Capitolo 22
“Qual è la tua più grande paura?”
“Se te lo dicessi, ti
prenderesti gioco di me.”
Leo
uscì dalla mia stanza subito dopo avermi posato un altro bacio sulla nuca.
«Preparati,
ci vediamo di sotto,» mormorò a un soffio da me, poi si allontanò velocemente
lungo il corridoio, lasciandomi lì sullo stipite della porta, stretta nella mia
leggera vestaglietta a osservarlo sconsolata, mentre spariva velocemente alla
mia vista.
Chiusi
la porta e mi guardai attorno. Dopo quello che era successo non riuscivo più a vedere
la stanza come il tranquillo e sicuro rifugio di prima, era ormai troppo pregna
di ricordi intensi e bellissimi, che mi avrebbero accompagnata per il resto
della vita. Ogni muscolo del mio corpo scricchiolava o doleva, ma erano tutti
dolori a modo loro piacevoli e tollerabili, che contribuivano ad alimentare i
ricordi di quelle ultime ore. Lo sguardo cadde sulla mia biancheria, che nel
corso della nottata era scivolata a terra, e arrossii correndo a raccoglierla per
sistemarla sul letto sporco. Mi chiesi cosa avrebbero pensato Abigail e Julie
vedendo quelle macchie, sarei apparsa diversa ai loro occhi? Mi avrebbero ancora
trattata come al solito?
Sospirai,
muovendomi verso il cassettone per recuperare della biancheria pulita così da
potermi cambiare. Leo mi aveva detto che tutta la servitù in casa sapeva di
noi, ma magari il fatto che mi fossi concessa sarebbe stato visto sotto una
cattiva luce…
Era
tutto così complicato, così difficile pensare a tutte le conseguenze che ogni
mia singola azione poteva causare; in quel momento, avrei tanto voluto essere
come Leo e semplicemente, fregarmene di tutto e tutti, così da fare quel che mi
andava quando mi andava senza preoccupazioni. Vivere a quel modo doveva essere
bello, se non altro, la mia mente sarebbe stata più libera, senza l’oppressione
di quei pensieri nocivi a disturbarla.
Mi
vestii il più rapidamente possibile, anche se ogni movimento mi causava una
qualche fitta in punti particolari del corpo, quindi per quanto volessi
muovermi velocemente, ero obbligata a farlo con cautela per evitare dolori
improvvisi. Indossai un grazioso abito celeste molto sobrio, senza fronzoli o
ricami di alcun tipo, con una scollatura modesta che però mi stringeva un po’
sul petto, pressandolo.
Visto
che Julie non c’era, decisi di spazzolarmi i capelli e di legarli con un semplice
nastro, così che non mi finissero sul volto durante la colazione, poi dopo aver
preso una lunga boccata d’aria per farmi coraggio, uscii dalla camera. Scesi in
sala da pranzo senza incontrare nessuno, quando entrai trovai Leo già lì ad
aspettarmi in compagnia del marchese e dei due maggiordomi.
Cercai
di non arrossire guardandolo, né di sembrare troppo nervosa in sua presenza.
Anche se, presto tutti tra quelle mura avrebbero scoperto cos’era successo la
notte prima – perché dubitavo che Stevenson non ne avrebbe parlato con nessuno
e poi certamente sarebbe stato notato il sangue – non volevo che fosse
palesemente intuibile solo guardandomi.
I
due uomini quando mi videro entrare si alzarono, e Andrew mi sorrise raggiante.
«Signorina,
buongiorno!» esclamò lui esuberante mentre mi sedevo cauta alla destra di Leo permettendo
loro di riprendere posto.
«Perdonatemi
se vi ho disturbata, ma volevo fare colazione con voi, spero non me ne
vogliate.»
Sorrisi
davanti all’ingenuità e alla purezza di quell’uomo e scossi la testa con
allegria.
«Nessun
disturbo, sul serio, sono felice di fare colazione in vostra compagnia, Drew.
Anzi, scusatemi per avervi fatto aspettare.»
Leo
grugnì, interrompendo la nostra conversazione e attirando l’attenzione su di
sé.
«Non
adularlo troppo, Desdemona,» mi ammonì mentre beveva un lungo sorso di caffè,
«o finirà per montarsi la testa.»
Andrew
arricciò il naso in modo adorabile e liquidò il commento con un gesto stizzito
della mano.
«Con
tutte le cattiverie che mi avete detto voi, Fortescue, ci vorranno anni di
gentilezze da parte di vostra nipote per far tornare in pari il mio orgoglio
ferito.»
Dietro
di lui, vidi il suo maggiordomo sollevare gli occhi al cielo, un gesto così
rapido che sicuramente era stato fatto quasi inconsciamente, tuttavia mi
strappò un sorriso.
«Mia
nipote non è affar tuo, Kerr, quindi vedi di portare il tuo orgoglio ferito
altrove.»
Andrew
ridacchiò e si infilò una ciambella in bocca, masticandola energicamente.
