Capitolo 62
Arretrai con la morte nel cuore, le mani premute contro le labbra per l’orrore di quella rivelazione. Accanto a me anche Leo si era irrigidito, forse anche per lui quella notizia giungeva totalmente inaspettata. Guardai ancora una volta il profilo di mio padre, ancora immobile, ancora silente, sempre più pallido. Possibile che fosse stato davvero in grado di compiere un simile gesto? Mio padre aveva i suoi modi per relazionarsi con il mondo ma non era cattivo... perché dunque quella violenza? Se non altro, quella rivelazione mi portava un po’ più vicina a scoprire da dove nascesse l’odio e il rancore di mia madre. Ma era così terrificante scoprire che ero nata a seguito di una violenza, così… brutto. Sentivo la testa girarmi vorticosamente, avevo bisogno di aria, mi sentivo soffocare, dovevo…
Leo mi
afferrò per un polso, delicatamente, senza trattenermi, solo per ricordarmi che
era lì con me, che tutto sarebbe andato bene. Chiusi gli occhi e percepii il
suo dito indice battermi a cadenza regolare sul polso, gli andai dietro,
cercando di regolare i miei respiri con i suoi tocchi. Andava tutto bene, il
mondo non mi stava crollando intorno, le pareti non si stringevano.
«Che
c’è?» chiese beffardamente mia madre strappandomi dal mio nido sicuro e
ributtandomi brutalmente nella fredda realtà. «Ti ha sconvolta così tanto
scoprire la verità? Stai per svenire?» sbuffò divertita guardando la mano di
Leo stretta attorno al mio polso.
«Le cose
non possono essere andate così!» esclamai, non degnando di alcun commento quel
suo attacco rivolto a me e riportando invece la conversazione verso l’argomento
che più mi premeva approfondire. «Papà mi ha raccontato come sono andate le
cose,» continuai, lanciando un’occhiata a mio padre che sentendo il suono della
mia voce parve ridestarsi. «Secondo me questa è una delle tue tante bugie,
perché ti piace vedermi soffrire.»
Mamma
scosse lentamente la testa, un sorriso sarcastico dipinto in volto.
«Oh,
cara, e non ti sei mai chiesta perché volessi farti soffrire così tanto?» si avvicinò
alla poltrona, allungando le mani per carezzarne lentamente la stoffa,
pensierosa. «Tutte quelle belle cose che ti facevo, gli aghi, l’attizzatoio,
l’acqua gelida e… nemmeno mi ricordo che altro, pensi lo facessi per il puro
gusto di vederti soffrire?»
Aprii la
bocca ma nessuna risposta ne fuoriuscì, turbata da quelle sue parole.
Mamma
scosse la testa ridacchiando.
«Ovviamente
no, o meglio, non mi è mai importato niente di te, anzi, a dire la verità un
po’ ti odio.» Mi guardò sollevando le spalle. «Mi spiace, ma non posso amare
qualcosa che mi ricorda costantemente ciò che mi è successo, qualcuno che
assomiglia così tanto all’uomo che mi ha rovinato la vita.»
Sentirlo
uscire così facilmente dalle sue labbra, fece più male del previsto, gli occhi
mi si appannarono di lacrime, un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra,
costringendomi ancora una volta a tapparmele con la mano libera, la presa di
Leo attorno al mio polso si intensificò.
«Anche
se devo essere sincera,» continuò tranquilla, come se con le sue parole non
stesse piantando chiodi nel cuore della propria figlia, «all’inizio non ti
odiavo, quando ho scoperto di essere incinta, ero solo disgustata. Avrei voluto
sbarazzarmi di te e ci ho anche provato un paio di volte.» Sorrise, come se
stesse rammentando un bel momento.
«Una
volta quasi con successo, perché non potevo continuare a portarti in grembo,
capisci? Eri un essere disgustoso nato da un atto ignominioso, dovevi morire.»
