Capitolo 49
Mi
scostai dal calore del suo corpo sollevandomi sui gomiti per osservarlo meglio.
«Cosa?»
esclamai, sconvolta e incredula che tra tutte le cose avesse deciso di
chiedermi proprio quella. Lui mi fissò, quel sorriso maligno ancora ad
aleggiargli sul volto.
«Credo
sia l’unica situazione che possa sottoporti a un livello di stress tale da
farti perdere il controllo, dopotutto sono le due cose che temi di più,
giusto?» inclinò lievemente la testa di lato e il suo occhio percorse
lentamente i lineamenti del mio volto. Per un istante ebbi la sensazione che
fosse in grado di vederci perfettamente anche in quella semi oscurità. «Hai
paura di tua madre e sei atterrita all’idea che il mondo esterno venga a sapere
di noi, quindi mi sembra una cosa sensata da chiederti per metterti alla
prova.»
Mi
sollevai a sedere sulle ginocchia, strofinandomi le mani sul volto per
accertarmi che niente di ciò che stava succedendo fosse frutto della mia mente
ancora addormentata.
«Ma
non credi che sapendo ciò che sta per succedere, io in qualche modo possa
controllarmi meglio?» domandai, cercando di trovare una qualche logica in quel
folle piano autodistruttivo. «Dopotutto io in nessun caso sapevo cosa sarebbe
successo e ho, appunto, reagito istintivamente. Così invece saprei a cosa vado
incontro.»
Lui
mosse lentamente il capo annuendo.
«Hai
ragione,» concesse, «ma sapresti solo il fattore scatenante, per così dire, non
le conseguenze.» Sollevò una mano per prendere una ciocca dei miei capelli tra
le dita e girarla, osservandola attentamente. «Non sapresti come potrebbe
reagire tua madre, quello che potrebbe dire o cercare di fare, né quello che
potrei dire o fare io.»
«Ma
Leo!» cercai di farlo ragionare, disperata, gettandomi su di lui, così che i
nostri corpi tornassero ad aderire, le sue mani scesero ad afferrarmi
saldamente i fianchi per far sì che mi sistemassi in modo da aderire
completamente con lui.
«Come
può importarti così poco di questa cosa? Dovrei dire a mia madre di noi?
Potrebbe finire malissimo! Chi ti assicura che non lo dica a nessuno, che non
faccia la spia? Cosa ti dà tutta questa sicurezza?»
Le
sue labbra scesero sulle mie, togliendomi il fiato. Per quanto adorassi essere
baciata, in quel momento avevo così tanta paura di quello che poteva succedere
che non riuscii a farmi coinvolgere per niente e, quando si staccò, ero ancora
molto turbata.
«So
che vuoi che sia sincero con te,» ansimò contro le mie labbra, «e lo sarò, ti
giuro che dopo questa volta lo sarò sempre, ma per adesso te lo chiedo non come
tuo Signore, ma come l’uomo che ti venera come una Dea: fidati.»
Trattenni
il respiro, i miei occhi fissi nel suo. Fidarsi di lui in quel momento
significava mettergli davvero tra le mani tutto il nostro futuro. Potevamo
finire tutti rovinati se lui commetteva un singolo passo falso ma, riflettei,
per un assassino l’accusa di incesto doveva essere l’ultimo dei suoi problemi.
Alla
fine mugolai un consenso e mi rannicchiai sul suo torace, spaventata dal futuro
che si prospettava dinnanzi a noi.
«Sai,»
mormorai per cercare di cambiare discorso, «è curioso che tu mi paragoni a una
Dea, perché ogni tanto guardandoti mi sembra di avere davanti Ade.»
Lui
ridacchiò baciandomi la sommità del capo.
«Il
Dio re degli Inferi che si innamora e rapisce sua nipote? Ha spaventosamente
senso in effetti.» Leo si mosse sotto di me, facendomi cadere sul letto, poi,
mi montò sopra, sollevandosi sulle mani per osservarmi dall’alto.
«Mia
piccola Persefone,» sussurrò, il suo occhio che brillava come ossidiana pura,
«ora che ti ho catturata non ti lascerò andare via mai più.»
Poi
calò su di me, vorace come il leone che era, tornando ad assaltarmi la bocca
sensibile. Mugolai felice e gli infilai timidamente le braccia sotto la
camicia, per cercare di toccargli la pelle nuda al di sotto. Lo sentii
ridacchiare nel bacio e poi scostarsi, giusto il tempo per sfilarsi malamente
l’indumento dal collo e tornare su di me.
