Capitolo 24

 

“Ti piacciono gli animali? A me piacerebbe

tanto avere un cane un giorno, un cagnolone grosso e peloso.”

 

“I cani mi piacciono, se li tratti con cura ti rimarranno sempre fedeli e, 

addestrati nel giusto modo, obbediranno ai tuoi ordini. 

Decisamente, preferisco i cani alla maggior parte delle persone.”

 

 

Scesi a cena di umore decisamente migliore. Sapevo bene che una semplice chiacchierata pomeridiana non avrebbe potuto stabilire ciò che pensassero sul serio ma, il vedere che almeno all’apparenza nulla era cambiato, mi faceva guardare al futuro con un cauto senso di ottimismo. Mi sedetti al solito posto e aspettai tranquilla, ero infatti da sola nella sala, sebbene fosse già tutto pronto per la cena. Mi chiesi cosa stava trattenendo tanto Leo e Andrew, erano rimasti tutto il giorno chiusi in biblioteca a discutere e, subito dopo essere uscita dalla cucina, avevo avuto il pressante desiderio di andare a piazzarmi fuori dalla loro porta, curiosa di scoprire l’argomento della loro conversazione. Alla fine avevo desistito, sicuramente Leo non sarebbe stato felice se l’avessi fatto, e quel giorno lo avevo già stuzzicato e irritato a sufficienza da meritarmi una punizione.

Bevvi un sorso d’acqua e la mia mente riportò a galla la discussione che avevo avuto quel pomeriggio con le ragazze. Pensai a quanto dovesse essere terribile ritrovare una figlia, una sorella, ridotta in quello stato per mano di qualche pazzo squilibrato, troppo malato per riuscire a fermarsi, ma allo stesso tempo troppo astuto per essere catturato.

Quattordici ragazze erano morte, quattordici anime che chiedevano giustizia, la pretendevano a gran voce ma che avrebbero ottenuto solo lacrime e altro sangue. Perché niente avrebbe mai impedito alla bestia di continuare il suo lavoro, niente avrebbe salvato le ignare giovani là fuori dal finire vittime della sua follia.

Mi corrucciai, l’unica cosa che proprio non riuscivo a spiegarmi era perché attirare così tanto l’attenzione su di sé. Aveva sempre puntato ragazze di umili origini, ragazze la cui scomparsa avrebbe scosso profondamente gli animi dei parenti, ma non sarebbe stata presa in grande considerazione da nessun altro.

Perché, quindi, aveva preso di mira una nobile? Per quanto il suo titolo non fosse elevato, faceva comunque parte dell’aristocrazia, la sua morte sarebbe stata notata e avrebbe risuonato terribile e oscura di salotto in salotto, di bocca in bocca. Tutti in città avrebbero saputo cos’era successo, tutti avrebbero iniziato a temerlo e a cercarlo. Se anche le forze dell’ordine non fossero riuscite a catturarlo, da quel momento per lui muoversi in città sarebbe stato più problematico, specie se avesse voluto nuovamente trovare una vittima. Le madri e i padri avrebbero prestato più attenzione alle loro figlie, e ci avrebbero pensato due volte prima di lasciarle allontanare con qualcuno. Perché, quindi, complicarsi tanto la vita?

Ero affascinata da quel mistero che si stava lentamente evolvendo sotto ai miei occhi. Avrei voluto indagare io stessa, porre domande, esaminare le scene del crimine, parlare con le famiglie. Avrei voluto sapere cosa passasse per la testa di quel maniaco, ma l’unico modo per farlo sarebbe stato scovarlo.

Sospirai abbattuta, rassegnata a lasciare che la mia morbosa curiosità rimanesse insoddisfatta.

Proprio in quel momento la porta si aprì e Leo avanzò rapido, il volto tetro, Andrew dietro di lui sembrava triste ma tranquillo, i due maggiordomi erano imperscrutabili.

«Signorina, buona sera!» esclamò felice il marchese, inchinandosi e fermandosi di fianco a me, l’espressione abbattuta subito spazzata via da un caloroso sorriso.