«Mary!» tuonò mio padre di nuovo
vigile, scattando verso di lei con così tanto impeto da spaventarla e farla
arretrare di qualche passo, Leo invece si irrigidì, circondandomi la vita e
trascinandomi contro di sé mentre io rimanevo attonita e muta ad ascoltare
quella confessione.
«È la
verità!» urlò mia madre puntandomi un dito contro. «Doveva morire e ci sarei
riuscita se voi non mi aveste sorvegliata giorno e notte per impedirmi di
abortire. Quando poi sei nata prematura… oh, ho pregato, pregato che morissi.»
Leo
ringhiò sopra la mia testa mentre mio padre rabbrividiva per poi riprendere a
muoversi, ma lei questa volta rimase ferma al suo posto.
«Invece
sei sopravvissuta, e dopo quello che mi ha fatto,» mormorò guardando mio padre,
che si era fermato in mezzo alle due poltrone, «ho giurato a me stessa che
gliel’avrei fatta pagare, ma l’unico modo che avevo per farlo era colpirlo dove
gli avrebbe fatto più male. Dilapidare le ricchezze della famiglia non sembrava
interessargli, quindi ho dovuto prendermela con l’unica cosa che sembrava
stargli veramente a cuore: te.» Rise amaramente tornando vicino alla poltrona
per fronteggiare mio padre. «Non c’era niente che mi soddisfacesse di più che
piegarti giorno dopo giorno, spezzarti e vedere il dolore bruciare in fondo
agli occhi di tuo padre, vedere come ti allontanasse sempre di più nel vano
tentativo di proteggerti da me.»
Mi
sentivo male, la testa mi pulsava dolorosamente, gli occhi mi bruciavano e la
morsa allo stomaco stava diventando così dolorosa, quasi da costringermi a
piegarmi dal dolore. Ancor più doloroso del fatto che mia madre, la mia stessa
madre mi volesse morta, era il fatto che per tutti quegli anni mi avesse
inflitto ogni sorta di dolore a causa
di mio padre.
«Papà,»
lo chiamai, la voce implorante, rotta dalle lacrime che avevano iniziato a
scorrere, «ti prego, dimmi che non l’hai fatto.»
Ma,
ancora prima che si voltasse a guardarmi, ancora prima di vedere nei suoi occhi
la colpevolezza, quella stessa espressione che gli avevo già visto in volto
quel pomeriggio, sapevo che stavolta mia madre era sincera.
«Ho
dovuto,» lo disse quasi sputandolo fuori, come un peso portato sulla coscienza
per troppi anni. Chiusi gli occhi, tremando leggermente, strinsi le dita
attorno alle mie labbra per un breve istante, cercando conforto nel calore del
corpo di Leo, mentre la consapevolezza di ciò di cui era stato capace
quell’uomo scivolava lentamente in me.
«Perché?»
volli sapere, riaprendo le palpebre, ormai totalmente appoggiata contro Leo,
non mi importava, ne avevo bisogno o non sarebbe stato il mondo a sgretolarsi
attorno a me, ma io stessa.
Papà
emise un profondo sospiro, guardò nervosamente mamma che gli restituì
un’occhiata feroce, le labbra strette in una linea sottile.
«Sai già
che i nostri genitori avevano deciso che dovevamo sposarci,» iniziò la voce
roca e tesa. «Tua madre era così testarda, per quanto io provassi a farla
ragionare non voleva darmi ascolto, ho dovuto trovare un modo per costringerla
ad accettare, volente o nolente.»
«Ero già
fidanzata!» urlò quasi istericamente lei, battendo un pugno sulla stoffa della
poltrona. «E tu mi hai rovinata!»
Papà le
lanciò un’occhiata obliqua.
«Questa
è una bugia e tu lo sai bene: prima di tutto non eri fidanzata, a malapena
frequentavi Frederick quando ci siamo conosciuti e non sono certo stato io a
rovinarti per primo.»
Le
guance di mamma diventarono scarlatte, arpionò con le sue bellissime e
curatissime unghie la stoffa che aveva sotto di sé.