Soddisfatta,
lasciai vagare libere le mie dita su quella carne tesa e bollente, sfiorando i
capezzoli già duri. Allargai inconsciamente le gambe, sentendo la sua erezione
di nuovo dura strusciare sulla mia entrata, al di sopra della stoffa della
camicia da notte.
«Dolce
Persefone,» mormorò contro la mia gola, succhiandola e leccandola tanto forte
che ero certa, avrebbe lasciato il segno, «vieni.»
Mi
incitò scostandosi da me, sollevandosi a sedere sui talloni e porgendomi una
mano per farmi alzare. Senza nemmeno pensarci, mi sporsi per afferrarla e mi
feci tirare in ginocchio sul letto, il mio volto a un soffio dal suo ampio
petto, istintivamente mi allungai per affondarci il volto e depositare un bacio
sul pettorale dove sapevo si trovava il tatuaggio anche se facevo molta fatica
a distinguerlo, lo sentii lasciarsi sfuggire un grugnito e sorrisi timidamente.
«Che
ragazzina vogliosa,» mi rinfacciò bonariamente chinandosi per sfilarmi di dosso
la camiciola e lasciandomi completamente nuda.
«Disse
il pervertito.»
Lui
sgranò tantissimo l’occhio sano mentre io cercavo in tutti i modi di fingere
serietà ma, quando scoppiò a ridere, cedetti anche io. Ci trovammo a doverci
aggrappare l’uno all’altra per non rotolare giù dal letto.
«Oh,
piccola, non ti merito,» dichiarò chinandosi per prendere in bocca uno dei miei
capezzoli e succhiarlo brevemente, lasciandolo poi andare subito dopo,
producendo un suono deliziosamente osceno; ancora chino all’altezza del mio
seno il suo occhio si sollevò su di me, serio, «ma sono troppo egoista per
lasciarti andare via.»
Tremai
per l’intensità che percepii in quella frase e sentii il sangue affluirmi alle
guance così rapidamente da farmi quasi venire un capogiro. Leo si spostò sul
letto, mettendosi a sedere sul bordo appoggiando i piedi per terra, poi mi fece
segno di raggiungerlo.
Frastornata,
mi mossi verso di lui e le sue mani mi circondarono subito i fianchi, per
posizionarmi esattamente come lui voleva. Lo lasciai fare, assecondando i suoi
movimenti, finché alla fine non mi trovai seduta a cavalcioni sulle sue cosce,
voltata però di spalle rispetto a lui. La mia schiena strusciava contro il suo
petto e sentivo i suoi capezzoli sfregarmi sulla pelle sensibile della
cicatrice a ogni più piccolo movimento.
Era
una posizione strana, non vedevo altro se non la stanza buia davanti a me e
avvertivo la sua presenza sotto e dietro di me, ma in qualche modo era anche
tremendamente eccitante.
«Ti
ricordi cosa fare, vero?» la sua voce era un roco gemito vicino al mio
orecchio, annuii allungando la mano sotto di me per andare a cercare la sua
erezione. Quando la afferrai, entrambi rabbrividimmo e quando lo guidai dentro
di me gememmo all’unisono.
Mossi
il bacino scivolando piano sul suo membro finché non fu completamente dentro di
me e, in quell’istante, una sua mano si posizionò sul mio stomaco, l’altra mi
strattonò rudemente i capelli all’indietro.
«Tieniti,»
ordinò e, senza altro preavviso, si alzò in piedi. Spaventata, allungai le mani
all’indietro per aggrapparmi a lui ed evitare di cadere, ma già da solo era
perfettamente in grado di sorreggermi.
Sollevata
com’ero, sentivo ancora più intensamente la sua presenza dentro di me e la
presa sui capelli mi facevano pizzicare tutta la nuca, in quel modo doloroso
eppure piacevole.
Il
mio Signore camminò finché non raggiungemmo la sponda del letto e ad ogni passo
sentivo sempre più a fondo la sua erezione, quel corpo estraneo tuttavia così
familiare, così duro e bollente che mi attraversava trafiggendomi e
sorreggendomi allo stesso tempo. Affondai le unghie nella carne dei suoi
avambracci, l’unica cosa che ero riuscita a raggiungere, e gemetti spalancando
la bocca.
