Capitolo 53

 

Osservai attentamente mio padre, in silenzio, mentre lui spostava quasi disgustato il piatto del signor Thornberry.

«Perché mai Leo vorrebbe quell’uomo qui?» chiesi, bevendo un sorso d’acqua per cercare di attenuare la secchezza che sentivo in bocca.

Papà voltò il capo in direzione della finestra, pensieroso. «Tempo fa mi chiese di mettermi in contatto con lui, per raccontargli tutti i guai che sua figlia aveva causato nel corso degli anni.» Si accigliò per un fugace istante. «Thornberry non ha mai voluto essere contattato, sai, invecchiando in lui era cresciuto il terrore che qualcuno potesse scoprire i suoi affari con nostro padre; a questo proposito, una delle molte clausole del contratto prevedeva di interrompere ogni tipo di comunicazione diretta con lui, così che nel caso fossimo stati scoperti, lui si sarebbe comunque potuto dichiarare estraneo, salvando la faccia e il buon nome.»

«Però ha continuato ad aiutarvi?» volli sapere, per cercare di inquadrare meglio quel nuovo arrivato nella mia vita.

Papà annuì seguitando a guardare fuori dalla finestra. «In maniera molto marginale sì, e sempre per vie indirette. Tuttavia, e possiamo dire per fortuna, negli anni nostro padre era riuscito a crearsi una buona rete di informatori, collaboratori e amici, così da poter sopperire alla mancanza di sostegno da parte sua.»

Staccai un pezzo di carne con la forchetta e me lo portai alla bocca, masticando molto lentamente.

«Allora lui non ha mai saputo quel che succedeva in casa nostra?»

A quella domanda si voltò a guardarmi, sollevando mestamente le spalle.

«Io mi sono sempre attenuto al contratto, fino a quando tuo zio non mi ha chiesto di mettermi in contattarlo; quindi se sapeva qualcosa da prima non è stato certo grazie a me.»

Bofonchiai un assenso e continuai a giocare distrattamente con il cibo nel mio piatto.

«Ma mamma sapeva di questo accordo? Sa che lavoro fai?»

Sospirò, sistemandosi meglio sulla sedia. «No, non sa nulla.»

Sollevai il capo per guardarlo e i nostri occhi si incontrarono.

«Ma allora…» mormorai, la forchetta rigidamente stretta tra le mie mani. «Perché si comporta così? Se non sa niente, se non sa che tu non le puoi fare niente a causa del contratto, perché ha sempre fatto quel che le pareva?»

Vidi un milione di emozioni diverse passare nello sguardo di mio padre, riconobbi la tristezza, la rabbia e… la colpevolezza.

«Perché non le importa, Desdemona,» cercò di spiegarmi. «Lei… ovviamente non voleva questo matrimonio, come del resto non lo volevo io, ma i nostri genitori avevano ormai firmato, quindi fummo costretti; solo io però sapevo di questo problema pressante che gravava sulle nostre teste, per lei era solo un matrimonio combinato e…» distolse però lo sguardo, come se gli facesse male guardarmi, come se si sentisse in imbarazzo a farlo. «Dopo che ci siamo sposati, per lei nulla aveva più importanza. Di conseguenza ha fatto tutto quello che voleva, senza alcun riguardo verso niente e nessuno, semplicemente perché non le importava delle ripercussioni; poiché per lei, come mi ha urlato centinaia di volte: “la sua vita è finita il giorno in cui mi ha conosciuto”.»

Ma c’era altro in quella storia, altro che mio padre non mi stava dicendo, lo vedevo, lo percepivo nel tono, nello sguardo colpevole e mortificato, qualcosa di cui si vergognava profondamente, tanto da non riuscire nemmeno a parlarne.

«Capisco,» mi limitai a dire, decidendo per il momento di ignorare quel sentore di sospetto che era scattato in me.

Rimasi in silenzio per molti minuti, mangiando il mio pollo ormai freddo. Pensai a Molly e alle sue gentilezze che col senno di poi mi apparivano così lontane, così vuote; pensai alla signora Patrick e a quanto dolore doveva aver provato vedendo il cadavere della figlia; pensai a Stevenson, al dolore nella sua voce quando mi aveva parlato del suo passato e a quella tremenda cappa scura che per un attimo gli avevo visto adombrargli lo sguardo; e infine, pensai a Leo, al mio amato Leo, di nuovo tornai a sollevare la mano per carezzarmi il collo nudo.

«Papà,» lo chiamai con ancora le dita poggiate sulla tenera carne della mia gola, lui mi lanciò un’occhiata obliqua, «so che tu sei stato il primo a indagare sugli omicidi avvenuti in questa zona.»