«Vedete?»
disse rivolto a me, ignorando totalmente Leo e il suo sguardo truce. «Mi tratta
così ogni volta! Non siete un po’ dispiaciuta per me?»
Risi
sorseggiando piano la mia tazza di tè, avendo cura di non guardare mai
direttamente in faccia Leo.
«Oh,
sì,» confermai annuendo con fare serio, «è tremendo. Siete troppo buono con
lui.»
Andrew
rise più forte, poi bevve il suo succo di frutta e io chinai il capo sul mio
piatto, sentendo gli occhi di Leo fissi sulla mia nuca. Scoprii che mi
divertiva molto prenderlo bonariamente in giro, specie se c’era Andrew a darmi
manforte. Ci divertimmo durante tutta la colazione, fingendo di ignorare il
fatto che quella notte molto probabilmente, l’avremmo pagata entrambi molto
cara.
«Dimmi,
Kerr, qual buon vento ti ha portato a invadere casa mia in modo così poco
appropriato?» chiese Leo, scrutandolo con attenzione, placidamente appoggiato
allo schienale della sua sedia. Andrew sospirò, lasciando andare la forchetta,
ogni traccia di divertimento sparita dal suo volto. L’atmosfera nella stanza
era cambiata e perfino io me ne accorsi, ma continuai a mangiare tenendo occhi
e orecchie ben aperti.
«Vedi…
mio fratello ha deciso di farmi visita, quindi mi è sembrato logico decidere di
venire a fare visita a te,» rispose sollevando le spalle, Leo annuì piano.
«Quindi
immagino che ti fermerai qui finché non arriverà la notizia della sua
partenza?»
Andrew
sorrise debolmente, spostando lo sguardo da Leo a me.
«Se
per voi non è un problema, fortunatamente dovrebbe ripartire a giorni, si
stanca molto rapidamente della campagna.»
Leo
grugnì e iniziò a mangiare la sua colazione, ponendo fine a quella
conversazione. Dentro di me fremevo dalla voglia di fare mille domande, ma a
giudicare dal volto teso di Andrew e da come si era comportato Leo, quello non
era un bell’argomento da approfondire, quindi non sapendo bene cosa fare per
alleggerire l’atmosfera, fissai il volto abbattuto del nostro ospite e, in quel
momento, mi tornò in mente il suo invito.
«Cielo,
stavo quasi per dimenticarlo!» esclamai cercando di sorridere per riportare un
po’ di gioia sul volto del marchese, mi voltai a guardare Leo che mi fissava
con un cipiglio corrucciato.
«Drew
ci ha invitati ad andare a vedere la sua serra,» dissi lanciando un’occhiata ad
Andrew che, sentendo nominare i suoi fiori, tornò a illuminarsi.
«Oh,
sì!» strepitò entusiasta, voltandosi verso Leo. «Fortescue, vostra nipote dice
che non verrà se non ci siete anche voi, dovete acconsentire!»
Leo
guardò prima lui poi me, per un lungo istante.
«Devo
davvero sentire quella cacofonia di odori entrarmi tutti dentro al naso?»
domandò quasi sconvolto, e io sorrisi.
«Ti
prego,» mormorai, «mi piacerebbe molto vederli.»
Fu
un lampo, un istante fugace, ma vidi la sua espressione addolcirsi, prima di
tornare nuovamente inespressivo.
«Bene,
ma io resto fuori,» decretò serio, fissando Andrew come se quella sua
condizione fosse questione di vita o di morte. Il marchese batté le mani, come
un bambino felice e mi guardò sorridente.
«Sono
così felice!» esclamò alzandosi. «Vado subito a spedire gli inviti.»
Vidi
il panico attraversare il volto di Leo.
«Che
inviti?» chiese rapidamente, spostando lo sguardo da me a Andrew.
«Gli
inviti per la festa che darò per celebrare questo magnifico avvenimento!» ribatté
divertito l’altro, uscendo come un tornado dalla stanza col maggiordomo alle
calcagna che mostrava solo uno sguardo altamente irato, il tipo di sguardo che
avrebbe portato a conseguenze proibite e peccaminose. Immaginai che Andrew
quella notte non avrebbe dormito molto, sorrisi ma voltandomi vidi uno sguardo
molto simile sul volto di Leo. Nemmeno la mia serata si prospettava molto
tranquilla.
Tornai
in camera dopo che Leo mi ebbe ordinato di starmene buona e lontana da Andrew
almeno fino all’ora di cena, così da evitare altre coalizioni atte a
distruggerlo mentalmente e fisicamente. Ridacchiai chiudendo la porta. Leo era
sembrato più a disagio di me alla notizia di dover socializzare, eppure io
sentivo di potercela fare se lui era al mio fianco; speravo che anche per lui
fosse in parte così.