«Afferra
la colonna,» ordinò ancora, quando fummo arrivati e io, obbediente, staccai
titubante le mani dal lui per avvinghiarmi saldamente al pilone di legno che
avevo davanti agli occhi. A quel punto la mano che reggeva i capelli mi lasciò
andare, scendendo invece ad afferrarmi una coscia per sollevarla e spalancarla
meglio, subito dopo fece lo stesso anche con l’altra mano e io mi ritrovai
quindi in bilico, sollevata dal pavimento solo grazie alla forza delle mie
braccia e a quella del mio Signore che mi teneva sollevata e allargata.
«Reggiti,»
mi ordinò nuovamente e io mi avvinghiai a quella colonna quasi ne andasse della
mia vita, lui apparentemente soddisfatto, iniziò a martellare rapido e violento
dentro di me, facendomi ondeggiare con la testa spaventosamente vicina al
legno. In quella posizione era libero di raggiungere il punto più profondo
della mia femminilità e di farmi letteralmente perdere la testa.
«Signore,»
ansimai, sentendo le braccia deboli, «non riesco…»
Le
sue mani si mossero per farmi avvinghiare le gambe attorno alla sua vita, poi
di nuovo, tornò ad afferrarmi per i capelli, tirandomi indietro rudemente.
Mollai la presa alla colonna e una sua mano si serrò attorno al mio seno mentre
l’altra scese per andare a massaggiare le pieghe della mia carne.
Non
aspettandomi quel doppio assalto alla mia femminilità, gemetti gettando il capo
all’indietro, poggiandolo sulla sua spalla e voltandolo appena, alla ricerca
delle sue labbra piene da poter succhiare.
Il
mio Signore mi accontentò mentre continuava ad affondare nel mio corpo meno
profondamente a causa del cambio di posizione, ma sempre riuscendo a muoversi
in modo tale da farmi vedere le stelle.
Le
sue dita si torsero attorno al duro nodulo di carne che avevo tra le cosce e io
urlai estasiata interrompendo il bacio e stringendomi attorno alla sua erezione
pulsante, venendo con impeto così forte da rimanerne stordita per diversi
istanti. Si mosse ancora per qualche secondo dentro di me, poi anche lui venne
con un grugnito animalesco.
Tremante,
mossi una mano per carezzargli debolmente una guancia, l’unico modo che avevo
in quel momento per comunicargli i miei sentimenti; lui mi baciò dolcemente la
tempia e, cautamente, mi sollevò e voltò tra le braccia così da farmi tornare
ad assumere una posizione meno scomoda.
Ci
sorridemmo senza dire niente, non ce n’era bisogno. Dopo che Leo mi ebbe
aiutata a indossare la camicia da notte – perché dopotutto ero ancora
convalescente – tornammo a stenderci sul letto, addormentandoci l’uno tra le
braccia dell’altra.
Il
giorno dopo, Julie e Abigail portarono tutto l’occorrente per prepararmi in
camera di Leo e mi aiutarono a vestirmi. Quando la ragazza bionda entrò con uno
dei miei vestiti tra le mani, si bloccò guardandomi, poi, appoggiato il vestito
su una sedia lì vicino, venne verso di me che stavo ancora seduta sul bordo del
letto vicino a Leo e inaspettatamente mi gettò le braccia al collo
abbracciandomi.
«Lo
prenderemo,» dichiarò decisa al mio orecchio e io annuii, se c’era una cosa di
cui in quel momento mi sentivo assolutamente certa, era che tra di loro ero al
sicuro. Grazie a Leo e, forse, a qualcosa che avevano visto dentro di me, mi
avevano inclusa nella loro famiglia e io ne ero onorata. Ripromisi a me stessa
che avrei cercato di superare il mio imbarazzo, ancora in parte presente, per
stringere un legame ancora più forte con quelle persone così tanto care a Leo e
a lui così tanto affezionate.
La
ragazza si staccò da me con gli occhi lievemente lucidi e mi sorrise incerta.
«Siete
davvero sicura che... il nostro passato non vi importi?»
Guardai
Julie dietro di lei che stava sistemando le spazzole e le forcine sulla
scrivania di Leo, che intanto, in religioso silenzio, finiva di vestirsi
accanto a noi.
«A
te importa sapere che dormo con mio zio?»
Abigail
sussultò sgranando gli occhi, dietro di lei sentii Leo sbuffare divertito
mentre continuava a vestirsi.