Istantaneamente, il suo intero corpo parve rilassarsi, palesemente lieto che avessi cambiato argomento. «Sì,» confermò giungendo le mani sul tavolo davanti a sé e spingendo il busto in avanti, per avvicinarsi a me. «Non so cosa ti abbiano raccontato, ma tornai qui convocato da una famiglia, vecchi amici e collaboratori del nonno, perché la loro figlioletta era stata uccisa.»

Annuii, per fargli intendere che ero già al corrente di quei dettagli.

«Avevo telegrafato immediatamente ai nostri contatti qui in zona per scoprire di più in merito a quella faccenda e, uno di essi, mi rispose quasi lo stesso giorno per dirmi che non era la prima volta che sentiva parlare di una ragazza morta in quelle stesse tragiche e brutali circostanze.» Scrollò le spalle, continuando a parlare. «Così mandai Lucas per saperne di più e, quando tornò, mi raccontò che stando alle voci e ai resoconti della polizia degli ultimi anni, erano morte otto ragazze nelle stesse condizioni. Le autorità, tuttavia, si erano limitate a incolpare gli animali selvatici o i banditi. Nessuno prima di allora aveva mai ipotizzato che potesse esserci un nesso in quegli avvenimenti.»

«Ma il filo conduttore c’è, giusto?» chiesi col cuore che batteva a mille per la curiosità morbosa che mi saliva nel petto, desiderosa di saperne sempre di più. Papà mi guardò intensamente per un lunghissimo istante.

«Io… penso di sì,» affermò con decisione. «Purtroppo su alcune di loro non ho molte informazioni, ma da quello che sono riuscito a scoprire, le ragazze erano tutte molto giovani, inoltre, chiunque abbia commesso quegli omicidi, sapeva quando colpire.»

Papà sciolse le mani per indicare un punto sulla tovaglia, volendo mostrarmi qualcosa che stava visualizzando nella sua mente.

«Ognuna delle ragazze è stata uccisa in un luogo isolato. La figlia dei Patrick, la famiglia che per prima si mise in contatto con noi, morì sulla riva di un ruscello non lontano da qui, un ruscello che era solita frequentare.» Il dito si mosse sulla superficie del tavolo, spostandosi leggermente. «Dopo di lei, morì una ragazza che venne ritrovata vicino al sentiero che era solita percorrere per tornare a casa.» Il dito si spostò ancora. «Una venne trovata nel luogo isolato dove si recava per incontrare il suo innamorato, un’altra vicino al pozzo fuori città, dove andava a prendere l’acqua.» Il dito arrivò al bordo del tavolo. «Nessuna di loro è morta a caso,» mormorò cupo, fissando il punto che stava indicando. «Chi le ha uccise sapeva quando colpire, sapeva quando avvicinarsi a loro così da poterle sopraffare, senza che nessuno lo individuasse.»

I suoi occhi si puntarono nei miei, sentivo il cuore battermi furiosamente nelle orecchie.

«Sono convinto che quest’essere, conoscesse le sue vittime, le osservasse e studiasse per settimane, magari per mesi interi, prima di agire.» Inspirò profondamente. «Magari ci parlava pure, se le faceva amiche.»

Sgranai gli occhi, sorpresa.

«Così che vedendolo non avessero paura di lui,» esclamai e mio padre annuì serio.

«Sono convinto che molte di loro, se non tutte, conoscessero l’assassino, che si fidassero di lui; il che spiegherebbe anche perché nessuna di loro, almeno le ultime di cui ho potuto esaminare i rapporti degli agenti, pare aver lottato per difendersi dall’aggressione.»

Mi si mozzò il fiato a quella scoperta, mi mossi per avvicinarmi a mio padre sporgendomi sul tavolo, sperando di poter ottenere ancora più informazioni.

«E le famiglie cos’hanno detto?» chiesi con un filo di voce, lui mi guardò e scosse la testa.

«Purtroppo niente, quando gli abbiamo parlato non hanno saputo darci dei nomi che risultassero validi. Erano tutte persone del paese o amici delle ragazze da lunga data. Tutte piste che abbiamo dovuto scartare.»

Mi accigliai, pensierosa.

«E che mi dici della prima ragazza trovata morta?»

Papà sospirò, continuando a scuotere il capo.

«Non molto purtroppo, più gli omicidi erano datati, meno persone sembravano ricordare o sapere delle prime vittime; so solo vagamente dove sono stati ritrovati i loro corpi, alcune non hanno nemmeno un nome, figuriamoci sulla prima in assoluto.»

Rimasi un attimo in silenzio, pensierosa.

