Capitolo 63
Mamma non mosse un muscolo, niente in lei faceva intendere che la domanda di Leo l’avesse turbata in qualche modo.
«Non so
di cosa tu stia parlando Leon—» si interruppe, schiarendosi la gola con finta
noncuranza, «Leo.»
Isaac si
mosse lentamente verso di lei e quello, sembrò turbarla molto di più
dell’accusa sottintesa. Arretrò leggermente staccandosi dalla poltrona, le
pupille dilatate come un cervo davanti al cacciatore.
Il
signor Thornberry però, la ignorò, accomodandosi su una delle due poltrone e
giungendo le mani in grembo.
«E
dunque?» chiese, sollevando un sopracciglio e puntando gli occhi sulla figlia.
«Sto aspettando.»
Mamma
deglutì nervosamente guardandoci per un fugace istante.
«Non so cosa stiate aspettando, padre, non c’è
niente da raccontare in merito a quegli eventi.» Mi indicò con un secco gesto
del capo. «Quella sciagurata ragazza è stata incauta una volta di troppo e a
causa sua per poco non ci rimettevamo tutti la pelle.»
Tempo
prima, mi avrebbe ferito sentire quella bugia uscirle dalle labbra, mi sarei
sentita male al pensiero che qualcuno potesse davvero darle retta, ma giunti a
quel punto, non riuscivo a provare più niente, non dopo aver scoperto quando
profondamente mi odiasse, quanto inutili fossero stati tutti i miei tentativi
nel corso degli anni di provare a stringere un legame con lei, piegandomi,
lasciandola sfogarsi sul mio corpo come più aveva desiderato, senza mai fiatare
con nessuno, senza magari provare a palarne con un padre con cui avrei potuto
stringere un rapporto molto prima. Avevo permesso che mi manipolasse, che mi
trascinasse a fondo con lei fino quasi ad annientarmi, a causa sua avrei
convissuto per tutta la vita con paure e insicurezze che avrei sempre avuto
difficoltà ad affrontare. Poggiai la mano sopra quella di Leo, sopra la mia
pancia, le nostre dita si intrecciarono silenziose. Non sarei mai diventata una
donna forte e sicura di me, non sarei mai riuscita a correre da sola a testa
alta, eppure sapevo che grazie a Leo avrei potuto quantomeno camminare con le
mie gambe, certa che ci sarebbe stato sempre lui dietro ad afferrarmi se mai
fossi caduta.
Guardai
papà, che si era ritirato in un angolo della stanza, lo sguardo chino sul
tappeto, Lucas a pochi passi di distanza gli scoccava delle occhiate
preoccupate, mordendosi di quando in quando il labbro inferiore, palesemente
bisognoso di capire cosa stesse succedendo nella mente di mio padre. Come me, del
resto.
«Strano,»
la voce bassa e lievemente minacciosa di Isaac rimbombò in tutta la stanza,
catturando nuovamente la mia attenzione, «perché da quello che so, pare che sia
stata tu ad appiccare l’incendio.»
Mamma,
se possibile, sbiancò ancora di più. Aprì la bocca per ribattere ma le uscì
fuori solo un flebile lamento.
«I-impossibile,»
gemette alla fine. «Ho raccontato più volte com’è andata.» Voltò il capo nella
direzione di papà, che però era ancora perso nella sua mente, poi guardò me.
«Tu sai com’è andata!» urlò verso di me, con una non tanto nascosta nota di
disperazione nella voce. Rimasi muta, non del tutto certa di voler ribattere né
di voler confermare quelle parole. Anche se quella sera avevo dolorosamente
aperto gli occhi sul conto di mia madre, le abitudini del passato erano dure a
morire e una parte della mia mente d’impulso avrebbe sempre cercato
scioccamente la sua approvazione.
«Desdemona,»
conoscevo quel tono del mio Signore era quello che usava quando stava per
ordinarmi qualcosa, mi irrigidii nella sua stretta, pronta a obbedirgli
qualsiasi cosa mi avesse chiesto, «racconta a tuo nonno quel che hai detto a
me.»
Cioè in
pratica, mi stava chiedendo di accusare mia madre di tentato omicidio e di
farlo alla presenza di un giudice che, in teoria, avrebbe anche potuto farla
condannare a morte.
