Capitolo 23
“Ti piegherei sulle mie
ginocchia e riempirei di schiaffi quel bel culetto che ti ritrovi,
te ne darei così tanti
che il giorno dopo non potresti sederti.”
“Allora cercherò di fare la brava… ma senza
troppa convinzione.”
Dato
che Leo mi aveva proibito di sforzare troppo la vista, subito dopo pranzo – che
si svolse in modo decisamente più tranquillo rispetto alla colazione –, decisi
di farmi coraggio e andare a fare visita a Lewis in cucina. Leo e Andrew,
assieme ai due maggiordomi, si erano già chiusi in biblioteca per discutere,
quindi potevo solo uscire per una passeggiata o cercare la compagnia di
qualcuno, ma visto che non sarei mai stata tranquilla finché non avessi visto
con i miei occhi Abigail e Julie, decisi per la seconda opzione. Stevenson era
sembrato un po’ distante quel giorno, ma forse era dovuto alla presenza del
marchese e il ritorno di Leo, o forse no. Sospirai e mi avvicinai piano alla
porta della cucina, sperando di trovare il coraggio per affrontare eventuali
risvolti poco piacevoli.
Arrivata
a pochi passi dalla porta, avvertii delle voci molto concitate sebbene a
malapena udibili, il mio cuore prese a battere all’impazzata e mi schizzò in
gola. Mi avvicinai ancora di più, cercando disperatamente di capire anche una
singola parola di quello che si stavano dicendo, ma erano troppo confuse,
troppo basse, per arrivare chiaramente al mio orecchio. Alla fine, mi trovai
davanti alla porta socchiusa.
«Non
posso crederci, è orribile!» sentii mormorare ad Abigail e per un attimo il mio
cuore smise di battere. Possibile che stessero parlando di noi?
«Vero,»
rispose una voce femminile che non conoscevo, «pensarci mi fa salire l’urto del
vomito, è disgustoso!»
Una
pentola sbatté violentemente a terra e perfino io sussultai spaventata, la nuca
che mi pizzicava terribilmente, volevo scappare da tutto ciò.
«Non
credo proprio sia il caso di parlarne in questi termini,» esclamò Lewis rimproverando la ragazza. «Cerca di avere un
minimo di rispetto, Lily!»
Sentire
quelle parole fu più che sufficiente, feci per voltarmi così da trovare rifugio
nella mia stanza, ma compiendo quel movimento andai a scontrarmi con il petto
solido di qualcuno. Sollevai spaventata lo sguardo solo per incontrare un paio
di occhi gelidi che mi fissavano impassibili.
«Perdonatemi,
Miss,» disse il maggiordomo di Andrew, inchinandosi leggermente, «devo avervi
spaventata.»
Mi
ridestai dallo stato di immobilità in cui ero piombata e scossi la testa,
sorridendo debolmente e notando che, adesso, dalla cucina non proveniva altro
che silenzio.
«Oh,
non dovete scusarvi, sono io a essermi voltata troppo rapidamente.»
L’abilità
di quell’uomo di muoversi senza essere udito era veramente notevole, ne fui
ammirata e un po’ spaventata.
«Al
mio padrone non è evidentemente bastato il pranzo di poco fa, perché mi ha
mandato a cercare altro cibo,» spiegò, e io mi scansai rapidamente da davanti
alla porta per permettergli di passare, lui si inchinò nuovamente e mi superò
varcando la soglia senza esitazione.
Presi
coraggio e mi affacciai dall’uscio, Abigail, Julie e quelle che ricordavo
essere Dana e Lily, le giovani che erano state le cameriere personali di mia
madre, stavano sedute al tavolo e fissavano il maggiordomo che al momento stava
parlottando a bassa voce con Lewis.
«Contessa!»
esclamò Abigail notandomi sulla porta e scattando in piedi, imitata rapidamente
da tutte le altre. «Vi occorre qualcosa?» domandò avvicinandosi, la voce
sembrava quasi ansiosa. Io scossi la testa e cercai di sorridere, invano. Un
nodo in gola che non riuscivo a mandare via per quanto ci provassi.
«Ero
solo venuta a disturbare Lewis,» cercai di scherzare, lei sorrise radiosa e si
fece da parte.
