.»
Nonostante
tutto, la mia intelligenza si sentì punta sul vivo e decisi, impulsivamente, di
dare fiato all’unica soluzione che ero, seppur inconsciamente, riuscita a
elaborare.
«Tu ed
Elisabeth condividete lo stesso corpo, ma non siete la stessa persona.»
Era
pazzia pura, eppure aveva anche senso. Ripensando a quegli strani sguardi, a
quel suo muoversi in modo così… poco suo.
Per
quanto folle potesse sembrare, quell’idea che mi era baluginata in testa quasi
all’improvviso, poteva avere un senso.
Oppure,
avevo davanti solo una donna molto malata.
Lei – o
meglio lui, se volevo assecondare quella pazzia – mi squadrò sorpreso e
confuso, approfittai di quell’istante per porre nuovamente la mia domanda.
«Perché
hai fatto tutto questo, Sam?»
Sbatté
lentamente le palpebre, sembrava sempre più confuso dal mio atteggiamento,
tuttavia dischiuse leggermente le labbra e parlò quasi sovrappensiero.
«Elisabeth
è nata e cresciuta qui,» indicò con un gesto vago della mano la finestra, gli
occhi sempre fissi su di me, sembrava quasi alla ricerca di qualcosa sul mio
volto, «suo padre avrebbe ovviamente voluto un figlio maschio,» sollevò con
noncuranza le spalle, come se quella premessa non gli interessasse poi molto,
«dopo la sua nascita, però, sfortunatamente sua madre non riuscì più a dare
alla luce nessun figlio.» Tacque un istante, distogliendo finalmente lo sguardo
dal mio volto per osservare il tavolino tra di noi, il volto serio.
«Suo
padre desiderava così tanto un figlio che per buona parte della sua vita, la
trattò esattamente come se lo fosse stata.» Tornò a guardarmi con un sorriso
lieve a increspargli le labbra, «le insegnò a cavalcare come un uomo, a sparare.
Infatti la portava con lui a caccia insegnandole a seguire le prede, a seguire
le tracce, stare sottovento per poterle cogliere di sorpresa.» I suoi occhi si
riempirono di lacrime lievi mentre indicava con un cenno del capo il coltello
che tenevo stretto in pugno. «Quello è stato il suo ultimo regalo.»
Voltò di
scatto la testa verso la finestra, guardando le scure fronde degli alberi fuori
dalla mia finestra. «Elisabeth amava suo padre, era il suo mondo. Pur di compiacerlo
era diventata un’altra e, ingenuamente, pensava che il sentimento fosse
ricambiato. Che lui la amasse con altrettanta forza e fosse disposto ad
affrontare qualsiasi cosa, per lei. Ma quando osò aprirsi sul serio,
confessargli ciò che nascondeva nell’animo, la cacciò via.»
Il suo
volto si contrasse dal disgusto, ma continuò a tenere lo sguardo fisso fuori
dalla finestra, guardando le scure fronde degli alberi fuori dalla mia
finestra.
«Elisabeth
gli confessò col cuore in mano che si era innamorata di una ragazza e lui la
fece rinchiudere in manicomio.» Rise, un suono cupo e distorto.
In quel
momento mi accorsi che conoscevo già quella risata, proprio quella sera durante
la cena. Già in quell’occasione mi era sembrata strana, assolutamente diversa
da quella che avevo udito durante il ballo così limpida e melodiosa, quella
invece, era bassa e snaturata, non sembrava nemmeno un suono umano. Adesso,
sapevo perché fosse stata così diversa e non potei impedirmi di rabbrividire,
la pelle d’oca su tutto il corpo.
Sam mi
scoccò un’occhiata gelida, i suoi occhi scivolarono per un istante sul pugnale
che cercavo di tenere stretto nel pugno, nonostante il dolore che iniziava a
intorpidirmi le dita e il freddo gelido che dalla ferita alla spalla, stava
iniziando a serpeggiarmi in tutto il corpo.
«È stato
lì, tra le mura di quell’inferno, che sono nato,» sbuffò, scuotendo la testa,
«tu non puoi nemmeno immaginare come fosse vivere tra quelle mura, le cose che
le hanno fatto… che ci hanno fatto…» la sua voce si spense, i suoi occhi si
scurirono improvvisamente, mentre i ricordi gli invadevano la mente.
Riflettei
se non fosse un momento buono per scappare verso la porta e cercare aiuto, tuttavia
la voglia, il bisogno, di trovare delle risposte mi costrinse a rimanere
saldamente ferma al mio posto.
Sam
scosse la testa, ritornando a focalizzarsi su di me.
«Non
importa quel che è stato,» esclamò con voce dura, «importa che sono nato per un
motivo: tenerci fuori da quell’inferno. E lo farò, a qualsiasi costo.»