Sentii
il panico invadermi, il respiro si fece affannoso, la vista appannata. Tutti
gli occhi della sala erano puntati su di me, tutti mostravano emozioni diverse,
tutto dipendeva da me, non potevo farcela, non potevo.
Strinsi
spasmodicamente la presa attorno alle dita di Leo, annaspando nell’atroce
tentativo di respirare, di impedire a me stessa di districarmi da quella
stretta che mi sembrava così soffocante e di correre in giardino.
«Vedete?»
esclamò con un sorriso tremulo mia madre, approfittando del mio panico più
totale per cercare di districarsi da quella situazione. «Non parla, mi sembra
evidente che si sia inventata una qualche fantasiosa bugia per risultare una
piccola e ingenua ragazzina che aveva bisogno di essere coccolata, ma ora con
me presente pronta a smontare ogni sua parola, non riesce a trovare il coraggio
di aprire bocca.» Rise, ritrovando un po’ della sua vecchia audacia che le
ridiede colore alla faccia, si avvicinò cautamente alla poltrona dove il padre
stava seduto e ci guardò, scuotendo piano il capo con aria commiserevole.
«Povero,
povero Leonard, ti sei fatto incantare dalle sue dolci paroline e hai creduto
che dicesse la verità. Ma guardala, guarda com’è spaventata, come un topo preso
astutamente in trappola dal gatto e che ha capito troppo tardi di aver commesso
un grave errore.» Mamma rise di nuovo, cattiva. «O forse è stato il suo immenso
seno a traviarti, Leonard?»
«Si chiama Leo!» urlai
chiudendo gli occhi e buttando fuori tutto il poco fiato che ero riuscita ad
accumulare fino a quel momento. Mamma sussultò, non aspettandosi quel mio
scatto e arrossendo per essere stata di nuovo colta in errore.
«Tu,»
esclamai puntandole il dito contro, «sei quella in trappola, non io!» sentii
Leo dietro di me inspirare, stringendo la presa sulle mie dita, e io ancorata a
lui con tutte le mie forze, continuai. «Mi hai torturata per anni, hai giocato
con me come una bambina crudele gioca con la più odiata delle sue bambole!» strinsi
le labbra, incapace di trattenere le lacrime d’ira che quello sfogo stava
provocando, mia madre mi guardava attonita, come se avesse davanti una perfetta
estranea, come se mai avesse ritenuto possibile che quella vigliacca di sua
figlia sarebbe stata in grado di risponderle a tono, ciò mi fece arrabbiare
ancora di più. «Non giustificarti dicendo che l’hai fatto perché odiavi papà e
di conseguenza me in quanto frutto della sua violenza, io sono cresciuta perennemente violentata da te, e guardami! Hai
cercato di distruggermi eppure eccomi qui.» Mi battei con forza una mano sul
petto per sottolineare quel concetto. Il mio intero essere traboccava rancore,
tutto quello che non ero mai riuscita a dirle in quegli anni, alla fine stava
sgorgando come un fiume in piena. «Mi hai violentata ogni giorno per anni,
fisicamente e mentalmente. Quando ero piccola mi tenevi ferma mentre mi
infilavi gli aghi nelle braccia, sotto le unghie! Io singhiozzavo e ti
imploravo di fermarti, ma tu continuavi minacciandomi che se l’avessi
raccontato a qualcuno mi avresti tagliato la lingua con le tue amate forbici
arrugginite. Se facevo qualcosa che per te era sbagliata mi picchiavi con i
bastoni, non importava dove; sulla schiena, sulle gambe, sulle braccia e lo
facevi con così tanta cattiveria che dopo non riuscivo più a muovermi.»
Inspirai bruscamente vedendo con la coda dell’occhio la faccia di Isaac farsi
sempre più tetra, dietro di me Leo era silenzioso e rigido. «Se mi addormentavo
fuori dalla mia camera da letto, ti divertivi a svegliarmi gettandomi addosso
l’acqua gelida, anche in pieno inverno… per colpa tua soffro di crisi di panico
che non riesco a controllare e quando le ho avute davanti a te, tu non hai mai
fatto niente per aiutarmi, anzi te ne andavi, perché la mia sofferenza
evidentemente ti annoiava! Sei addirittura entrata in camera mia in piena notte
con un attizzatoio rovente e me l’hai schiacciato sulla schiena! Quello che
papà ti ha fatto è stato certamente orribile, nessuna donna dovrebbe mai affrontare
una cosa simile, ma tu non meriti compassione, non da me.» Tirai su col naso,
accasciandomi stancamente contro il petto di Leo, abbassai gli occhi,
pensierosa. «Non voglio che i miei figli vivano nel terrore e nell’insicurezza
com’è successo a me, io sarò una madre migliore di quanto tu non sia mai
stata.» Risollevai gli occhi su di lei, risoluta. «Perché sono una persona
migliore di te.»