«Ma
voi non lo disturbate di certo, altrimenti ve lo direbbe in faccia.» Abigail si
accigliò guardando il cuoco che girava per la cucina per preparare tramezzini
da portare a Andrew. «Padrona o non padrona, in effetti la sua linguaccia ci ha
causato un sacco di guai in passato.»
Sorrisi,
il peso sullo stomaco che si alleggeriva di poco, la seguii al tavolo e con un
cenno, mi misi a sedere invitando le altre a fare altrettanto.
«Lo
conosci da molto?»
Abigail
si corrucciò. «Sfortunatamente, da quando sono nata. È mio fratello.»
Rimasi
sinceramente colpita da quella rivelazione, non avrei mai immaginato che
condividessero lo stesso sangue, ma almeno sembravano condividere lo stesso
carattere schietto. Nel mentre, Lewis aveva consegnato il vassoio colmo di
spuntini al maggiordomo, che uscì silenzioso così com’era entrato chinando appena
il capo in segno di saluto, poi scoccò un’occhiataccia a Abigail.
«Se
c’è qualcuno di veramente sfortunato qui, sono io che devo sopportare te e il
tuo brutto muso!»
Lei
socchiuse gli occhi, con lo sguardo di una che meditava vendetta ma che si
stava evidentemente trattenendo.
«Non
osare oltre, fratellino, se non vuoi
che le riveli i fatti scottanti della tua infanzia.»
Vidi
Lewis impallidire impercettibilmente, sventolò in aria il coltello che aveva
usato per dividere i tramezzini, puntandolo poi verso di lei.
«Stai
molto attenta, sorellina, perché
anche il mio arco ha molte frecce.»
I
due rimasero a scrutarsi torvi per qualche istante, io lanciai uno sguardo alle
altre ragazze ma da quello che potei notare, pareva che nessuna di loro sapesse
come uscire da quella situazione. Quindi, di nuovo, la mia bocca si mosse da
sola, formulando una domanda prima ancora che il mio cervello potesse
rendersene conto e impedirglielo.
«Allora…
di cosa parlavate poco fa?»
Nel
momento stesso in cui l’avevo pronunciata avrei voluto rimangiarmela, o sparire
inghiottita sotto terra. Gli occhi di tutti si spostarono su di me, poi le
ragazze iniziarono a lanciarsi sguardi nervosi, e io sentii la mia bocca
diventare secca.
«Mostraglielo,
Dana,» esclamò Lewis liquidando la faccenda con un gesto della mano, «tanto i
dettagli già li conosce.»
La
ragazza con corti capelli neri che le incorniciavano il piccolo viso tondo,
allungò rapidamente una mano sotto di sé ed estrasse dalle gonne qualcosa che
da quella distanza mi sembrò un pezzo di carta molto stropicciato.
Il
foglio venne passato di mano in mano finché non giunse davanti a me, allora, mi
accorsi che era un ritaglio di giornale abbastanza consunto e stropicciato, era
impossibile capire di quale giornale fosse o in che data fosse stato
pubblicato.
Nell’articolo
si parlava del ritrovamento del cadavere di una ragazza, figlia di un
baronetto, il cui nome veniva tenuto segreto per rispetto verso la famiglia
coinvolta. Al momento della scomparsa la giovane si trovava ad un ricevimento
per pochi intimi per il compleanno di una sua coetanea, dopo quella sera
nessuno aveva più avuto sue notizie. La famiglia disperata, aveva inizialmente
sospettato fosse fuggita di sua iniziativa, quindi temendo lo scandalo non aveva
informato le autorità, sperando di risolvere la faccenda in privato.
Sfortunatamente, tre giorni dopo, il corpo della ragazza era stato ritrovato
non lontano dalla casa in cui era stata vista l’ultima volta. Nuda e con lo
stomaco aperto da parte a parte.
«Come
la figlia di Williams,» mormorai, sollevando lo sguardo dal pezzo di carta per
fissare tutti i presenti, sconvolta. Lewis annuì cupo, indicando con un cenno
del mento il foglio che avevo tra le mani.
«La
notizia è arrivata ai giornali perché è successo ad una lady, senza contare che
questa ragazza e la figlia di Williams non sono state le uniche vittime.»