«Dove fu rinvenuta la prima ragazza?»

Gli occhi di mio padre si ridussero a due fessure e con un movimento lento tornò a incrociare le dita davanti a sé.

«Dicono…» iniziò soppesando attentamente ogni parola, «che venne ritrovata nel bel mezzo di una strada appena fuori Gloucester.»

Sbattei le palpebre, perplessa.

«Molto strano, no?» feci notare. «Quelle sono strade trafficate, a qualsiasi ora del giorno e della notte, perché rischiare tanto?»

Papà annuì piano, seguendo il mio ragionamento.

«Forse voleva che venisse trovata, voleva che la gente sapesse che era morta e com’era morta.»

«Voleva umiliarla.» Realizzai spalancando gli occhi. «L’aveva lasciata dove tutti potessero vederla per umiliarla, così come le altre ragazze… Se impiega tanto tempo a studiarle così bene, conosce i posti e sa anche dove poterle portare per far sì che nessuno possa mai trovare i loro corpi, invece le lascia dove sa che verranno ritrovate.»

Papà si fece pensieroso, corrucciò la fronte fissandosi le mani.

«Ma… perché farlo? Che motivo avrebbe per voler umiliare delle ragazzine anche dopo averle uccise?»

Scossi la testa tornando a sistemarmi meglio sulla sedia.

«Magari mi sto sbagliando,» iniziai pensierosa. «Magari le aveva lasciate lì perché a spostare i corpi avrebbe rischiato ancora di più. Ciononostante, dubito fortemente che la prima ragazza fu uccisa nello stesso luogo del rinvenimento,» affermai decisa. «Se venne uccisa, denudata e… sventrata, non credo proprio che il colpevole avrebbe avuto il tempo necessario di mettere in pratica ognuna di quelle azioni e andarsene inosservato, sporco e con un carico di vestiti, per di più nel bel mezzo di una strada aperta e trafficata come quelle attorno alla città.»

Papà assentì con aria solenne. «Sì, lo credo anche io, resta il problema che nessuno pare conoscesse quella ragazza, nessuno andò mai a identificare il corpo e comunque, parliamo di una storia di quasi otto anni fa, è tremendamente difficile ricostruire gli eventi quando sono così datati.»

Rimanemmo in silenzio mentre attorno a noi i rumori della casa si amalgamavano per diventare un lieve ronzio di sottofondo.

«Mi irrita sapere che sia in questa casa,» scattò mio padre guardandomi, gli occhi che brillavano per l’emozione. «Mi irrita sapere che siede al mio stesso tavolo a ogni pasto, ridendo dentro di sé perché ancora non siamo riusciti ad avvicinarci a lui.»

«Beh,» iniziai titubante, «almeno questa volta sai già su chi ha puntato gli occhi, quindi sei avvantaggiato rispetto alle altre volte.»

Il volto di mio padre si rabbuiò tremendamente.

«Giusto, c’è anche questo che mi fa irritare e riflettere.»

Sciolse le mani dall’intreccio davanti a sé e sollevò due dita della mano destra.

«Ogni anno, le sue vittime sono al massimo due,» disse indicandosi con l’indice della mano destra una delle dita. «La figlia di un fattore qua vicino, John Williams,» spostò l’indice sull’altro dito, «la figlia del baronetto Stewart Scott, l’ultima.»

La giovane nobile la cui morte era stata riportata sui giornali, quindi annuii seguendo il ragionamento di mio padre, che tornò ad abbassare le mani indicando poi me con un cenno del capo.

«Ha già ucciso due ragazze quest’anno, il fatto che voglia uccidere anche te… è strano.»

Le rughe sulla sua fronte si fecero più marcate.

«In effetti, ultimamente, si sta comportando in modo molto strano, sembra quasi preso da una strana frenesia. Perché uccidere una ragazza nobile attirando così tanto l’attenzione su di sé? Perché distaccarsi improvvisamente dai suoi schemi?»

Sollevai le spalle.

«Magari non c’è mai stato uno schema? O forse qualcosa è cambiato.»

Papà sospirò pesantemente, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.

«Mi urta il non riuscire a capire,» mormorò guardandosi le mani. «E provo una furia cieca al solo pensiero che abbia messo gli occhi su di te,» continuò incrociando il mio sguardo. «Ma che io sia dannato se gli permetterò di toccarti anche solo con un dito, dovessi ordinare a Leo di uccidere ogni singolo ospite presente.»

Un brivido freddo mi percorse la schiena, perché sapevo, esattamente come era già successo con Leo, che quella non era solo una minaccia a vuoto, ma una solenne promessa che nel più estremo dei casi, sarebbe stata mantenuta.

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