«Frederick
e io ci amavamo,» sibilò cupa, tremante di rabbia. «Mi ero concessa a lui
perché sapevo che presto avrebbe chiesto a mio padre la mia mano.»
Papà
sbuffò divertito, stringendosi le mani dietro la schiena.
«Come
no,» esclamò sarcastico. «Parliamo dello stesso uomo che quando ha saputo che
ti eri fidanzata con me è sparito, giusto? Quello non vedeva l’ora di trovare
carne fresca su cui mettere le mani.»
«Non
osare parlare così di lui!» scattò mia madre afferrando un cuscino dalla seduta
e scaraventandolo contro papà che rimase però fermo immobile al suo posto.
«Frederick mi amava, mi amava!»
ripeté mamma, come una litania, come se oltre a noi cercasse di convincere
anche se stessa.
«Ed è
per questo che non l’hai mai più visto,» continuò papà, gli occhi stretti e la
voce gelida, «perché vi amavate così
tanto.»
Mamma
sollevò il mento, risoluta.
«Almeno,
lui non mi ha mai toccata senza che io non lo volessi.»
«Credi
che mi abbia fatto piacere farlo?» urlò papà, le mani strette dietro la schiena
così saldamente tra di loro da aver perso ogni colore.
Io
osservavo la scena cercando rifugio tra le braccia di Leo, non osavo pensare a
niente, non osavo provare niente, a malapena mi limitavo a respirare per paura
di poter crollare, solo la sua presenza mi teneva ancora ancorata alla realtà.
«Pensi
che sia stato piacevole per me? Pensi l’abbia fatto perché ti trovavo attraente
e volevo a tutti i costi entrarti nella fica?»
Sia io
che mamma sussultammo sentendolo parlare in modo così sboccato.
«Credimi
se ti dico che avrei preferito mille volte strapparmi via a mani nude il cazzo
piuttosto che toccarti con un singolo dito, ma non mi hai lasciato scelta.»
Scosse la testa, avvilito. «Ti avevo detto che dovevamo sposarci per volere dei
nostri genitori, ti avevo detto che potevi continuare a vederti col tuo amato
Frederick, che non mi importava un accidente di niente di quello che avresti
fatto della tua vita, che potevi avere tutti gli amanti che volevi, mi bastava
che diventassi mia moglie. Ma tu no, testarda fino alla morte. Tu volevi il tuo
principe azzurro, volevi sposarti e vivere felice col tuo Frederick e mettere
al mondo i suoi bei bambini.» Mamma abbassò il capo, gli occhi lucidi, persi in
quei ricordi felici dei tempi ormai lontani, e papà continuò. «Lo dissi a tuo
padre sai? Lo pregai di organizzare comunque il matrimonio, di costringerti a
venire all’altare. Ma quel vecchio bastardo voleva che fosse legittimo, seppur
con qualche forzatura.» Rise amaramente, scrollando le spalle. «Proprio lui
parlava di legittimità, dopo tutto quello che aveva fatto. Voleva che sua
figlia almeno all’apparenza si sposasse per
scelta… ma che questa ricadesse sull’uomo da lui designato… che assurdità,
anche in quell’occasione se ne lavò completamente le mani, imponendo però a me
di trovare una soluzione. Quindi non mi era rimasto che ricorrere a misure
estreme, inoltre la tua riluttanza di avere un confronto con tuo padre giocava
a mio favore.» Rimase poi un attimo in silenzio, forse anche lui perso in quei
ricordi passati. «Dovevo trovare un modo per farti arrivare all’altare il più
consenziente possibile, e sapendo che non mi avresti mai amato,» sorrise
amaramente chinando il capo per guardare il pavimento, «dovevo puntare sulla
tua disperazione.»
«Beh,
complimenti,» esclamò mamma, rossa in volto, le lacrime trattenute con
orgoglio, «ci sei riuscito.»
