Capitolo 51 + Annuncio

 

Andrew rimase ancora qualche minuto a conversare del più e del meno in mia compagnia, ogni tanto scorgevo il suo sguardo abbassarsi sul mio collo per poi tornare rapidamente ai miei occhi; sapevo troppe cose su di lui per credere che mi stesse sbirciando la scollatura, c’era evidentemente qualcos’altro che lo tormentava, ma mi domandavo se fosse il caso o meno di chiederlo, almeno non con Mikhail lì presente. Alla fine, quando Drew ritenne di essersi trattenuto abbastanza, entrambi gli uomini fecero per uscire. Il maggiordomo mi salutò molto rispettosamente, inchinandosi e precedendo il suo padrone fuori dalla stanza, così da tenergli la porta aperta, Andrew mi sorrise, lanciandomi un’ultima occhiata alla gola scoperta.

«La tua, mh…» mormorò, lanciando un’occhiata rapida alle sue spalle, «la tua collana, l’altra sera, era molto bella.»

Arrossii, abbassando il capo timidamente, non avevo bisogno di ulteriori commenti per capire che dietro quello che sembrava un blando complimento c’era nascosto tutto un mondo.

«Grazie,» bisbigliai con un filo di voce, «anche a te piacciono molto… le collane, vero?»

Sorrise, un sorriso timido che gli arricciò deliziosamente il naso.

«Molto,» ammise lanciando un’altra occhiata alle sue spalle.

«Magari potremo parlare di questa nostra… passione, in un altro momento?»

Ero certa che i miei occhi brillassero intensamente, tanto quanto i suoi, quando ci scambiammo un cenno d’intesa. Sì, avevamo molto di cui parlare, ma sarebbe stata una conversazione solo per le nostre orecchie.

Andrew si inchinò scherzosamente per salutarmi e, dopo avermi augurato una pronta guarigione – anche se ormai mi sentivo quasi totalmente tornata in me – uscì anche lui dalla stanza lasciandomi sola.

«Tutto bene?» domandò Stevenson affacciandosi dal corridoio, gli sorrisi e chiesi se ci fosse tempo per accogliere il prossimo ospite o se dovessi già ritirarmi in camera – non che non volessi pranzare assieme a tutti gli ospiti, ma mi sembrava scortese presentarmi in sala quando ancora non avevo finito di ricevere singolarmente le persone che avevano avuto la gentilezza di venirmi a trovare dopo aver saputo del mio malore – e lui scrollò le spalle, dubbioso.

«Possiamo sempre interrompere la visita prima, i prossimi ospiti non credo saranno di vostro gradimento.»

Mi corrucciai, tornando a sedermi composta sulla sedia.

«Chi sono?»

«I gemelli Reyman.»

Rimasi genuinamente sorpresa dalla notizia, dal nostro primo incontro non mi avevano dato l’impressioni di nobili che avrebbero fatto visita a una persona malata. Chiesi dunque a Stevenson di farli accomodare e lui annuì serio, sparendo poi dietro la porta.

Utilizzai quei secondi di solitudine per inspirare profondamente e cercare di calmarmi, nonostante il lieve scombussolamento provocato dalle parole del maggiordomo. Quando i gemelli entrarono, ero pronta a riceverli al meglio delle mie possibilità, inaspettatamente però, Stevenson rientrò assieme a loro anziché trattenersi fuori, come per tutte le altre visite.

Jeremy ghignò occhieggiando il maggiordomo che accostava la porta senza chiuderla.

«Buongiorno, signorina Fortescue,» mi salutò Martin galantemente, sedendosi sulla sedia dirimpetto al divano dove mi trovavo io, Jeremy lo imitò in tutti i movimenti, andando però a posizionarsi accanto alla mensola del camino, poco distante dal fratello.

«Spero vi sentiate meglio oggi,» s’informò Jeremy e io sorrisi, cercando di non controllare con lo sguardo dove si fosse piazzato Stevenson.

«Molto meglio, grazie.»

«Speriamo che aver scoperto la verità non vi abbia… turbata più del dovuto,» continuò Martin, un sorrisetto sornione che non mi piacque per nulla dipinto in volto.

«Affatto,» affermai decisa, «è stato solo lo shock del momento, ma come vedete mi sono prontamente ripresa.»

I due uomini si scambiarono un’occhiata divertita.

«Volete dunque farci credere,» iniziò Jeremy sollevando lentamente un sopracciglio, «che siete perfettamente a vostro agio sapendo che in questa stanza siete circondata da assassini che potrebbero saltarvi alla gola in qualsiasi momento?»

Martin rise in modo sinistro, stavano evidentemente cercando di spaventarmi, ma non ci sarebbero riusciti, non glielo avrei permesso, con la coda dell’occhio vidi Stevenson avanzare di un passo pronto sicuramente a difendermi in qualche modo ma prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, intervenni.