«Cielo,
no!» esclamò, quasi disgustata alla sola idea che potessi pensare una cosa
simile. «Perché dovrei?»
Scrollai
le spalle, divertita. «Vedi? È la stessa cosa.»
Mi
lanciò uno sguardo ancora in parte scettico, sicuramente nella sua testa non
erano esattamente le stesse cose, però avevo evidentemente dimostrato
abbastanza il mio punto per quel giorno, perché scrollò le spalle e assentendo
piano, mi sorrise con calore tornando a essere la Abigail di sempre.
Leo,
una volta terminato di vestirsi, ci lasciò depositandomi un bacio tra i capelli
e intimandomi di non stancarmi troppo quel giorno con gli incontri degli
ospiti. Dovetti mordermi la lingua a causa della presenza delle ragazze per non
rispondergli che a stancarmi ci aveva già pensato lui la notte prima, ma da
come mi guardò con quel suo sguardo sornione e il mezzo sorrisetto sulle
labbra, seppi che aveva capito benissimo a cosa stessi pensando.
Quando
se ne fu andato, le ragazze iniziarono a prepararmi in silenzio, ma gli
avvenimenti della sera prima erano troppo importanti, troppo assordanti dal
momento che Leo non era più presente nella stanza. Non potevo lasciar correre.
«Posso
farvi una domanda?» iniziai guardandole a turno, mentre Julie mi porgeva gli
occhiali che aveva evidentemente recuperato da camera mia. Le ragazze si
scambiarono un’occhiata veloce e poi annuirono all’unisono.
«Da
quello che ho capito,» iniziai guardandole a turno, «voi siete venuti qui in
Inghilterra per cambiare vita, ma anche per… indagare sugli omicidi di quelle
ragazze, giusto?»
Julie
si incupì, lanciando un’occhiata ad Abigail che rispose per entrambe.
«Sì,
parliamo comunque di fatti avvenuti quasi due anni fa. Venne uccisa una
ragazza, non era certo la prima a cadere vittima di quel folle, ma
sfortunatamente per lui, fu la prima con dei genitori che decisero di agire,
anziché limitarsi a piangere la sua scomparsa, genitori che sapevano chi
contattare.»
«Mio
nonno,» mormorai, iniziando a ricollegare i piccoli tasselli nella mia mente,
«perché il padre della ragazza aveva lavorato per lui.»
Abigail
annuì, seria.
«Vostro
nonno però, ormai da tempo non si occupava più di quel tipo di affari, quindi
passò la richiesta all’attuale capo, ovvero vostro padre; il quale dopo aver
svolto le sue indagini scoprì che, appunto, non si trattava solo
dell’assassinio di una povera ragazza, ma che ce n’erano state altre prima di
lei e che quasi sicuramente non si sarebbe fermato in futuro. Capendo la
gravità della cosa mandò quindi a chiamare vostro zio.»
Che
era così tornato in Inghilterra, interrompendo la nostra corrispondenza, ma con
la promessa di tornare presto da me.
Solo che allora non avevo idea che intendesse nel vero senso della parola.
«Lui,
ovviamente,» continuò la ragazza mentre si adoperava per rifare il letto, «vide
in quella richiesta una doppia occasione, scovare un assassino e tornare in
Inghilterra per potervi finalmente incontrare.» Si fermò con un cuscino in mano,
sorridendomi dolcemente. «Dovevate vederlo, era così felice di sapere che
sarebbe tornato qui, che finalmente vi avrebbe vista, lo abbiamo deriso per
settimane.»
Julie
ridacchiò, tornando con la mente a quei momenti, io sbattei le palpebre,
spostando lo sguardo tra di loro.
«Quindi
voi…» chiesi lentamente, «sapevate già di me?»
Abigail
sorrise annuendo piano.
«Certo,»
rispose sprimacciando uno dei guanciali, «non avete idea del cambiamento che
siete riuscita a provocare in Leo. Le vostre lettere erano attese da tutti
quanti noi perché dopo averle lette, diventava un’altra persona…» la sua faccia
sorrise felice, «lui è diverso quando sta con voi, è così sereno e rilassato…» la
voce le morì in gola, rimase in silenzio qualche istante, gli occhi fissi
davanti a sé con la mente lontana, poi scrollò il capo e tornò a guardarmi,
come se niente fosse accaduto. «Comunque,» riprese tornando a sorridere, «siamo
fedeli a Leo e quando lui ci ha comunicato la sua intenzione di tornare, lo
abbiamo seguito perché sapevamo che avrebbe avuto bisogno di noi, perché non
volevamo perdere il nostro capo e inoltre, l’abbiamo fatto perché niente ci
tratteneva in America, nessuno di noi aveva una famiglia lì, se non quella che
ci eravamo costruiti… assieme.» Si avvicinò facendomi l’occhiolino. «E poi
eravamo tutti curiosi di conoscervi.»
