Capitolo 21
“Vivo attendendo tue notizie. Ogni ora delle
mie interminabili giornate
la passo aspettando e sperando di veder
giungere una tua lettera.”
“Bene. Deve essere così,
voglio occupare ogni tuo pensiero,
conscio e inconscio, così
che non avrai il tempo né
la voglia di pensare a
nient’altro o nessun altro.”
La
prima cosa che percepii svegliandomi fu il caldo bozzolo in cui ero racchiusa.
Mugolai felice mentre prendevo lentamente coscienza del petto forte premuto
contro la mia schiena, del braccio mollemente adagiato sotto il mio seno che mi
teneva saldamente al mio posto e della gamba che copriva le mie
possessivamente. Sorrisi felice voltandomi con cautela per cercare di non
svegliarlo e poter ammirare così il suo volto addormentato.
Leo
riposava sereno, la barba quella mattina si era allungata un altro po’
arrivando quasi a nascondere quelle sue labbra piene e perfette. Sperai che se
la sistemasse un po’, perché per quanto lo trovassi affascinante con la barba
folta e selvaggia, non volevo privarmi della vista di quelle labbra così
peccaminose che sapevano come farmi urlare. Arrossii ricordando gli eventi
della notte passata e provai a muovere cautamente il sedere, sfregarlo contro
la stoffa mi provocò un lieve formicolio lì dove Leo mi aveva colpita, ma
niente che a un primo esame sembrasse così grave, ero solo un po’ indolenzita,
piacevolmente indolenzita. Mi sporsi per affondare il viso nel suo petto caldo
e inspirare il suo odore, era così bello riaverlo con me e poter stare tra le
sue braccia. La cosa mi esaltava e terrorizzava insieme, la mia dipendenza da
Leo era cresciuta esponenzialmente e in pochissimo tempo, tanto che la sua
assenza per poco più di un giorno e mezzo mi aveva resa inerme. Cosa sarebbe
successo se avesse deciso di partire? Di tornare là in America, dove aveva probabilmente
una casa e degli amici? Non poteva chiedermi di riprendere la nostra
corrispondenza, non avrei potuto farlo, non quando avevo avuto un assaggio di
come fosse nella realtà. Ma d’altra parte che scelta avevamo? Per quanto lo
desiderassi, non avrebbe mai potuto sposarmi e per quanto lui dicesse di tenere
a me, per quanto fossi importante per lui, agli occhi del mondo ero comunque
sua nipote e questo non sarebbe mai cambiato. L’unico modo per rimanere al
sicuro era dividerci, perché sapevo che presto o tardi qualcuno avrebbe
scoperto il nostro segreto, ma se in quel caso fossi stata costretta a
separarmi da lui, con ogni probabilità, mi sarei lasciata morire nel giro di
una settimana.
«Fai
troppi pensieri cupi di prima mattina,» borbottò Leo aprendo leggermente un
occhio e guardandomi ancora mezzo addormentato. Lo fissai accigliata mentre lui
si girava sulla schiena e sbadigliava, stiracchiandosi.
«Come
fai a sapere a cosa stavo pensando?»
Per
tutta risposta mi lanciò un’occhiata di traverso e mi trascinò su di lui,
finché non gli montai a cavalcioni sopra, comodamente sdraiata sul suo petto.
«Sentivo
i piccoli ingranaggi della tua mente lavorare freneticamente anche mentre
dormivo,» spiegò battendomi piano l’indice della mano destra sulla tempia,
«succede sempre quando stai pensando a cose brutte.»
Ero
sempre più perplessa e lui ridacchiò, sollevando il capo per darmi un bacio
sulla punta del naso.
«Anche
gli uomini hanno i loro segreti,» disse citando la frase che gli avevo rivolto
la sera prima, riuscendo così a strapparmi un piccolo sorriso.
Lui
mi accarezzò i capelli con entrambe le mani, facendoci scorrere lentamente le
dita attraverso. Mugolai tirando un po’ indietro la testa per assecondare le
sue dolci carezze.