«Assolutamente,» risposi guardando entrambi i gemelli per un lungo istante negli occhi, «perché so che per voi è un lavoro, non un malato bisogno derivato da qualche strana pulsione.»

Jeremy rise, mentre Martin mi fissava sornione.

«Magari sono entrambe le cose,» ribatté l’ultimo, l’angolo della bocca sollevato in un sorriso carico di sottintesi, «magari facciamo questo lavoro, siamo complici di vostro zio, perché ci piace uccidere le persone.»

Jeremy annuì, sorridendomi a sua volta.

«Dopotutto è molto più bello cacciare una preda intelligente quasi quanto voi.»

«Quasi?»

Martin scrollò le spalle.

«Se sono morti e noi siamo ancora vivi evidentemente non erano così tanto intelligenti.» Jeremy ridacchio. «E poi,» aggiunse, «se fossero intelligenti non finirebbero sulla lista nera di vostro zio.»

Li guardai in silenzio e loro mi restituirono lo sguardo divertiti, certi di essere riusciti in qualche modo a intimorirmi.

«Toglietemi una curiosità,» proruppi con il tono spensierato di chi sta conducendo una normalissima chiacchierata tra vecchi amici, «come avete conosciuto mio zio?»

Martin si sporse per prendere uno dei pasticcini avanzati dalla mia chiacchierata con Andrew e Jeremy scrollò le spalle prendendo parola.

«Avevamo contatti con vostro padre in realtà, ci ha aiutati a sistemare alcune… spiacevoli faccende di eredità.»

Martin sul divano masticava rumorosamente il dolce, osservandoci attentamente uno a uno.

«A quel tempo, eravamo stati più che lieti di assisterlo quando si era trattato di risolvere i nostri spinosi problemi, ci offrimmo di aiutarlo più che volentieri qualora avesse di nuovo avuto bisogno di noi.» L’uomo sollevò le mani, indicando l’intera casa e sorridendomi. «Grazie al nostro nuovo titolo abbiamo ereditato una casa non lontana da qui, e quando vostro zio è tornato in patria, vostro padre ha ritenuto che la nostra vicinanza e conoscenza del luogo potessero tornargli utili.»

«Per aiutarlo a rintracciare l’assassino di ragazze?»

«Vi hanno parlato anche di questo?» chiese Martin con ancora il dolce in bocca, per qualche motivo non mi sembrava particolarmente sorpreso, io assentii senza aggiungere altro, non sapevo che idea si fosse fatto Leo su quei due e di conseguenza non volevo sbilanciarmi troppo, rivelandogli dettagli che magari lui preferiva tenere nascosti.

«Ebbene sì, anche per quello, oltre che per qualche altro affare di minor importanza,» riprese Jeremy avvicinandosi al mio divanetto e sedendosi accanto a me, allungando poco signorilmente le braccia lungo lo schienale. «Vostro zio e vostro padre saranno anche cresciuti in questa bella dimora, ma in quanto boschi e villaggi limitrofi, finché non siamo arrivati noi, sapevano o ricordavano ben poco. Gli serviva qualcuno del posto, qualcuno in confidenza con gli abitanti della zona e che conoscesse tutta la contea come il palmo della propria mano.» Il gemello sollevò le spalle scuotendo la testa. «Noi siamo praticamente cresciuti nei boschi, sapremmo camminare per questi luoghi anche bendati e procedendo di spalle.»

Assentii attenta, ancora una volta grata alla mia quasi impassibilità espressiva che mi permetteva di mostrarmi totalmente a mio agio nonostante la vicinanza dell’uomo. Con Andrew mi ero sentita perfettamente al sicuro sebbene si fosse seduto in quello stesso posto e mi avesse anche toccata. Ma con quell’uomo proprio non riuscivo a calmarmi, anche se era ben lontano dal mio corpo.

«E la Duchessa Cavendish,» domandai per cercare di ignorare il disagio che mi stava avviluppando rapidamente, «com’è che l’avete conosciuta?»

«Oh, Elisabeth,» esclamò Martin prendendo un altro pasticcino e staccandone voracemente un pezzo coi denti, «la conosciamo da lunga data, quando ancora non era la Duchessa di Cavendish, ma solo una ragazzina viziata che non si allontanava un attimo dal fianco del padre.»

Jeremy annuì, passandosi una mano sul mento come stesse riflettendo.

«Sì, ricordo che all’epoca era un vero e proprio maschiaccio, ma crescendo circondata solo da presenze maschili capita, poi il padre decise di mandarla… credo in collegio o in uno di quegli istituti pomposi per persone ricche dove insegnano alle giovani signorine come comportarsi.»

