Capitolo 47

 Solo Julie si presentò in camera quel pomeriggio, per quanto l’avessi sospettato, mi ferì non vedere Abigail al suo fianco, non sapevo se fosse il caso di lasciarle i suoi spazi o se fosse meglio andare a cercarla per chiarire del tutto quello che era il mio punto di vista. Julie si mosse silenziosa come sempre, aiutandomi a indossare la camicia da notte per rimettermi a letto come mi aveva ordinato il dottore l’ultima volta che era venuto a visitarmi.

«Julie…» la chiamai quando stava per uscire dalla stanza dopo avermi rimboccato le coperte, la ragazza si voltò lentamente per guardarmi in volto, una punta di paura e di sospetto nel suo sguardo, «Abigail… come sta?»

Aggrottò le sopracciglia, quasi non si aspettasse quella domanda, poi scrollò piano le spalle.

«Si riprenderà presto, non temete, è solo un po’ turbata,» abbassò lo sguardo tristemente, «lo siamo tutti.»

La guardai senza capire il significato delle sue parole. «Turbati?»

Lei annuì, guardandosi lentamente attorno.

«Quando… abbiamo deciso di seguire Leo in Inghilterra, l’abbiamo fatto perché gli siamo fedeli, è vero…» sorrise puntando lo sguardo di nuovo su di me, «ma speravano anche di… ricominciare una nuova vita qui, dove nessuno sapeva di noi, delle nostre origini e di quello che eravamo stati.»

Giunsi le mani in grembo e mi sistemai meglio sui cuscini che avevo dietro la schiena.

«Ma niente vi vieta di farlo,» dissi continuando a non capire, «non oso immaginare cosa abbiate passato, cosa siate stati costretti a fare, ma ora che siete qui, niente vi vieta di dimenticarvi della vostra vecchia vita.»

Lei sorrise scuotendo il capo.

«Nessuno ci ha mai obbligato a fare quello che facevamo; Leo ha aiutato tutti noi, perché ognuno ha perso qualcuno o ha dovuto sistemare delle faccende scomode. Semplicemente, all’inizio eravamo felici di aiutarlo a nostra volta per sdebitarci, poi è diventato qualcosa di più.» Sospirò spostando il peso da un piede all’altro. «Ma dopo un po’ che vivi questa vita… vedi solo buio e marciume attorno a te, inizi a sentirti soffocare.»

Quella, era una sensazione che conoscevo molto bene.

«Quindi, venendo qua desideravamo tornare a respirare di nuovo. A vivere di nuovo, in un certo senso.» Inclinò la testa in direzione della porta, sorridendomi flebilmente. «Abigail non riesce ad accettare il fatto che d’ora in poi, guardandola, sarete consapevole del suo passato; è più facile dimenticare se gli estranei che si hanno intorno non sanno la verità. Voi siete importante per noi, per Leo, e il fatto che abbiate scoperto una cosa che nessuno di noi per un motivo o per un altro voleva rivelarvi, ci ha lasciato un po’ turbati.»

Strinsi le dita convulsamente, deglutendo il fastidioso nodo che si era andato a formare alla base della mia gola.

«Ma a me non importa!» esclamai con enfasi, sperando che almeno lei capisse che ero sincera. «E no, guardando Abigail o te, o chiunque altro in questa casa non vedrò mai ciò che eravate prima, vedrò voi

Julie sussultò leggermente, sgranando impercettibilmente gli occhi e poi, dopo qualche istante, sorrise.

«Grazie,» disse infine, la voce a malapena udibile, poi con un inchino frettoloso, uscì rapidamente dalla stanza senza darmi il tempo di aggiungere altro.

Sospirai, affondando di più tra i cuscini, sperando che almeno lei avesse davvero capito. Era molto peculiare, riflettei, che sembravano essere sconvolti più loro dalla notizia della mia scoperta di quanto non lo fossi io. Scossi tristemente la testa, pareva che tutti in casa si fossero preparati ad una mia reazione totalmente diversa da quella che avevo avuto, e al momento non riuscissero a venire a patti con l’estrema pacatezza con cui stavo affrontando la cosa. Strano che nessuno mi avesse ancora accusata di essere un’insensibile sciocca che non capiva la gravità della situazione.