«E
uccidere ragazze innocenti sarebbe il tuo modo per restare fuori dal
manicomio?»
Lui parve sinceramente stupito dalla mia domanda.
«Certo,
grazie a me Elisabeth è riuscita a uscire da quella prigione, il padre è
tornato a volerle bene, le ha anche combinato un buon matrimonio,» sventolò con
noncuranza una mano in aria, «quel vecchio bavoso era terribile, ma almeno è
stato facile sbarazzarcene e trarne tutti i vantaggi possibili.» Batté con
forza la mano sul tavolo, facendomi sussultare e rinforzare la presa sul
coltello. «Il problema, piccola Desdemona, erano le altre donne.»
Tornò a
indicarsi, una vena che pulsava frenetica sulla sua fronte, indice della rabbia
che ribolliva sotto la superficie. «Io l’ho fatta uscire da quell’inferno, io
mi sono comportato da persona retta e miracolosamente guarita, io le ho fatto
riallacciare i rapporti con quel padre tanto amato, ma lei… lei, continua a
guardare le altre donne, a desiderarle, continua a illudersi di poter vivere
un’esistenza normale con una di loro.» Sbatté entrambi i pugni sul tavolo, con
tale rabbia da costringermi a indietreggiare sulla sedia e afferrare il
coltello con entrambe le mani, il dolore alla mano che diventava sempre più
persistente e il freddo sempre più pungente.
«Noi non
possiamo permetterci di tornare là dentro. Io non posso permettere che accada.»
Deglutii,
tremando per il freddo che stava iniziando a penetrarmi fin dentro le ossa.
«Hai
ucciso tutte quelle ragazze… perché Elisabeth le desiderava?»
Sam
sollevò di nuovo con noncuranza le spalle.
«Erano
dolci, piccole fanciulle e Elisabeth ne era affascinata, io però sapevo bene
cosa sarebbero diventate, dovevo agire prima di vederle trasformarsi in
tentazioni troppo grandi. Prima che riuscissero a convincerla a tornare nel
baratro,» si passò una mano candida sul volto strofinandosi gli occhi
arrossati. «Erano tutte così carine, così gentili... ma non potevo fare
eccezioni, nemmeno una. Io non voglio tornare là dentro.»
Il suo
tono si era fatto quasi lamentoso, come se fosse sul punto di piangere, in quel
momento non ero più sicura che fosse ancora Sam a parlare.
«Non
volevo ucciderle, ma avevo fame, capisci? Dovevamo averle e allo stesso tempo
toglierle dalla circolazione così che non potessero più tornare a tormentarci.»
Si prese il volto tra le mani, sembrava stesse succedendo qualcosa nella sua
testa, qualcosa che non potevo capire e, forse, non ne sarei mai stata in
grado.
«Sam—»
nonostante tutto, quel nome mi uscì con una nota dolce dalle labbra, non
riuscivo a non provavo un lieve senso di dispiacere per quello che aveva subito
quella donna, per ciò che le avevano fatto, per quello che era – erano –
diventati.
«No!» scattò
lui, sbattendo il palmo aperto sulla superficie del tavolino e indicandomi con
un lungo indice, «non osare parlarmi con quel tono dolce, come se fossi
dispiaciuta per me, come se mi capissi! Non fare come Beatrice.»
Una
specie di lampo sembrò attraversargli il volto, spalancò gli occhi e sbiancò,
fissandomi come se quella fosse la prima volta che mi vedesse sul serio.
Deglutii
dolorosamente, il mio cervello che lavorava forsennatamente nel disperato
tentativo di capire cosa stesse succedendo e, soprattutto, come poterne uscire
viva.
«Beatrice…»
mormorò, ma non sembrava più parlare con me. Fissava l’angolo del tavolino, gli
occhi ancora sbarrati. «Pensava di poterci amare, pensava di riuscire a
capirci.» Rise amaramente, gli occhi lucidi. «La mia piccola sciocca Beatrice,
ho dovuto mostrare al mondo quanto si sbagliasse, quanto fosse sbagliata e
marcia dentro.»
La sua
voce si era fatta più roca, leggermente incrinata e, in un istante, le lacrime fecero
capolino da quegli occhi iniettati di sangue. Quel volto esprimeva un dolore
che entrava in netto contrasto con le sue parole, capii che nemmeno lui credeva
sul serio a quanto aveva appena detto. Capii che Beatrice era diversa da tutte
le altre.
La prima
vittima.