«Come
ti senti stamani?» mi domandò. Lo sguardo improvvisamente serio e attento,
pronto a catturare ogni mia più piccola reazione. Sorrisi, tornando a muovere
il bacino con più decisione, per testare nuovamente quanto fossi dolorante.
Provai ancora solo un lieve formicolio e un po’ di bruciore, ma niente di così
grave che potesse impedirmi di camminare o sedermi normalmente.
«Sto
bene.» Annuii felice, ma lui non sembrava starmi a sentire. Aveva buttato la
testa all’indietro sul cuscino e le carezze sul mio capo si erano fermate.
«Dio,
bimba, cos’hai fatto.»
Non
capivo cos’avesse scatenato in lui quella reazione, non finché, alzandomi appena
sulle braccia e scivolando un po’ indietro, sentii qualcosa di duro battermi
sulle natiche.
Oh.
Mossi
di nuovo il bacino e lui gemette rumorosamente.
«Per
il tuo bene, piccola,» mormorò a denti stretti, lanciandomi un’occhiata di
sbieco, «ti consiglio di smetterla.»
Sorrisi
vedendolo lottare per mantenere un minimo di autocontrollo, le labbra serrate,
le mani chiuse che tremavano.
«Fare
cosa?» chiesi ingenuamente. «Questo?» E mossi ancora il sedere, strusciandomi
lentamente contro il suo inguine.
Lui
ringhiò feroce e con un colpo di reni mi ribaltò sul letto, coprendomi con
tutto il corpo e bloccando ogni mio movimento.
«Non
devi stuzzicare il can che dorme,» sibilò afferrandomi con forza il mento e
facendo scontrare le nostre bocche in un bacio che non aveva niente di dolce o
delicato. La sua lingua entrò con irruenza dentro la mia bocca, mi costrinse a
tirare fuori la mia, così da poterla succhiare tra le sue labbra, mi morse e
graffiò con la barba, lasciandomi addosso ogni possibile segno della sua
passione.
La
mia mente fluttuava felice, immersa in quel caldo bacio umido, le mani tenute
immobilizzate sopra la testa e le gambe aperte, per permettergli di sistemarsi
meglio, così da poter essere ancora più connessi.
I
suoi fianchi iniziarono a strusciare con fervore sopra il mio inguine, la sua
erezione costretta nei pantaloni a contatto con la mia carne madida e bollente.
Ansimai nel bacio, disperata e bisognosa, muovendo a scatti il bacino per
andare incontro a quelle spinte, desiderando avere di più, ma non volle
accontentarmi. Continuò a sfregarsi, a portarmi lentamente alla disperazione
mentre lui banchettava come più desiderava del mio corpo senza che io potessi –
o volessi – impedirglielo. Con uno strattone mi strappò la camicia da notte,
esponendo il seno all’aria fresca della stanza, all’istante, calò rapace su uno
dei capezzoli, prendendolo in bocca e succhiandolo quasi dolorosamente. Gemetti
sentendo la carne tenera del mio seno venire compressa all’interno di quella
bocca calda e umida, percependo la lingua giocare crudelmente col mio capezzolo
duro e sensibile.
«Leo,
ti prego…» mormorai ansante, spingendomi contro di lui, bisognosa di cavalcare
nuovamente quell’ondata di piacere che avevo provato la sera prima, bisognosa
di sentire finalmente la sua presenza dentro di me. Lui sollevò lo sguardo,
ancora attaccato al mio seno, ed evidentemente qualcosa nel mio parve
convincerlo, perché si staccò con un po’ di riluttanza dal mio petto e,
lentamente, iniziò a sollevarmi la camicia da notte. Tremai, gli occhi
incollati sulla sua mano che si spostava piano sulle mie gambe, scoprendole
sempre di più. Alzai il bacino per far passare meglio la stoffa sotto di me e,
di nuovo, mi trovai esposta totalmente alla sua vista. A differenza della notte
precedente ero immersa nella piena luce del mattino, per quello il tutto risultava
ancora più imbarazzante, ma il modo in cui Leo mi stava guardando, il modo in
cui lo sentii gemere, offuscarono gran parte di quella vergogna. Vidi che
tornava a chinarsi su di me.