Mi distesi tra le lenzuola, sperando di riuscire l’indomani, a vedere Abigail o quantomeno di ricevere notizie sul suo conto. Mi strinsi le braccia attorno al petto e lanciai un’occhiata al passaggio segreto, la voglia di attraversarlo per arrivare fino in camera di Leo era molta, ma lui aveva ordinato a Stevenson di portarmi nella mia stanza, poteva forse significare che indirettamente avesse ordinato a me di rimanerci?

Ci riflettei su finché il maggiordomo non tornò a bussare alla mia porta, servendomi la cena tra le coperte.

«Dov’è Leo?» chiesi, sperando di ricevere qualche informazione in più e l’uomo sollevò gli occhi al cielo, palesemente divertito.

«Di sotto, a cena con gli ospiti.»

Giusto, gli ospiti, avevo passato così tanto tempo da sola tra quelle mura – ma anche in generale, nel corso della mia vita – che tendevo a dimenticare la presenza di altre persone.

«Ha lasciato un messaggio per me?» domandai speranzosa, ma l’uomo scosse la testa avvilito.

«Mi dispiace: solo che dovevo assicurarmi che mangiaste adeguatamente.»

Sospirai a mio volta avvilita, guardando il cibo davanti a me.

«L’ho ferito,» commentai, guardando i movimenti di Stevenson che rapido mi serviva la cena.

«È un uomo grande e grosso,» dichiarò porgendomi un piatto, «e voi gli avete comunque dato prova di saper reggere qualsiasi notizia.»

Aggrottai la fronte, studiando i lineamenti del suo volto.

«No,» risposi senza fretta, «il problema è proprio questo, dice che l’ho deluso perché, quando le mie emozioni prendono il sopravvento, io tendo a scappare invece di obbedirgli.»

Sgranai gli occhi e mi raggelai, rendendomi conto solo troppo tardi di quello che mi ero inavvertitamente lasciata scappare di bocca. Guardai l’uomo sopra di me col terrore negli occhi, ma lui nonostante l’espressione corrucciata, sembrava perso nei suoi pensieri.

«Desdemona,» mi chiamò di nuovo per nome, abbandonando ancora una volta ogni formalità, «perdonami se faccio questo paragone poco lusinghiero, ma quando un puledro non risponde agli ordini del padrone, non incolpi il cavallo ma chi l’ha addestrato.»

Schiusi la bocca, per ribattere, ma lui mi anticipò: «Il punto è che, se tu senti il bisogno di scappare è perché hai bisogno di un posto sicuro in cui rifugiarti, dico bene?»

Annuii cautamente, cercando di capire dove volesse arrivare col suo discorso.

«E se non senti l’impulso di obbedire a Leo quando sei vittima dei tuoi sentimenti, per come la vedo io, è perché lui non è ancora riuscito a diventare quel luogo sicuro di cui tu hai così bisogno in quei momenti.»

 

Cenai rimuginando sulle parole del maggiordomo, non riuscivo a capire se fossi d’accordo o meno con lui. Per me Leo era sempre stato una fonte di sicurezza, una protezione su cui sapevo di poter contare, era proprio grazie a ciò che stavo iniziando lentamente a migliorare, ma se Stevenson avesse avuto ragione? Forse c’era una parte di me che per quanto Leo avesse fatto e continuasse a fare, non riusciva ancora a percepirlo totalmente a quel modo; eppure era strano, mi ero affidata a lui nelle situazioni peggiori, avevo lasciato che facesse di me ciò che più desiderava, gli avevo permesso di legarmi, colpirmi e nemmeno una volta mi ero sentita in pericolo in sua compagnia. Possibile, che tutto il non detto tra di noi mi impedisse di affidarmi a lui in quel modo così assoluto?