«Mi dispiace avervi fatto aspettare, avevamo molto di cui discutere.»

Scossi la testa, sorridendogli a mia volta. «Non scusatevi vi prego, non sono qui da molto.» Lo incoraggiai poi a prendere posto di fronte a me e a quel punto, potemmo iniziare a mangiare.

Leo rimase muto e pensieroso per tutto il tempo, lasciando a me e al marchese il compito di portare avanti la conversazione.

«Stamattina ho iniziato a scrivere gli inviti,» mi informò Andrew tra un boccone e l’altro, «appena trovo il mio sigillo li farò spedire. Sono così emozionato!» Sorrideva felice mentre parlava masticando. «Ci vorrà del tempo, ma ho fissato l’evento per la fine del prossimo mese, dato che siamo in piena stagione le persone potrebbero avere già degli impegni, ma la prospettiva di passare un fine settimana in campagna non può non solleticare la loro mente.»

Parlava a ruota libera e io ero felice di starlo a sentire, era come guardare un bambino esaltato che non riusciva a stare fermo un istante.

«Vi divertirete molto, ve lo garantisco. Organizzerò tutto nel migliore dei modi.»

Sorrisi e annuii entusiasta, lanciando un cauto sguardo verso Leo che però non sembrava ci stesse ascoltando.

«Non vedo l’ora che arrivi quel giorno, sicuramente anche Leo si divertirà molto, anche se non credo lo ammetterà.»

Tutta l’allegria sparì dal volto di Andrew, lanciò uno sguardo nervoso in direzione del diretto interessato, poi afferrò il calice che aveva davanti.

«Già, lo spero proprio,» mormorò, prima di bere un lungo sorso di vino.

 

Il resto della cena trascorse silenziosamente: Leo continuava a rimuginare in silenzio su qualcosa che evidentemente lo turbava parecchio e Andrew ne sembrava mortificato, tanto che lo vidi afflosciarsi sempre di più sulla sedia, fin quasi a sembrare più piccolo.

In quell’occasione però, la mia mente non aveva niente da suggerirmi per trovare un nuovo argomento, né sapevo se fosse appropriato farlo o nel caso lasciarli soli con i propri pensieri. Alla fine ci ponderai troppo sopra, non sapendo cosa dire e la cena si concluse nel silenzio più totale.

Mi ritirai in camera mia pensierosa, ma speranzosa che Leo non fosse così perso nei suoi pensieri da preferire tornare direttamente nelle sue stanze. Volevo vederlo, volevo parlargli da sola, così da provare a capire cosa fosse successo quel pomeriggio. Anche se mi aveva detto chiaramente che mi teneva segrete delle cose per il mio bene, ogni volta che gli avevo posto una domanda lui aveva risposto onestamente, quello mi faceva sperare almeno un po’ di riuscire a strapparlo al suo silenzio e ai suoi misteri.

Entrai in camera e mi lasciai andare contro la porta. Com’era possibile che la mia vita fosse cambiata così tanto nel giro di appena un mese? Prima il mio più grande problema era stato mia madre e il resistere alle sue angherie un giorno dopo l’altro, da quando vivevo nella tenuta di campagna di mio zio – uno zio con cui avevo intrapreso una relazione che poteva essere definita “malata” da più punti di vista –, progettavo di andare a feste e chiacchieravo con la servitù bevendo il tè.

Sentii dei passi avvicinarsi alla mia stanza e il cuore accelerò. Rimasi immobile, temendo che in caso contrario avrei potuto spezzare l’incantesimo e sentirli svanire.

La mano pesante di Leo batté sulla mia porta, vicinissima al mio orecchio, e sussultai spaventata dal colpo improvviso. Aprii l’uscio e me lo trovai davanti, imponente e bellissimo, con ancora quell’espressione corrucciata in volto.

Senza dire nulla, mi scostai per farlo passare e lui, in silenzio, si andò a sedere sul letto. Quando mi avvicinai e sollevai le mani per carezzargli la nuca, le sue braccia mi circondarono la vita e mi tirarono tra le sue gambe, stringendomi a sé e affondando il volto nel mio collo.