Mamma
non parlò, il suo volto era tornato rosso di collera, i suoi occhi stretti, la
mascella serrata.
Io mi
sentivo stremata, pronta a crollare da un momento all’altro, ma sapevo che non
era finita lì, che dovevo ancora concludere. Il pollice di Leo mi carezzò piano
il dorso della mano e quel piccolo gesto mi diede quella poca forza che mi
occorreva per terminare. Voltai il capo verso Isaac che per tutto il tempo
aveva alternato lo sguardo sempre più cupo da me a mia madre, e con un ultimo
sforzo gli raccontai la mia versione dei fatti. Gli dissi esattamente quello
che avevo detto a Leo, occhieggiando di quando in quando mia madre, sfidandola
con lo sguardo a contraddirmi come poco prima aveva minacciato di fare. Lei non
fiatò, ma iniziò lentamente ad arretrare verso la portafinestra che dava sul
giardino.
«Ferma
lì,» le intimò Leo, la voce che grondava collera e odio. Mamma si bloccò,
atterrita.
«Mary,
vieni qua,» la chiamò Thornberry rigidamente e lei dopo un’iniziale
tentennamento, si mosse per affiancarlo. Subito la lunga mano del giudice
scattò verso quella della figlia, intrappolandola in una presa che sembrava
molto dolorosa, mamma però non emise alcun suono, limitandosi a storcere
leggermente la bocca.
«Adesso,»
riprese Isaac continuando a tenere la figlia così che non potesse provare ad
allontanarsi nuovamente, «mi stavi dicendo che ti sei avvicinata alla porta per
cercare di uscire, ma che era chiusa a chiave.»
Annuii,
rievocando fin troppo bene il fumo che mi entrava nei polmoni, il calore che
diventava sempre più intenso, il panico che mi impediva di pensare logicamente.
«La
chiave non c’era,» ripresi con voce roca a causa delle urla e del pianto di
poco prima.
«E come
sei uscita da lì?»
«Sono
stato io.» Papà ancora una volta riemerse dalla nebbia dei suoi pensieri per
intervenire nella conversazione, si staccò dalla parete avvicinandosi a me.
«Stavo andando in camera mia quando ho visto il fumo e, avvicinandomi alla
biblioteca, l’ho sentita urlare.» Strinse i pungi, puntando lo sguardo
inferocito verso mia madre. «Ho dovuto sfondare la porta e trascinarla fuori,
così come anni prima sono stato svegliato dalle urla disperate di mia figlia
che veniva torturata con un attizzatoio.» Guardò Isaac teso e arrabbiato. «Non
potete immaginare cosa si provi a sentire penetrare nelle narici fin dentro
l’anima l’odore della carne bruciata di tua figlia. Le sue urla disperate che
ancora oggi mi rimbombano nelle orecchie, ogni singolo istante.»
Mi
sfuggì un gemito mentre ricominciavo a piangere sommessamente, Leo mi circondò
con entrambe le braccia, baciandomi la sommità del capo e avvolgendomi
interamente con il suo calore, la sua presenza.
«Volevi
vendicarti di me, Mary, ci sei riuscita.» Scosse piano la testa ridendo, una
risata senza alcuna gioia. «Ma quanto è vero che respiro, non avrò pace finché
non ti avrò restituito ogni singolo colpo che tu hai inferto a lei.»
Mamma
cercò di divincolarsi dalla presa del padre e Isaac scelse proprio quel momento
per sollevarsi, sovrastandola con la sua statura.
«Tutto
ciò è molto bello e poetico, ma qua stiamo dimenticando la ragione che mi ha
portato a essere qui stasera.» Si voltò dunque a guardare Leo. «Perdonatemi,
Fortescue, ma qui vedo solo molti fatti e nessuna prova, saprete bene come sono
fatto, ho bisogno di qualche certezza.»