«Sei
sicura, bimba?» disse fissandomi attento e serio, la voce appena un sussurro.
«Dopo questo non si può tornare indietro, lo sai.»
Lo
sapevo bene, ma sapevo anche che inconsciamente, avevo già preso quella
decisione molti anni prima, nel momento esatto in cui avevo risposto alla sua
prima lettera. Non c’era modo per me di avere una vita normale, non dopo quelle
lettere, non dopo Leo. Anche se ci fossimo fermati, anche se lui se ne fosse
andato e io non fossi morta di dolore, la mia vita non sarebbe mai più stata la
stessa, perché apparteneva a lui e solo lui avrebbe potuto renderla completa e
felice.
Annuii
seria, muovendo le mani per liberarle dalla sua presa e sollevarle piano per
potergli carezzare il volto. «Sono tua, Leo.»
Ringhiò
chinandosi per unire nuovamente le nostre bocche, lo strinsi a me afferrandolo
per la collottola, costringendolo ancora più vicino. Le nostre lingue si
cercarono, si scontrarono e si accarezzarono, prima nella mia bocca poi,
timidamente, fui io a entrare nella sua, esplorandola curiosa con quel muscolo
umido così ricettivo. Esattamente come aveva fatto lui, gli presi un labbro tra
i miei e lo succhiai con gusto, sentendolo gemere e ammirando con orgoglio come
rimaneva rosso e gonfio dopo il mio assalto. Anche io, pensai soddisfatta,
stavo lasciando i miei piccoli segni su di lui. I miei capezzoli duri
sfregavano dolorosamente contro la stoffa della sua camicia, mandandomi
scariche di piacere lungo tutto il corpo, unendosi a quelle che provenivano dal
mio inguine che non aveva smesso un attimo di muoversi, frizionandosi assieme a
quello di Leo, in una danza sensuale e sconcia che stava per diventarlo ancora
di più.
Lui
si staccò da me e mi sorrise, aveva gli occhi completamente neri per la
lussuria e le labbra gonfie e rosse per i baci che ci eravamo scambiati.
Adoravo vederlo in quello stato e adoravo soprattutto sapere che ero stata io a
ridurlo in quel modo. Sicuramente, constatai, anche io non dovevo essere messa
meglio.
Lo
osservai alzarsi con lentezza per guadarmi dall’alto, rimanendo in equilibrio
sulle ginocchia. Le sue mani arrivarono alla vita, e io deglutii, una punta di
nervosismo che si affacciava alla mia mente. La scacciai via con prepotenza,
non avevo motivo di essere nervosa, ero con Leo, lui si sarebbe preso cura di
me ora e per sempre. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di farmi del
male.
Lo
osservai aprirsi i pantaloni e tirare fuori la sua erezione congestionata, la
guardai con meraviglia. Era la prima volta che la vedevo e sentii crescere in
me il desiderio di osservarla meglio, di studiarne attentamente ogni venatura,
ogni increspatura della carne, avrei voluto avvicinarmi e toccarla, annusarla,
magari leccarla per scoprire che sapore avesse, esattamente come aveva fatto
lui con me. Invece rimasi immobile, impossibilitata a fare altro che non fosse
ammirarla in silenzio, mentre si sistemava meglio tra le mie gambe.
«Piccola,»
la voce di Leo mi riscosse da quello stato di trance in cui apparentemente ero
caduta, sollevai lo sguardo e tornai a posarlo su di lui, che mi sorrise
tornando a chinarsi su di me, a coprire il mio corpo con il suo, «rilassati,
sono qui.»
Annuii,
circondandogli il collo con le braccia e aggrappandomi alla sua schiena. Era
lui, aspettavo quel momento da anni, sarebbe andato tutto bene.
Avvertii
la punta del suo membro farsi lentamente strada dentro di me e mi tesi, non
aspettandomi affatto quel tipo di sensazione così estranea. Lui si fermò e
sorrise, le sue braccia mi circondarono e il suo capo si fece più vicino.