«Sono ancora arrabbiato con te,» grugnì schiacciato a me, al punto da poter sentire le vibrazioni delle sue corde vocali percorrermi la pelle. Sorrisi carezzandogli i folti capelli sulla cima della testa.

«Lo so, e hai detto di volermi punire.»

Lui annuì mordendomi delicatamente la base del collo, scatenandomi un lungo brivido lungo tutto il corpo.

«Domani,» decise, staccandosi da me e guardandomi intensamente negli occhi. Cercai di non sembrare troppo delusa da quel cambio di programmi e sorrisi, le mani che scorrevano lente tra i suoi ciuffi scuri.

«Vedrò di fare la brava fino ad allora.»

Lui sollevò un sopracciglio, scettico.

«Dubito che ci riuscirai,» rispose sarcastico, sciogliendo l’abbraccio e rimettendosi in piedi. Io cercai di assumere la posa più offesa che ero in grado di fare.

«Vorresti dire che per te non riesco a fare la brava nemmeno per ventiquattro ore?»

Lui ridacchiò girando attorno al letto e avvicinandosi al cassettone ancora addossato contro la porta del passaggio segreto.

«Tu non riesci a fare la brava nemmeno fino a domattina.»

Sbuffai fintamente indignata e lo raggiunsi dall’altra parte del letto, osservandolo mentre spostava di peso il mobile. Ammirai affascinata i muscoli delle sue braccia tendersi e gonfiarsi sotto la camicia nera, le vene delle sue mani e del collo ingrossarsi per lo sforzo. Improvvisamente, sentivo un gran caldo e dovetti appoggiarmi alla sponda del letto per evitare di cadere a causa delle mie gambe divenute molli. Quando ebbe finito, Leo si voltò a fissarmi e ghignò, vedendomi accasciata contro il letto.

«Vieni, su, vediamo se riesco a toglierti quell’espressione dal viso.»

Mi porse la mano e io la afferrai, corrucciata, entrando assieme a lui dentro l’oscuro passaggio che avrebbe portato alla sua stanza.

«Perché, che faccia ho?» chiesi, perplessa, lui era una delle pochissime persone – se non l’unica – che riuscisse ad accorgersi delle mie espressioni. Quando per il resto del mondo sembravo impassibile, per Leo stavo sorridendo gioiosa. Non capivo come facesse a notarle, ma ogni volta una parte di me sussultava di gioia e lo amavo un po’ di più.

Arrivammo in camera sua e lui chiuse con un tonfo la porta del passaggio segreto, per poi afferrarmi per la vita e sbattermici contro.

La sorpresa e l’impatto, anche se non furono così forti, mi tolsero il fiato, annaspai per riprendere aria e subito lui si chinò per infilarmi la lingua in bocca. Mugolai felice stringendolo a me e maledicendo quella gonna troppo vaporosa che mi impediva di saltargli addosso e aggrapparmi a lui anche con le gambe. Il suo assalto fu impetuoso e violento, divorò la mia bocca senza lasciarmi il tempo di fare altro che non fosse assecondarlo e arrendermi a lui. Le sue mani scavavano nei miei fianchi e il suo corpo premeva contro il mio. Gemetti insoddisfatta, infilandogli una mano sotto il colletto della camicia e tastando quella pelle bollente che ancora non ero riuscita a vedere per bene ma che desideravo ammirare sempre di più.

Leo si staccò da me con un grugnito eccitato e poggiò la fronte sulla mia, ansante. Lo fissai in silenzio, cercando di riprendere fiato nel poco spazio che il suo corpo lasciava al mio.

«La faccia di una che vuole passare tutta la notte a fare la bambina cattiva.»

Oh.

Sorrisi afferrandolo per i lembi della camicia e trascinandolo di nuovo giù in un altro bacio mozzafiato. Mi sollevò di peso e in poche falcate ero distesa sul letto, si sistemò sopra di me per potermi osservare meglio alla luce delle candele.