Osservai
il pezzo di carta e lo lasciai cadere sul tavolo, come se continuare a tenerlo
in mano mi avrebbe scottato.
«Sono
morte altre ragazze?» chiesi in un sussurro, spostando lo sguardo da Lewis ad
Abigail e poi a Julie, che teneva il suo puntato sulle mani giunte sul tavolo.
«Purtroppo,
sì,» rispose Lily, con i folti capelli castano chiaro che le cadevano liberi
sulle guance arrossate, si sistemò meglio sulla sedia e mi fissò con i suoi
profondi occhi neri. «Qui nei dintorni e nei paesi vicini sono morte una
dozzina di ragazzine, sempre ritrovate nude e sventrate.»
Dodici
ragazze, più la figlia di Williams e la nuova vittima… quale mostro poteva
prendersela con tutte quelle ragazzine innocenti? E perché?
«Come
ho già detto, è orribile!» sentenziò Abigail, rabbrividendo e scuotendo
energicamente il capo. «Chiunque sia, merita di morire nel peggiore dei modi.»
Julie
sussultò a quelle parole, ma non disse niente, rimanendo china a fissarsi le
mani, invece Dana sospirò pesantemente alzandosi.
«Mi
dispiace per quelle ragazze, come sempre le autorità brancolano nel buio e mi
piange il cuore a sapere che le famiglie devono...» si interruppe e i suoi
occhi scattarono spaventati nella mia direzione, come se si fosse resa conto
troppo tardi di ciò che stava dicendo; si schiarì la voce, alzandosi come se
nulla fosse successo. «Ora se volete scusarmi,» disse inchinandosi verso di me,
«devo tornare al lavoro.»
Anche
Lily si alzò e la seguì, inchinandosi e scusandosi per non poter rimanere
ancora a parlare.
Sorrisi
e le congedai con un cenno del capo. Era giusto, avevano il loro lavoro da
sbrigare, non potevo tenere tutta la servitù a perdersi in chiacchiere solo
perché mi sentivo sola, anche se ero tremendamente curiosa di scoprire il
perché di quell’improvvisa interruzione. D’altra parte, aver capito che i loro
commenti precedenti non erano rivolti a me, mi faceva sentire terribilmente
sollevata e felice.
Guardai
Abigail che stava osservando cupa il foglio.
«C’è
scritto che le autorità stanno indagando,» mormorò e io, di nuovo, biasimai me
stessa per essere stata così presuntuosa da supporre che non sapesse leggere
solo per il lavoro che faceva. Sentivo nella mia testa la voce di Leo che mi
rimproverava e gli diedi ragione.
«Ma
non troveranno niente,» sospirò poi, ripiegando il foglio e lisciandolo piano
sul tavolo, «non lo trovano mai,» si accigliò e il suo sguardo divenne vago, in
qualche modo ancora più triste. «Incolperanno un innocente a caso e
dichiareranno il caso chiuso,» di nuovo tacque, per un lungo istante, «come
fanno sempre.»
Ciò
sollevò in me altre domande che avrei voluto porre, altri argomenti che
sembravano troppo delicati da poterli anche solo sfiorare. Lewis le si avvicinò
e le mise una mano sulla spalla, stringendola piano. Quel gesto parve
riscuotere la ragazza che sbatté rapidamente le palpebre e puntò gli occhi su
di me.
«Mi
dispiace se vi abbiamo rattristato con questo argomento.»
Quello
avrei dovuto dirlo io, tuttavia tacqui e scossi la testa sorridendo.
«No,
sono stata io a voler sapere. Questa cosa è tremenda e hai ragione, il vero
colpevole difficilmente verrà trovato.»
Lanciai
uno sguardo al foglio tra le mani di Abigail.
«Se
davvero ha ucciso così tante ragazze, sicuramente sa bene come muoversi, come
non farsi scoprire, come passare inosservato. Una persona così abile dubito si
lascerà scovare tanto facilmente.»
Abigail
e Julie annuirono mestamente e Lewis sospirò tornando verso le pentole.
«Direi
che per oggi abbiamo parlato anche troppo di argomenti tristi. Gradite un tè, Contessa?»