«Tranquilla,
lasciami entrare.»
Dovevo
rilassarmi, lo sapevo, altrimenti sarebbe stato doloroso per entrambi, quindi
cercai di concentrarmi su altre cose, sulla sua presenza così calda e
confortevole, sul suo fiato dolce che mi lambiva il collo, le sue mani che mi
carezzavano dolcemente.
Quello
era Leo, era il mio Signore. Dovevo solo ascoltare ciò che mi diceva e sarebbe
andato tutto bene.
Rilassai
i muscoli e gli permisi di affondare ancora, il bruciore fu tremendo, quasi
peggio della sculacciata della sera prima. Piantai con forza le unghie nella
sua schiena ma tentai di rimanere il più rilassata possibile per facilitargli
l’accesso.
L’avanzata
del suo membro si fermò quando toccò qualcosa dentro di me, il simbolo della
mia verginità ancora intatta. Leo si sollevò per scrutarmi con attenzione,
serio ma ansante per lo sforzo che stava compiendo.
«Pronta,
bimba?»
Inspirai
profondamente e assentii, cercando di sorridergli nonostante tutto, lui mi
guardò dolcemente poi, senza alcun preavviso, mosse di scatto il bacino,
entrando in me in un unico affondo, deflorandomi, rompendo per sempre quel
sigillo di purezza che mi aveva accompagnata fino a quel momento. Ansimai
chiudendo gli occhi e spingendo ancora di più le unghie nella sua schiena,
cercando di sopportare il dolore e il bruciore estremo causato da quella sua
brusca penetrazione.
Leo
mi baciò una tempia, immobile, totalmente seppellito nel mio corpo. Sentivo la
sua erezione pulsare, o forse ero io a farlo, ancora intenta ad assestarmi
attorno a quell’intruso e a quel nuovo cambiamento.
«Ora
passa, tranquilla,» mi bisbigliò a un orecchio e io annuii, serrando
convulsamente le gambe attorno al suo bacino per tenermi aggrappata a lui in
ogni modo possibile, così che potesse tenermi mentre il dolore cercava di
portarmi via.
Rimanemmo
fermi per minuti interi, io aggrappata disperatamente a lui e Leo che mi teneva
dolcemente stretta a sé, giocando col mio seno sensibile per cercare di
distrarmi dal dolore pulsante che sentivo tra le gambe.
Tornò
a succhiare avidamente i miei capezzoli, strizzandoli e mordendoli piano,
strusciandoci sopra il viso così da far sfregare la barba sulla mia pelle.
«Adoro
il tuo seno.»
Lo
sentii gemere piano, mentre ci affondava il viso ancora una volta, mordendo un
capezzolo e torcendo l’altro. Urlai, stringendo i muscoli del mio inguine
istintivamente e rendendomi conto, sorpresa, che non mi faceva più così male
come prima. Sentivo ancora un lieve fastidio, ma il tutto grazie alle carezze
di Leo si stava rapidamente trasformando in quell’eccitazione e desiderio che
conoscevo bene.
Lui
mugolò e sollevò lo sguardo, gli occhi offuscati dal desiderio, sentivo la sua
erezione, se possibile, farsi ancora più grossa dentro di me e mi trovai anche
io a gemere, sempre più bagnata tra le gambe.
Leo
mosse piano il bacino, tenendo gli occhi fissi su di me, per scovare possibili
smorfie di dolore. Non ce ne furono.
Sentirlo
muoversi fu strano ma bellissimo in egual misura, i suoi affondi iniziarono
lenti e dolci, per poi diventare sempre più duri, sempre più rapidi, sempre più
feroci. Il suo bacino sbatteva furiosamente contro il mio inguine e il suo
membro mi apriva, andando a toccare, sfregando, sbattendo contro le mie pareti
interne, provocandomi gemiti e brividi di puro piacere.
Strinsi
la presa delle gambe per tirarlo più vicino, per sentirlo andare più in
profondità e lui mi accontentò, si chinò per afferrarmi meglio per le spalle e
iniziò a spingere forsennatamente contro di me.