Sam – o
forse Elisabeth? – continuò a piangere in silenzio e io approfittai di quel
piccolo momento di calma per allentare brevemente la presa sul pugnale e
guardarmi la mano, il pollice era gonfio e mi pulsava incredibilmente. Lanciai
una rapida occhiata anche alla spalla, ma il sangue che ne era sgorgato,
macchiandomi tutto il petto e il vestito, mi rendeva difficile capire dove mi
avesse colpita. Tornai ad afferrare saldamente il pugnale e a concentrarmi su
di lui proprio nel momento in cui i suoi occhi lucidi e arrossati si puntavano
di nuovo su di me.
«Non
volevo farle male, sapevo che doveva starmi lontana, io… ho provato a salvarla
ma lei insisteva e io avevo sempre più fame.» Tirò su col naso guardando fuori
dalla finestra. «La amavo, la amavo ma, Dio, quanto la odiavo. Era così marcia,
così impura, e ci ha trascinati di nuovo in quell’oscuro abisso dal quale
eravamo usciti così faticosamente! Doveva essere punita.» Rise guardandomi,
mentre grosse lacrime riprendevano a rigarle il volto.
Se prima
avessi avuto dei dubbi sulla doppia personalità di Elisabeth, in quel momento
ogni incertezza sparì come neve al sole. Quei suoi discorsi, così tanto in
contrasto con le emozioni sul suo volto, così contraddittori, sembravano uscire
da bocche e menti completamente diverse che però, per un crudele gioco del
destino, si erano ritrovate a convivere nello stesso corpo, perennemente in
lotta per la supremazia.
«E io?»
chiesi con un filo di voce, non osando interrompere il contatto visivo.
Sam
sbuffò, sistemandosi meglio sulla sedia.
«Tua
madre ti vuole morta e, vedi, nonostante tutte le recenti rimostranze di
Elisabeth, io voglio tua madre.» Lo disse con tono piatto, quasi la cosa non
gli importasse poi molto. Sospirò, tornando a guardare fuori, ora
tranquillamente adagiato sulla sedia. «Mary non ha impiegato molto a capire la
verità, così come del resto noi a capirla su di lei. Ed è riuscita ad
ammaliarci, si è offerta a noi in cambio di questo favore: se ti uccido potrò
farle qualsiasi cosa, non mi importa se Elisabeth pensa che assomigli a
Beatrice, io devo smettere di sentire tutta questa fame, non ne posso più.» Seguì
un altro sospiro.
Stranamente,
l’idea che mia madre avesse ideato quel piano suicida pur di vedermi morta non
mi colpì come avrebbe dovuto, forse anche a causa del dolore e della
spossatezza che iniziavano a ottenebrarmi la mente.
«Questa
è follia,» esclamai debolmente, i tremori che ormai squassavano il mio corpo
sempre più debole. «Credi davvero che mia madre avrebbe tenuto fede alla parola
data? Fidati, non la conosci per niente!»
Sam
sollevò le spalle, come se la cosa non lo riguardasse.
«Nemmeno
tu, a quanto pare, conoscevi Julie molto bene.» Indicò la figura riversa a
terra e io mi rifiutai di spostare lo sguardo. «Ma non sentirti in colpa per
questo, quella ragazzina stava solo cercando di proteggere chi amava.» Storse la
bocca come se non riuscisse a capire il perché Julie si fosse spinta a tanto. «Vedi,
sfortunatamente, colto da un lampo di frenesia non mi sono accorto della sua
presenza e la piccola mi ha visto in un momento compromettente, quindi ho
dovuto metterla a tacere. L’avrei uccisa sul posto, ma sapevo che la scomparsa
di una complice di Fortescue avrebbe destato troppi sospetti, quindi l’ho
dovuta minacciare. Le dissi che se mi avesse smascherato io sarei sparito, non
mi avrebbero più trovato e che quando meno se lo sarebbe aspettato, ci fossero
voluti anche anni, sarei tornato per uccidere lei e qualsiasi persona cara
avesse avuto attorno… e lei ci ha creduto!» gettò la testa all’indietro e rise
sguaiatamente, io di rimando storsi la bocca disgustata. «Sapevo però che era
solo questione di tempo prima che vuotasse il sacco, quindi quando tua madre mi
ha proposto quell’accordo, ho pensato che potesse rivelarsi comunque utile,
avrei potuto sbarazzarmi di più sassolini nello stivale contemporaneamente. Oh,
vedere la disperazione su suo volto quando le ho mentito sulla morte della sua
amatissima Abigail… ah, è stata la ciliegina sulla torta.»
Rimasi
muta, attonita da quel racconto mentre il sollievo al pensiero che Abigail
stesse bene mi invadeva, ma anche più devastata all’idea che Julie fosse morta
portandosi dietro quella bugia ad appesantirle il cuore. Di colpo, il volto
della duchessa si fece paurosamente inespressivo, i nostri occhi rimasero uniti
per secondi che a me parvero lunghi una vita.