Quando Stevenson uscì e Julie si presentò poco dopo per rassettare la stanza, ero ancora totalmente immersa in quelle elucubrazioni, tanto che a malapena mi accorsi della sua presenza.

«Abigail sta meglio,» mormorò la cameriera riscuotendomi dai miei pensieri, «le ho raccontato ciò che ci siamo dette oggi; continua a non capire come possiate affrontare tutto ciò con così tanta naturalezza, ma domani ha promesso di tornare.»

Sorrisi ringraziando la ragazza per aver parlato con l’amica e per avermi aggiornata sulle sue condizioni, Julie si inchinò chiedendomi se avessi bisogno d’altro e, dopo che l’ebbi congedata, uscì chiudendo la porta. Mi alzai, strascicando i piedi nudi sul tappeto fin davanti alla porta e girai la chiave nella toppa.

Mi piangeva il cuore a tornare a farlo dopo così tanto tempo, ma il pensiero della presenza di mia madre in casa era stato un chiodo fisso in un angolo della mia mente per tutto il giorno e in quel momento, semplicemente, non volevo correre alcun rischio.

Tornai sotto le coperte e mi ci rannicchiai, troppo scombussolata, troppo stanca, troppo oberata di pensieri per fare qualsiasi cosa che non fosse continuare ancora e ancora a rimuginare.

Continuai a riflettere finché un rumore non catturò la mia attenzione, non era insolito, con la casa piena di persone c’era molto più movimento, di conseguenza udivo molti più scricchiolii, passi e voci in lontananza; la casa sembrava quasi viva. Ma quel rumore in particolare mi sembrò così fuori posto, così tanto strano da riscuotermi dalla nebbia dei miei pensieri e farmi tendere le orecchie, in allerta.

Il rumore si ripeté di nuovo e quella volta non ebbi dubbi, c’era qualcuno fuori dalla mia porta, qualcuno che stava provando a entrare.

Scattai in piedi, terrorizzata, subito il pensiero corse a mia madre ma, per quanto il suo spettro mi tormentasse giorno e notte, con la minaccia di torturarmi in modi irripetibili, dubitavo che fosse così sciocca da tentare di farmi qualcosa con papà e Leo sotto lo stesso tetto e per di più in presenza di così tante persone; inoltre, esattamente come per alcuni dei presenti in casa, avrei sentito e riconosciuto i passi di mia madre ancora prima di sentirla provare ad aprire la porta, quindi, chiunque ci fosse lì fuori si era mosso troppo silenziosamente, troppo cautamente per essere solo una donna accecata dall’odio verso la propria figlia.

Quella era una persona con uno scopo ben preciso.

Mentre osservavo con orrore la maniglia della porta provare a ruotare un’ultima volta, prima di fermarsi, la mia mente riportò a galla quel momento nel bosco in cui avevo provato un terrore molto simile.

Trascorsero secondi, forse minuti interi in cui rivissi il ricordo di quella figura scura che si avvicinava al mio nascondiglio dietro la cascata. Quella bestia, che strisciava sicura nel bosco, a caccia della sua prossima preda.

Possibile che…?

Non aspettai oltre, scattai verso la porta del passaggio segreto senza nemmeno recuperare i miei occhiali, sperando solo con tutta me stessa che Leo si fosse già ritirato in camera sua. Misi i piedi sul freddo pavimento di legno del corridoio segreto e mi bloccai, sgranando gli occhi senza muovermi di un passo.

Con la coda dell’occhio e grazie alla flebile luce che proveniva dalla mia stanza, avevo scorto un movimento lungo quello stretto corridoio. Magari era stato solo frutto della mia mente spaventata unita alla mancanza di occhiali, ma la terribile certezza che non fossi sola in quel passaggio mi invase. Sentivo che c’era qualcuno poco più avanti oltre le ombre, immobile esattamente come me, che mi fissava aspettando di vedere come mi sarei comportata.

Se mi concentravo, riuscivo quasi a percepire il rumore del suo respiro. A scorgere la sua sagoma nell’oscurità.