Io non
sapevo che pensare, non sapevo da che parte schierarmi o se ci fosse in effetti
una parte dalla quale schierarsi.
Ero così
confusa, così spaesata, la violenza subita da mia madre poteva giustificare il
tentato aborto e gli anni passati a torturarmi per vendicarsi dell’uomo che
l’aveva legata a sé con un atto tanto infimo? Ed era meno grave sapere che era
stato brutto tanto per lei quanto per lui? Non ne avevo idea, non riuscivo a
farmene una non in quel momento. La mano di Leo avvinghiata alla mia pancia mi
trascinò leggermente più vicino al suo corpo.
«Come ti
senti?»
Sollevai
lo sguardo verso di lui, disperata. «Malissimo.»
Vidi i
muscoli della sua mascella contrarsi e i suoi occhi saettare in alto, verso i
miei genitori.
«Resisti
qualche altro istante piccola, poi sarà tutto finito.»
Mi
rassicurò e io annuii fiduciosa.
«Voi
due,» ci chiamò mamma pretendendo ancora una volta la nostra attenzione,
«credete davvero che io adesso non uscirò di qui e non andrò a dire a tutti
quanti quello che so su di voi?»
Sentii
il corpo di Leo vibrare leggermente e capii che qualsiasi cosa stesse
aspettando, era infine arrivata, era pronto al contrattacco.
«Fa’
pure,» la esortò, mentre con la mano libera la invitava ad avviarsi verso la
porta, «metà delle persone presenti sotto questo tetto già sanno e all’altra
metà so per certo non importerebbe.»
In quel
momento, papà si mosse dalla sua posizione e andò a suonare il campanello posto
al lato del caminetto, rimanendo poi fermo con le spalle contro il muro, a
osservarci attento, il volto cinereo, evidentemente provato da ciò che era
appena successo.
«Anche
se non interessa a loro,» continuò mamma, ogni traccia di disperazione e
tristezza di poco prima sparite come niente, rimpiazzate nuovamente dall’odio e
dal rancore, «sicuramente qui nei paraggi troverò qualcuno a cui interesserà
molto questa storia.»
Leo
sbuffò divertito continuando a tenermi stretta per la vita.
«Sono
sicuro che ci siano molte persone interessate anche alla mia di storia. Anzi,
credo che una di loro sia qua proprio stasera.»
Mamma si
accigliò, spostando lo sguardo tra i due uomini, anche se non potevo vederlo,
Leo dovette fare un qualche tipo di segnale a mio padre, perché lui si mosse
dalla sua posizione e rapidamente, andò ad aprire le porte della biblioteca.
Mi
voltai giusto in tempo per vedere il signor Thornberry entrare scortato da
Lucas, i due uomini avanzarono lentamente nella stanza. Lucas andò a
posizionarsi discretamente accanto a mio padre, mentre Isaac dopo aver lanciato
un’occhiata obliqua a me e Leo abbracciati, guardò dritto davanti a sé, il volto
della figlia che lo fissava pallida e attonita.
«Papà,»
mormorò, terrorizzata, come se davanti a lei si trovasse l’essere più
spaventoso del mondo. Non le avevo mai sentito usare quel tono di voce e una
piccolissima parte di me se ne compiacque.
«Vengo chiamato
ancora una volta per sistemare i tuoi problemi, figlia.» Il tono era duro,
cattivo, non si era rivolto così verso di me nemmeno quando gli avevo
palesemente risposto male mancandogli di rispetto; mamma sussultò atterrita
guardandosi attorno.
«Io… non
so di cosa parli,» tentennò, deglutendo lentamente.
«Ah no?»
la incalzò Leo sardonico. «Come hai detto tu poco fa, cara cognata, stasera
siamo in vena di confessioni.» La sua presa al mio ventre si fece ancora più
stretta, quasi a togliermi il fiato. «Quindi perché non raccontiamo a tutti
cos’è successo davvero sette anni fa, la notte dell’incendio?»
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