Leo
grugnì.
«Dovete
sapere,» iniziò sciogliendosi in parte dal nostro abbraccio e infilandosi una
mano nella tasca dei pantaloni, «che quando sono andato a Londra per assistere
alla lettura del testamento di mio padre, ho portato con me alcuni miei uomini,
persone fidate a cui in passato ho affidato la vita in più di un’occasione e
come potete ben vedere, sono ancora qui tutto intero.» Isaac annuì, incitandolo
a continuare, impaziente. «Quegli uomini sono poi rimasti a Londra, a occuparsi
della ricostruzione della nostra vecchia dimora.»
Tirò
fuori la mano, il pugno chiuso rivolto verso l’alto, lentamente, schiuse le
dita per mostrare a tutti cosa teneva sul palmo. Sussultai, sporgendomi in
avanti per guardare meglio.
«La
chiave!» esclamai, riconoscendola come la chiave della vecchia biblioteca della
nostra dimora.
Isaac si
avvicinò, trascinandosi dietro mamma per poter osservare meglio l’oggetto.
«E
questa sarebbe la vostra prova?»
Sentii
dietro di me Leo scrollare le spalle.
«Non la
chiave, ma dov’è stata ritrovata.» Con la coda dell’occhio, vidi il volto di
mia madre farsi pallido. «Ho una mezza dozzina di uomini pronti a giurare
davanti a qualsiasi corte di aver rinvenuto la chiave tra i cespugli della
casa.»
Isaac
sollevò un sopracciglio, scettico.
«Uomini
fedeli a voi.»
«Uomini
fedeli alla giustizia, come lo siete voi del resto.»
Anche se
non potevo leggergli nel pensiero, sapevo che in quel momento la mente di
Thornberry stava elaborando la sua prossima mossa, stabilendo se continuare a
proteggere una figlia con cui aveva evidentemente dei trascorsi poco piacevoli
o se accettare la resa e renderci finalmente liberi.
«Non
crederai sul serio a questo mucchio di sciocchezze!» strillò mia madre
divincolandosi dalla presa e facendo un passo indietro. «Stanno solo cercando
di incastrarmi. Come posso difendermi se sono tre contro una? Ovviamente la
loro versione è più credibile, si sono tutti messi d’accordo contro di me!
Padre, io no—»
Lo
schiaffo che Isaac le assestò fu così fulmineo che la mia mente registro il
movimento solo a fatto compiuto, lo schiocco che risuonò nella stanza fu secco,
brutale, cattivo. Quello era stato un colpo inflitto col desiderio di far male.
«Stai
zitta,» le intimò con un sibilo tremendamente minaccioso. «Non stento a credere
a una singola parola di ciò che mi hanno detto, foss’anche venuto a
raccontarmelo solo il più umile degli stallieri, avrei comunque creduto di più
alla sua versione che non alla tua, sei sempre stata una piccola, viscida
bugiarda.»
Mi
appiattii contro Leo, intimorita da quell’uomo e dal suo tono di voce che
trasudava solo rancore e astio. Subito le sue braccia tornarono a circondarmi,
e le sue dita iniziarono a carezzarmi lievemente, per cercare di
tranquillizzare i battiti del mio povero cuore.
Isaac si
avvicinò di un passo a mamma che si teneva le mani premute contro la guancia
livida, gli occhi lucidi fissi in quelli del padre.
«Dovevo
aspettarmi un simile risvolto, dopotutto sei nata maledetta e disgraziata,»
ringhiò l’uomo afferrandola per un polso. «Per colpa tua ho perso mia moglie.»
Mamma
provò ancora una volta a divincolarsi e per la foga, perse l’equilibrio
ritrovandosi sdraiata a terra.
«Non è
colpa mia se la mamma è morta partorendo,» urlò lei cercando di rimettersi
faticosamente in piedi. «Mi hai sempre punita per colpe che non avevo!»
Isaac
l’afferrò per un braccio, rimettendola bruscamente in piedi e avvicinandosi al
suo volto. «Vorrà dire che adesso, ti punirò per le colpe di cui ti sei
effettivamente macchiata.»
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