«Quando tornò,» continuò Martin fissando l’altro pezzo di dolce, «era diventata la signorina beneducata che è ancora oggi, anche se devo dire ha sempre conservato la lingua tagliente e la propensione per il dibattito che la accompagnavano fin da ragazzina. Poco dopo essere tornata, comunque, andò in sposa al Duca di Cavendish,» scosse il capo palesemente contrariato, «un vecchio bavoso il cui unico scopo era mettere le mani sulla più bella del paese e, sfortunatamente per Elisabeth, in quel periodo la più bella era proprio lei.»

Anche Jeremy si sporse per prendere un dolcetto, lo annusò rapidamente, studiandolo con scrupolosa attenzione, prima di assaggiarne un angolo.

«Per fortuna, suo marito non è durato molto e ora è una ricchissima e nobile vedova,» concluse Martin mentre il fratello continuava ad assestare piccoli morsi al dolce.

«Sì, ma com’è che anche lei è… divenuta una di voi?»

Martin sollevò il lato sinistro della bocca, ghignando apertamente.

«Non ci arrivate da sola?»

Jeremy rinunciò a finire il dolcetto e lo appoggiò sul tavolo, tornando a voltarsi verso di me. «Tutti noi siamo qui perché prima di aiutare, abbiamo chiesto aiuto

Corrucciai la fronte, lanciando un’occhiata rapida a Stevenson, dritto e scuro, poco distante dal mio divanetto, sembrava sul punto di scattare e staccare qualche testa, e sapevo bene che la testa che stava puntando non era la mia.

«Quindi,» riflettei ad alta voce tornando a guardarli, «la duchessa ha chiesto aiuto… per sbarazzarsi di suo marito?»

«Precisamente,» Martin sorrise, «e dato che anche lei viveva nelle vicinanze e che come noi conosce molto bene il posto, le è stato chiesto di aiutare.» A quel punto l’uomo si alzò sistemandosi il panciotto beige, si inchinò e passando davanti a Stevenson con un sorrisino maligno in volto, si diresse verso la porta. «È stato un piacere conversare con voi, signorina, dovremmo farlo più spesso.»

Poi gli occhi dell’uomo scesero a incontrare quelli del fratello, ancora seduto accanto a me. Si osservarono in silenzio per un lungo momento, poi Martin inchinandosi uscì, dichiarando al fratello che l’avrebbe aspettato fuori.

Jeremy a quel punto si voltò a fissarmi, uno strano sguardo dipinto in volto, sentii Stevenson dietro di me avvicinarsi ancora di più e anche l’uomo lo notò, i suoi occhi volarono rapidi oltre la mia spalla dove sapevo si trovava il maggiordomo, poi tornarono a posarsi su di me.

«Voi mi piacete,» dichiarò inclinando leggermente il capo per studiarmi meglio, «non siete come le altre ragazzine. È difficile, tremendamente difficile, capire cosa passi in quella testolina.» Si avvicinò un po’ al mio posto e io deglutii nervosa, obbligandomi a non muovere nemmeno un muscolo.

«Non siete il primo che me lo dice.»

Jeremy sorrise alzandosi e lanciandomi un’occhiata sfacciata alla scollatura.

«Lo immagino,» mormorò inchinandosi esageratamente davanti a me, poi lanciò un’occhiata penetrante in direzione di Stevenson e uscì ridacchiando.

«Quei due,» borbottò il maggiordomo scattando a controllare la porta per assicurarsi che non fossero rimasti dietro a origliare, «giuro che li butterò personalmente fuori a calci nel culo appena tutta questa storia sarà conclusa.»

Sorrisi, mentre si affrettava a raggiungermi, chinandosi per aiutarmi ad alzarmi.

«Vieni, ti riaccompagno in camera.»

Allungai il braccio verso l’uomo e provai a tirarmi su e, solo in quel momento, mi accorsi di quanto le mie gambe stessero tremando.

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Buon pomeriggio e buon sabato a tutti, cercherò di essere breve... devo chiedervi qualche settimana di pazienza, come ho sempre detto, non abbandonerò questa storia, sono qui a scrivere su questo blog proprio perché non è mia intenzione lasciarvi in sospeso, ma purtroppo quando i problemi della vita vera si mettono nel mezzo, diventa difficile non impazzire cercando di stare dietro a tutto. Desdemona e Leo torneranno il 13 novembre, fino ad allora vi chiedo ancora una volta di pazientare e di seguirmi sui miei altri social (Facebook e Instagram) così da restare aggiornati sempre per aggiornamenti... tipo questo! ("così, de botto, senza senso" cit.)



L'anteprima dell'ebook della prima parte, estremamente semplice e fatto super in casa, però poteva andare peggio... forse 🤣

Grazie mille di continuare a seguirmi e supportarmi 💟


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