Io
urlai inarcandomi e aggrappandomi disperata alla sua schiena, per tenermi
stretta a lui, mentre l’orgasmo montava ferocemente.
Lui
sorrise guardandomi, il suo volto era sudato per lo sforzo e le vene del suo
collo erano in tensione mentre si spingeva nel mio fulcro. Non l’avevo mai
visto così, non era mai stato così bello. Si chinò per leccarmi le labbra e i
suoi occhi, neri come l’inferno, si puntarono dritti nei miei.
«Vieni
per me, bambina,» bisbigliò afferrandomi forte un seno e stringendolo, «voglio
sentirti venire attorno al mio cazzo.»
Bastò
quello per spingermi oltre il limite. Con un lungo gemito gettai la testa
all’indietro e venni, stringendomi convulsamente a lui e intorno a lui. Cavalcò
il mio orgasmo, continuando a spingere e facendo sì che il mio piacere si
prolungasse fino all’estremo, poi, con un grugnito animalesco, lo sentii
liberarsi dentro di me.
Fu
magnifico osservarlo raggiungere l’orgasmo, vedere il suo corpo tendersi, i
suoi occhi fissarsi nei miei e riempirmi del suo seme.
Crollammo
esausti tra le coperte, entrambi troppo occupati a riprendere fiato per
muoverci o parlare, sentivo ancora il suo membro seppellito nel mio canale e
quello che inizialmente mi era parso quasi come uno sgradito intruso, potevo
considerarlo quasi un’altra parte di me. Ecco perché, quando lo sentii uscire,
fu come se venisse portato via un pezzo del mio stesso corpo.
«Piccola,»
mi chiamò Leo, sistemandosi meglio al mio fianco e tirandomi a sé per potermi
guardare meglio, «come ti senti?»
Sorrisi
appoggiandomi sul suo petto, ansimando piano.
«Poco
fa, quando ho cercato di rispondere a questa stessa domanda, siamo finiti a
fare questo, quindi non so quanto mi convenga risponderti.»
Lui
rise, passandomi una mano tra i capelli e avvicinandosi per potermi baciare la
fronte.
«Hai
ragione, ma stavolta prometto di fare il bravo. Dimmi come ti senti.»
Provai
a chiudere piano le gambe e sentii i muscoli dolermi per lo sforzo di tenermi
avvinghiata a Leo.
Sentivo
il mio canale pulsare e bruciare, ero gonfia e bagnata, forse avrei avuto
qualche fastidio a muovermi quel giorno, ma sicuramente sarebbe stata poca
cosa.
«Credo
sia tutto nella norma…» iniziai guardandolo, «mi sento un po’ acciaccata e
gonfia.»
Lui
mormorò qualcosa che non capii e mi tirò a sé, baciandomi delicatamente. Gli
gettai le braccia al collo, felice oltre ogni dire che finalmente, finalmente, ci eravamo uniti. Una
piccola parte della mia mente cercava di rovinare il momento, ricordandomi che
rischiavo di essere rimasta incinta, ma la scacciai, troppo felice dello
sviluppo degli eventi per curarmene e poi, se anche da lì a qualche settimana avessi
avuto in grembo il figlio di Leo, sarei stata la donna più felice del mondo.
Una
mano di Leo scese tra le mie gambe, toccando piano la mia apertura e io tremai,
sentendolo carezzare piano le pieghe gonfie della mia femminilità.
«Dio,»
gemette facendomi allargare meglio le cosce per poter toccare più liberamente,
«sei davvero gonfia… e bagnata,»
ringhiò eccitato e mi infilò piano un dito dentro, io sussultai stringendomi
attorno a quel nuovo intruso e aggrappandomi alle sue spalle.
«Sei
così calda,» mi sussurrò all’orecchio, prendendo il lobo tra i denti e
succhiandolo piano, «non vedo l’ora di rifarlo ancora, e ancora, e ancora.»