«Anche
Beatrice ci guardava a quel modo, quando la deludevamo, hai degli occhi così
simili ai suoi…» si fermò di nuovo, corrucciandosi lievemente, come se solo in
quel momento si fosse ricordato di qualcosa di fondamentale. «Tutte prima o poi
mi guardano terrorizzate, disgustate, arrabbiate. Solo Beatrice continuava a
sorridermi con amore anche mentre la uccidevo,» mormorò, la voce sempre più
debole, mi fissò dritta in volto, accigliato. «Perché, proprio tu, dovevi
somigliarle così tanto?» sembrava pensieroso, come corroso da un dubbio atroce,
vidi di nuovo quella specie di lampo attraversargli lo sguardo, il volto
perdere quel poco di colorito che aveva riguadagnato, e la sua fronte corrugarsi,
forse sotto il peso di un pensiero quasi insostenibile. «Proprio tu, tra tutte.»
C’era dolore nella sua voce, ma anche rassegnazione.
Non
appena provai ad aprire bocca per chiedergli spiegazioni, Sam si scagliò
rapidamente contro di me.
Ero
molto debole e stanca, ma vederlo muoversi mi diede una scossa tale che riuscii
comunque a sollevarmi in piedi e a rivolgergli contro il coltello prima che lui
potesse raggiungerlo. Si bloccò a un soffio da me, un mezzo sorriso dipinto in
volto.
«Pensi
di esserne capace?» domandò, ma non sentii la derisione nel suo tono, c’era
qualcosa di diverso, e in un attimo di fredda lucidità, il mio cervello mi
suggerì che quella davanti a me, in realtà, era Elisabeth.
Afferrai
meglio il coltello con entrambe le mani, allentando un po’ la presa sulla mano
dolorante.
«Poco fa
non credevi che fossi capace nemmeno di tirarti un cazzotto,» ribattei, usando
il suo stesso tono. Lei assottigliò lo sguardo e avanzò di un passo, così
facendo il coltello si trovò puntato proprio contro suo stomaco.
«Un
pugno che ti è costato un pollice e chissà quanto sangue, però, adesso sei
debole e se volessi potrei strapparti via questa lama con una mano sola.» Ci
tenne a farmelo notare, rivelando anche si era resa perfettamente conto, da
brava cacciatrice quale era, delle mie debolezze.
Allargai
meglio i piedi per mantenere salda la mia posizione e mi aggrappai a quel
coltello, perché da ciò dipendeva la mia vita.
«Provaci,»
la sfidai, risoluta come mai prima di quel momento, il cuore che mi pompava nel
petto così forte da assordarmi.
Ci
fissammo immobili e in quegli istanti, lessi tutto un mondo di emozioni
riflessi negli occhi della donna. Vidi il dolore, la solitudine, la paura. Percepii
la sua lotta interna, Sam che cercava nuovamente di uscire per porre fine a
quello scontro, vidi il sudore della sua fronte mentre si sforzava di mantenere
il controllo sul proprio corpo.
Mi
sorrise in modo quasi dolce, poi, mosse il busto in avanti, come per scattare
verso di me e attaccarmi. Reagendo d’istinto, gli conficcai con tutta la forza
che avevo il coltello nell’addome. La sensazione della carne che si lacerava al
mio affondo fu qualcosa che non avrei mai potuto dimenticare, la sensazione
delle mani sporche di sangue, il sapere che avevo appena ferito mortalmente
qualcuno.
Sgranai
gli occhi fissando la ferita su quella camicia linda che si stava macchiando
inesorabilmente di rosso, il pugnale conficcato in profondità rendeva l’immagine
ancora più macabra.
«Non ci
eravamo sbagliati,» biascicò esaminando la ferita, come se fosse solo un
graffio, poi spostò un’ultima volta i suoi occhi su di me e per un piccolissimo
frangente, sembrò quasi… orgogliosa. «Sei più coraggiosa di quel che sembra,
sei proprio come la mia Beatrice.» Cadde in ginocchio, toccandosi la camicia
con mani tremanti, si portò le dita sporche davanti al viso e sorrise, un
sorriso caldo e lo sguardo sognante come se quella vista riportasse alla mente
il più dolce dei ricordi.
D’impulso,
mi inginocchiai accanto a lei, la donna mi guardò per un istante, un sorriso
sereno le illuminò il volto, non l’avevo mai vista sorridere così. La mano
tremante e sporca di sangue si sporse debolmente verso di me, carezzandomi una
guancia.
«Beatrice—»
Il suo
corpo esanime cadde a terra prima che potesse concludere la frase.
---
Wowwwww! Un capitolo mozzafiato! Però, povera duchessa, dopotutto, era solo malata 😔
RispondiEliminaOra aspetto Leo 😂😂
Aw <3 grazie mille <3 spero davvero che il twist sia stato all'altezza!
Elimina