Julie
rise di nuovo e io mi sentii avvampare, chinai il capo stringendomi le mani in
grembo mentre le ragazze finivano di fare il loro lavoro.
«Spero
di non aver deluso le aspettative,» mi azzardai a dire debolmente, osservandole
da sotto in su. Le ragazze sorrisero scuotendo la testa.
«Siete
più minuscola di quanto ci fossimo immaginati,» esclamò Julie divertita, «ma
per il resto non avete deluso le aspettative proprio di nessuno.»
«Beh,»
intervenne Abigail sporgendosi platealmente a fissare il mio petto, «Julie,
amica mia, lasciatelo dire, credo tu abbia bisogno di farti controllare la
vista, perché da qui non mi sembra poi tanto minuscola.»
Strinsi
le labbra per non scoppiare a ridere e arrossii terribilmente, mentre le due
ragazze si prendevano bonariamente gioco di me.
Era
così facile, così naturale stare in loro compagnia che ogni altro problema
sembrava volare via oltre la finestra, così lontano e così piccolo che perdeva
di ogni significato.
«Grazie
ragazze,» bisbigliai mentre Julie finiva di acconciarmi i capelli. Guardai
fuori dalla finestra il cielo limpido e le fronde del bosco ondeggiare
placidamente e quei problemi che prima sembravano così lontani tornarono
prepotentemente a investirmi.
«Le
ragazze,» iniziai, continuando a tenere lo sguardo puntato sul bosco,
«cos’altro sapete su di loro? Su questa storia?»
Julie
sospirò mestamente e gli occhi di Abigail si incupirono.
«Questi
omicidi vanno avanti da anni,» mormorò la bionda spostando anch’ella lo sguardo
oltre la vetrata, «stando alle informazioni che abbiamo raccolto, è sempre
stato molto meticoloso, non ha mai ucciso più di una o due ragazze nell’arco
dello stesso anno, senza contare che erano tutte molto giovani…» la sua fronte
si corrucciò leggermente, «in effetti, se dovesse avervi davvero presa di mira,
voi sareste, per età, la più grande tra le sue vittime.»
D’istinto,
sollevai una mano fino a toccarmi il collo nudo, desiderando ardentemente
sentirvi ancora la presenza della collana di Leo.
«E
la ragazza,» domandai con un filo di voce, «quella che ha dato inizio a tutto
questo…»
Abigail
tornò a voltarsi verso di me, un sorriso triste dipinto in volto.
«Lei
aveva appena sedici anni, per i suoi genitori era un piccolo miracolo, perché
l’avevano avuta inaspettatamente e in tarda età.»
Julie
finito di acconciarmi, si spostò per potersi mettere accanto a Abigail.
«Non
è che la amassero più degli altri figli,» continuò al posto della bionda, «solo
che per loro era… speciale.» Indicò con un gesto del capo il bosco che Abigail
stava ancora guardando torvamente.
«A
quanto pareva alla ragazza piaceva andare a rinfrescarsi al ruscello vicino
casa quando faceva molto caldo… e un giorno, semplicemente, non fece più
ritorno.»
Abigail
serrò i pugni digrignando i denti, la rabbia che trasudava da ogni suo
movimento.
«Fu
sua madre a ritrovarla in quello stato atroce e da quel momento non fu la
stessa persona.»
Aggrottai
la fronte, un pizzicore sgradevole che iniziava a percorrermi la nuca, l’ombra
di un sospetto che prendeva lentamente consapevolezza dentro di me.
«Quella
ragazza era…»
Abigail
si voltò verso di me, gli occhi scintillanti di lacrime.
«La
figlia di Prudence e Bob Patrick.»
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Un capitolo bellissimo. Ne vedremo delle belle, mi sa e non vedo l'ora di vedere la madre di Desdemona andare in escandescenze! Secondo me, l'assassino è lei, ce la vedo proprio! 😂😂😂
RispondiEliminaAhahah il momento della verità sta arrivando! 🤣🤣 Spero davvero che alla fine ti piaccia!
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