«Dio, questo vestito…» gemette chinandosi sul mio collo, leccandolo e succhiandolo avidamente.

«Cos’ha il mio vestito che non va?»

Grugnì palpandomi rudemente un seno da sopra la stoffa.

«È così stretto, ci ho pensato su tutto il diavolo di giorno. Per fortuna ero l’unico interessato alle tue tette oggi o avrei dovuto fare una strage.»

Risi un po’ imbarazzata e lui iniziò a slacciarmi l’abito, rapidamente. Era così bello sentire le sue mani su di me. Sembrava essere passata una vita e non poche ore dall’ultima volta che mi aveva toccata, e in quel momento scoprivo di averne un disperato bisogno.

Gli agguantai la camicia e iniziai a tirargliela da sopra la testa, stanca di essere l’unica sempre mezza svestita tra i due, desiderando scoprire ogni più piccolo segno di quel corpo. Lui si allontanò da me per potersela sfilare del tutto, senza curarsi di sbottonarla. E per la prima volta potei ammirarlo a petto nudo. Rimpiansi ancora una volta di non avere una vista perfetta e di poter solo scorgere in parte la bellezza di quel corpo cesellato. Mi sollevai a sedere, meravigliata e stregata. Leo aveva un corpo magnifico, ogni muscolo perfettamente definito e modellato con cura, avevo visto solo statue greche vantare un simile corpo. Sui pettorali c’era un leggero strato di peluria, né troppo folta né troppo rada, e io sentii il forte impulso di passarci le dita in mezzo e farcele scivolare lievi, fino a raggiungere i capezzoli scuri e scoprire se anche i suoi si indurivano come i miei, se anche a lui piaceva quando venivano stuzzicati tanto quanto me. Sul suo pettorale sinistro, potevo vedere distintamente il tatuaggio che giorni prima avevo solo scorto per un breve istante. Era il disegno di un corvo che se ne stava appollaiato su di un ramo, osservando ciò che succedeva attorno a sé. Quel tatuaggio era stato fatto così bene che per un istante mi sembrò sul serio che quell’animale fosse nella stanza e mi stesse fissando.

«Ti piace quel che vedi?» mi domandò beffardo, io annuii automaticamente, ancora presa dall’ammirare quella magnifica opera d’arte sul suo corpo, troppo tardi realizzai che si stava prendendo gioco di me.

«Cioè…» scattai subito guardandolo in faccia, «il tatuaggio è bello, io— anche tu lo sei certo, ma ecco…»

Ero andata nel panico e stavo gesticolando freneticamente, lui scoppiò a ridere bloccandomi le mani e tirandomi a sé.

«Solo tu riesci a farmi ridere quando sono di questo umore.»

Ogni mio proposito di aprire bocca e chiedergli delucidazioni venne spazzato via dalla solida presenza del suo petto contro la mia guancia. Strusciai piano il volto contro di lui, godendomi la lieve carezza dei suoi peli sulla mia pelle, sollevai poi una mano per sfiorargli delicatamente un capezzolo e lo sentii mugolare piano. Osservai ammirata la piccola protuberanza diventare sempre più dura sotto alle mie dita, e sollevai il capo affascinata e felice della mia scoperta.

Leo mi restituì lo sguardo, i suoi occhi quasi totalmente neri, deglutii prendendo coraggio e alzandomi sulle ginocchia, così che i nostri volti fossero alla stessa altezza.

«Sai, avevi ragione prima…» mormorai, carezzandogli una guancia, lui corrucciò lievemente la fronte, troppo eccitato per capire a cosa mi stessi riferendo; sorrisi lusingata come sempre di essere io la causa di tutto ciò. «Non riuscirò a fare la brava fino a domani.»

Il suo ringhio mi fece rabbrividire e, in un attimo, mi gettò di nuovo sul materasso avventandosi sui miei vestiti, strappandomeli di dosso finché non fui completamente nuda sotto di lui.

Si sollevò un’ultima volta per fissarmi dall’alto, totalmente nuda e in bella mostra per lui, poi calò sul mio corpo, come un lupo affamato che si scaglia sulla preda.

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