Mi
stesi cautamente sul letto, che nel frattempo era stato rifatto, e una nuova
ondata di imbarazzo mi assalì. Avrei tanto voluto correre a cercare Julie e
Abigail, per avere la certezza che niente tra di noi fosse cambiato, almeno,
quel poco che c’era. Chiusi gli occhi e provai a rilassarmi, ma la stanchezza accumulata
a causa delle scarse ore di sonno della notte prima arrivò ad assalirmi, caddi
addormentata in pochi secondi.
Mi
svegliai col tocco delicato di dita sulla mia guancia, aprii gli occhi di
scatto, stordita e spaventata come spesso succedeva quando mi addormentavo al
di fuori del solito orario, e trovai Leo, seduto sul letto vicino a me, che mi
osservava sorridendo.
«Che
ore sono?» chiesi guardandomi attorno nella speranza di poter capire per quanto
avessi dormito, cercando allo stesso tempo di calmare i battiti impazziti del
mio povero cuore. Lui scrollò mollemente le spalle.
«Quasi
ora di pranzo, non hai dormito molto.»
Sorrisi,
andando incontro alle carezze della sua mano sul mio volto e mugolando felice
di quelle attenzioni.
«Oggi
pomeriggio io e Andrew saremo occupati a discutere di affari, saprai come
passare il tempo?» domandò a bassa voce, come se fossimo rinchiusi in un sogno
bellissimo e il parlare troppo forte potesse mandare tutto in frantumi. In
effetti, era proprio così.
«Leggerò,»
mugolai stiracchiandomi, «non c’è passatempo migliore.»
Lui
rise e si sporse per prendere uno dei libri che tenevo sul comodino.
«Questo
lo ricordo…» disse piano, quasi stesse portando alla mente ricordi di una vita
passata, «ti piace?»
Sbattei
le palpebre e guardai la copertina del libro, non riuscendo a distinguere le
lettere che componevano il titolo.
«Non
saprei…» mormorai cercando di sorridere, «non l’ho ancora letto.»
Evidentemente
non fui brava a mascherare il mio disagio, qualcosa nella mia espressione o nel
mio tono di voce doveva averlo insospettito, perché lo vidi corrucciarsi.
«Cos’hai?»
domandò con tono serio, io sorrisi cercando di sembrare convincente.
«Niente,
perché?»
La
sua mano scattò ad afferrarmi il mento, mi costrinse a sollevarmi così che i
nostri volti fossero a un soffio l’uno dall’altro.
«Non.
Mi. Mentire,» scandì con tono minacciosamente tranquillo, come la quiete poco
prima dello scatenarsi di un nubifragio.
«Ecco,
io…» Lanciai un’occhiata verso il comodino, poi tornai a fissarlo, implorante.
«N-non vedo molto bene da lontano.»
Sorrisi,
cercando di minimizzare il tutto, di farlo passare come un problema da niente,
una cosa con cui potevo benissimo convivere come avevo fatto fino a quel
momento, ma lui evidentemente non la pensava come me. Sollevò il braccio che
teneva ancora il libro e lo allontanò fin quasi a spalancare completamente
l’arto.
«Dimmi
quando riesci a leggere il titolo,» mi intimò, avvicinandolo poco a poco, i
miei occhi lavoravano freneticamente, cercando di individuare qualsiasi cosa,
anche una singola lettera che mi avrebbe permesso di intuire il titolo ben
prima che riuscissi a metterlo a fuoco.
Quando
finalmente lo decifrai Leo mi strattonò adirato.
«Questo
non è “non vedere le cose distanti”, Desdemona! Questo è “essere quasi
ciechi”!» quasi urlò, il libro a pochi palmi dal mio naso. Cercai di scrollare
le spalle e sorridere, per calmarlo.
«Ma
non è così grave, davvero,» iniziai, sollevando le mani per circondargli il
polso e carezzarglielo teneramente. «Sì, ho qualche difficoltà con le lettere e
le cose piccole, ma riesco a distinguere i volti delle persone, non vedo
chiaramente le loro facce, ma noto i particolari del loro viso, anche se
offuscati.»
Leo
imprecò staccandosi da me e iniziando a camminare avanti e indietro per la
stanza, come un animale in gabbia.
«Tu,»
disse indicandomi con un dito, «domani verrai con me in città, fino ad allora
ti proibisco di leggere o fare qualsiasi cosa possa sforzare eccessivamente i
tuoi occhi.»
Nonostante
fosse arrabbiato con me perché gli avevo taciuto quel problema, non potei fare
a meno di sorridere e il cuore mi si gonfiò di gioia rendendomi conto che era
sinceramente preoccupato per me.
«Quindi
devo stare a occhi chiusi fino a domani?» domandai innocentemente e per tutta
risposta ricevetti un’occhiata di traverso.
«Stanotte
ti passerà la voglia di ridere, te lo assicuro,» dichiarò uscendo come una
furia dalla mia stanza e sbattendo la porta. Avrei dovuto essere impaurita, il
ricordo del dolore provato la sera prima avrebbe dovuto farmi tremare alla sola
idea di un’altra punizione da parte sua, eppure, mi ritrovai a fremere,
impaziente di scoprire cos’avesse in serbo per me.
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