Continuavo a fissare la scala dritta davanti a me, finché non scattai di corsa verso quei gradini, salendoli in preda alla disperazione, spingendo sulle gambe sempre più duramente, perché sapevo che se mi fossi fermata in quell’istante, se avessi rallentato anche solo di un secondo, sarei stata probabilmente perduta per sempre.

Non sentii nessun passo dietro di me, ma quella non fu una consolazione sufficiente per convincermi a ridurre il passo, anzi, corsi con ancora più angoscia, gettandomi con tutto il peso del corpo lungo il passaggio che conduceva in camera di Leo.

Lui doveva avermi sentita arrivare, perché era già vicino alla porta, con un’espressione terribilmente accigliata che però, vedendo il mio volto terrorizzato, si trasformò subito in preoccupazione.

«Desdemona, che c’è?»

Guardai con orrore alle mie spalle, atterrita dall’idea di veder spuntare qualcuno oltre l’oscurità di quel passaggio.

«Qualcuno,» dissi indicando col dito la porta spalancata, «c’era qualcuno.»

Leo mi superò rapidamente, afferrò un candelabro e si chinò rapido per estrarre dai suoi pesanti stivali un coltellaccio che non mi ero mai accorta portasse con sé, poi si infilò dentro il passaggio, intimandomi di rimanere esattamente dove mi trovavo.

Annuii, nemmeno volendo mi sarei potuta spostare, spaventata com’ero da quello che era appena successo.

Lo sentii scendere le scale, poi interi minuti passarono prima che con sollievo lo udissi tornare; aveva, se possibile, la fronte ancora più aggrottata. Chiuse la porta e si liberò di candelabro e coltello, tornando lentamente verso di me.

«Non c’era nessuno.»

Logico, evidentemente chiunque fosse, essendo stato scoperto, piuttosto che rischiare di venirmi dietro e rivelarsi, aveva preferito battere in ritirata… magari per provarci in un’altra occasione.

«Ha cercato di entrare in camera mia,» dissi buttandomi tra le sue braccia, bisognosa di sentirle stringersi attorno a me. «Avevo così paura, non l’ho sentito arrivare!» sollevai gli occhi per guardarlo. «E quando sono entrata nel passaggio per venire da te, era lì.»

Leo ringhiò, stringendomi al petto e curvandosi su di me, così da circondarmi totalmente col suo corpo.

«Lo ammazzo quel figlio di puttana,» esclamò tra i miei capelli, e allora, sapendo che quelle parole non erano più una vaga minaccia ma una vera e propria dichiarazione, rabbrividii.

«Era lui?» chiesi alzando le braccia in una timida richiesta, lui tornò a sollevarsi e mi carezzò delicatamente il capo, fece guizzare l’angolo della bocca in un mezzo sorriso, capendo senza bisogno che glielo chiedessi di cos’avessi bisogno, poi si chinò afferrandomi sotto il sedere per prendermi in collo; felice nonostante tutto, mi aggrappai a lui circondandogli i fianchi e le spalle.

«Non lo so,» mormorò Leo poggiando la fronte contro la mia, «ma temo di sì.»

Mi umettai le labbra studiando attentamente la stoffa che gli circondava l’occhio leggermente macchiata di sangue.

«Ma com’è entrato?»

Leo sospirò, portandomi verso il letto e lasciandosi cadere sopra di esso, con me ancora avvinghiata a lui.

«Credo,» sospirò affondando entrambe le mani tra i miei capelli, «che quel bastardo sia uno dei nostri ospiti.»

Scattai su per guardarlo meglio in volto, sconvolta.

«Come sarebbe?»

Lui emise un lungo sospiro frustrato, sollevando gli occhi verso la sponda del letto.

«Perché abbiamo indagato su di lui, Desdemona. È per questo che sono tornato, una delle famiglie coinvolte in questi omicidi sa di noi, perché il padre a suo tempo diede una mano al nostro, quindi quando la loro unica figlia è morta, hanno chiesto vendetta.»