Sorrisi
e lo accettai con piacere, un buon tè era sempre l’ideale per risollevare il
morale collettivo, specie se ad accompagnarlo c’erano i meravigliosi biscotti
di Lewis.
Quando
il tè fu pronto, riuscii a convincere tutti e tre a berne almeno una tazza
assieme.
«Vi
prego, tenetemi compagnia,» li implorai e nonostante la loro evidente ritrosia,
finirono con l’accettare. Lewis si accomodò quindi accanto alla sorella dopo
aver recuperato altre tazze per sé e le due ragazze, e Julie lo versò per
tutti.
Lo
sorseggiammo in silenzio per alcuni istanti, poi Julie si sporse timidamente verso
di me.
«Volete
che vi racconti della signora Patrick?»
Sorrisi
felice di poter ascoltare un altro racconto della donna e del fatto che fosse
stata proprio Julie a parlare. Eravamo entrambe due ragazze assai timide e per
questo, avrei voluto vederla più rilassata in mia compagnia.
Abigail
sorrise, ma sempre con quella lieve nota di tristezza in sottofondo, come se le
facesse quasi male parlare di quell’argomento.
«Dovevate
esserci, Contessa,» disse bevendo un lungo sorso di tè, «stavolta si è proprio
superata.»
Julie
annuì timidamente e mi guardò, i suoi meravigliosi occhi verdi che brillavano.
«Dunque,
io e Abigail siamo andate come sempre a trovare la famiglia Patrick,» iniziò e
io annuii incoraggiante prendendo un biscotto e sgranocchiandolo allegra,
«siamo arrivate e apparentemente sembrava tutto normale. Il signor Patrick e i
due figli stavano lavorando con il bestiame e ci hanno indirizzato verso la
casa, dove avremmo dovuto trovare solo la signora Patrick.» Sorrise ricordando
l’aneddoto. «Così siamo entrate e… beh, c’era effettivamente la signora Patrick
seduta al tavolo, con accanto… un tacchino.»
Sollevai
le sopracciglia e lanciai uno sguardo basito ad Abigail, che scosse la testa.
«Il bello deve ancora arrivare,» mormorò incitando Julie a continuare.
«Quindi,»
riprese lei «l’abbiamo salutata e le abbiamo chiesto come mai ci fosse un
tacchino in casa, e lei si è guardata attorno, molto confusa, e ha esclamato:
“Ragazze, sicure di stare bene? Qui non c’è nessun tacchino.” Eravamo sul punto
di risponderle quando è entrato in casa il signor Patrick, che l’ha guardata e
ha esclamato: “Donna, cosa ci fa quella bestia seduta al mio posto?” e lei è
scattata in piedi urlando e indicando il marito “Che ci fa questo caprone in
casa mia?” poi si è girata verso il tacchino, “Bob, portalo fuori!”» Julie mi
fissò sbalordita con un mezzo sorriso sulle labbra. «È stato veramente assurdo,
solo dopo abbiamo scoperto che la signora stava benissimo, era solo arrabbiata
col marito e aveva deciso di tirargli quel brutto scherzo. Mentre stavamo
andando via l’abbiamo sentita urlare dalla loro camera: “Meglio essere sposata
con un tacchino che con una capra cafona come te!”»
Ridacchiai
assieme agli altri, sempre più convinta di voler conoscere la signora Patrick.
Il
pomeriggio passò in fretta e me ne accorsi solo quando Lewis si alzò
annunciando che doveva iniziare a preparare la cena. Uscii dalla cucina
decisamente più felice e sollevata di quando c’ero entrata qualche ora prima,
felice di essere riuscita, nonostante tutto, a chiarire il malinteso che il mio
cervello aveva creato tutto da solo. Riflettei, mentre entravo in camera, che
anche quello era in parte merito di Leo. Prima non avrei mai trovato il
coraggio di farmi avanti e, anche se il mio primo istinto era e rimaneva sempre
quello di scappare, ero almeno riuscita a fare conversazione. Il mio Signore
stava lentamente plasmando la mia mente e il mio corpo, e ne ero felice. Sapevo
che, al sicuro, nelle sue mani, avrei trovato il coraggio di combattere tutti i
mostri che si annidavano nella mia mente.
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