Probabilmente
se non fossi stata così esausta dal primo orgasmo, ne avrei avuto
istantaneamente un secondo, invece mi limitai a gemere, spingendomi verso quel
dito e sperando che il mio corpo si riprendesse in fretta.
Una
bussata piuttosto forte rimbombò per tutta la stanza, spaventandomi e facendomi
sobbalzare.
«Lo
so che non dovevo disturbarvi,» la voce piuttosto scocciata di Stevenson arrivò
attutita da dietro la porta, «ma il marchese è di sotto e chiede con insistenza
della contessa, o scende lei o sale lui, così dice. Non credo vogliate questo.»
Leo
imprecò, scese del letto e infilò alla svelta i pantaloni, coprì il mio corpo
seminudo con le lenzuola e poi andò ad aprire la porta, tenendola però
socchiusa, così che il maggiordomo non potesse vedermi.
«Ora
arriviamo, di’ a Andrew di darsi una calmata o lo butto fuori a calci.»
Anche
da dietro la porta semichiusa, sentii lo sbuffo divertito del maggiordomo.
«Sarebbe
bello vedertelo fare.»
Poi
i suoi passi si allontanarono lungo il corridoio e Leo chiuse la porta con un
sospiro.
«Mi
dispiace,» iniziò guardandomi, ancora ferma immobile tra le lenzuola, «avevo
ordinato a tutti di non disturbarci, ma non avevo tenuto in considerazione i
capricci di Andrew.» Scosse la testa avvicinandosi al catino per prendere un
telo di lino e intingerlo nell’acqua fredda.
Io
lo osservai meravigliata e scioccata allo stesso tempo.
«Quindi…»
iniziai, lanciando un’occhiata alla porta per poi tornare a fissarlo, «tutti in
casa sanno cosa c’è tra di noi?»
Lui
si corrucciò mentre si avvicinava al letto con il panno bagnato e mi liberava
dalle lenzuola.
«Certo
che lo sanno,» dichiarò come se fosse un’informazione così palesemente logica
che lo stupisse il fatto che non ci fossi arrivata prima, «lo sanno da prima
che arrivassi qui.»
Mi
poggiò delicatamente il panno tra le gambe e io sussultai a contatto con
l’acqua fredda, nel contempo cercai di non farmi prendere dal panico all’idea
che la servitù sapesse che c’era qualcosa tra me e mio zio.
«Quindi,
tu ti fidi così tanto di queste persone da confidargli una cosa così
importante?»
Lui
non mi guardava in faccia, troppo occupato a pulirmi le gambe dai residui di
sangue che la mia deflorazione aveva causato.
«Certo
che sì,» confermò con tono definitivo, e io non potei fare altro che credergli
e, ancora una volta, affidarmi a lui, sicura che sapesse ciò che stava facendo.
Anche perché, riflettei, non eravamo stati propriamente discreti nel corso del
mese, né io né lui, e di conseguenza avrebbero facilmente dedotto ciò che c’era
tra di noi anche senza le sue parole.
Mugolai
sentendo il fresco dell’acqua alleviare tenuamente il dolore e bruciore che
provavo, e allungai una mano per passarla tra i corti capelli di Leo. «Grazie.»
Lui
mi sorrise, tornando a sollevarsi e riportando il telo nel catino.
«Sarà
meglio che ci prepariamo adesso,» mormorò aiutandomi ad alzarmi e baciandomi
teneramente i capelli, io annuii gettando un’occhiata alla mia camicia da notte
strappata e sporca di sangue, ormai da buttare.
Mi
voltai per guardare le lenzuola, anch’esse con le stesse macchie e arrossii, immagini
di ciò che era appena accaduto che tornavano a invadermi prepotentemente.
«Se
fai così però,» sibilò lui chinandosi per afferrarmi il mento e farmi voltare
verso di lui, «ti faccio piegare sul letto e ti prendo di nuovo… e al diavolo
Andrew.»
Rabbrividii,
osservando i suoi occhi tornare a scurirsi lievemente. In quel momento,
scendere per la colazione era l’ultimo dei miei pensieri.
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