Mi sistemai meglio sul suo grembo, poggiando il capo sul cuscino accanto a lui.

«Credevo fossi tornato per il funerale del nonno,» mormorai, cercando di incastrare gli avvenimenti in base a quello che mi stava raccontando e lui scosse la testa.

«Se ricordi, la mia ultima lettera ti arrivò molto prima che papà morisse, sono in Inghilterra fin da allora, ma sì, sono venuto a Londra solo per il funerale di nostro padre,» sospirò, continuando a fissare il soffitto, «la mia idea era quella di venire a cercarti una volta risolto tutto, non volevo che subissi questo.»

Spostai la mano dalla sua spalla fino alla sua guancia, carezzandolo con delicatezza per non fargli troppo male all’occhio ferito.

«Ma sono contenta di essere qui ora, di starti accanto in questo momento.»

Lui storse la bocca in una smorfia ironica.

«Che bel momento! Ci sto mettendo anni per prendere questo bastardo e, perfino ora che si trova in casa mia, continua a sfuggirmi come acqua tra le dita.» Batté la testa contro il cuscino, esasperato. «È così frustrante sapere che è così vicino, eppure non avere la minima idea su chi possa essere. Nella mia testa passo in rassegna i volti di tutti quelli che sono sotto questo tetto e so che è uno di loro, ma chi?»

Capivo perfettamente come si sentisse in quel momento.

«Avrei rivoltato casa stanotte per cercare quel bastardo,» continuò, la voce sempre più roca, «ma non potevo lasciarti qui da sola, e lui sa bene che adesso è potenzialmente compromesso.»

Mi mossi per avvicinare maggiormente la testa a quella di Leo.

«Ma non farà niente,» provai a ragionare ad alta voce, «se sa di essere compromesso e non è stupido, di certo non scapperà nel cuore della notte, né domattina, perché sa bene che così facendo si tradirebbe. Paradossalmente è intrappolato qui finché qualcuno degli innocenti non deciderà a sua volta di andarsene.» L’occhio di Leo si posò su di me, brillante, il che mi diede coraggio per continuare. «Magari possiamo tenerli qui con qualche scusa. C’è qualcuno che escluderesti a priori dai sospetti? Potresti chiedere il suo aiuto per convincere il resto del gruppo a rimanere, così che tu possa avere il tempo di studiare le mosse di ognuno e vedere se qualcuno si tradisce.»

Mosse piano la testa, annuendo, e io mi sentii incredibilmente lieta di poterlo aiutare in qualche modo, di sapere che le mie parole venivano prese seriamente in considerazione.

«Possiamo provarci,» mormorò sovrappensiero e io mi strinsi a lui, improvvisamente scossa da forti tremori, l’adrenalina di poco prima stava scemando. Leo si spostò, facendomi appoggiare la schiena sul materasso e stendendosi sopra di me, le mie gambe ancora strette attorno a lui, si sollevò sugli avambracci e mi studiò con calma.

«Ci sono qui io, non ti succederà niente,» dichiarò, prima di coprire il mio corpo col suo, schiacciandomi sotto il suo peso. Incapace di parlare mugolai passandogli nuovamente le braccia attorno al collo e pressandolo ancora di più sopra di me. Mi opprimeva, mi toglieva il fiato, ma mi faceva sentire anche tremendamente al sicuro. Rimanemmo quindi in silenzio, aspettando che i tremori cessassero e che riuscissi a riacquistare la calma necessaria per poter dormire il più serenamente possibile. Se anche Stevenson avesse avuto ragione sul nostro conto, ero più che mai certa che insieme saremmo riusciti a trovare una soluzione anche a quello.

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Commenti

  1. Meno male che c'è la saggezza di Stevenson!
    Quanto alla persona che cercano, continuo a sospettare della madre di Desdemona. Non vedo l'ora di scoprire chi sia!

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    1. Ahahah almeno uno con un cervello... forse XD grazie come sempre, davvero <3

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