Capitolo 45

 

Fui in grado di lasciare la camera da letto solo dopo un altro paio di giorni passati prevalentemente a sonnecchiare. Fosse stato per me, mi sarei volentieri raggomitolata sul caldo petto di Leo e avrei semplicemente aspettato che quel brutto male passasse, ma l’idea che qualcuno fosse venuto in visita col preciso scopo di accertarsi del mio stato di salute, era un pensiero che mi dava il tormento.

Ovviamente non potevo accogliere nessun ospite nella stanza di Leo, per più di un motivo, di conseguenza appena riuscii a reggermi sulle gambe, mi feci accompagnare in uno dei salottini del piano terra, così da poter iniziare a ricevere qualcuno.

Tutti avevano storto un po’ il naso alla mia idea, Stevenson compreso, ma alla fine ero riuscita a convincerli, promettendo che per tutto il tempo sarei rimasta avvolta in una calda coperta di lana e che non mi sarei stancata troppo solo per compiacere qualche ospite.

«Oggi potrai incontrane solo uno o due,» mi ordinò serio Leo, mentre mi aiutava a sistemarmi sulla poltroncina imbottita del salotto, avvolgendomi poi nella coperta che Stevenson gli stava porgendo, «non fare sforzi inutili.»

Annuii sistemandomi meglio i nuovi occhiali che mi aveva portato quel pomeriggio, esattamente identici a quelli che erano andati persi nel bosco. Gli sorrisi, grata delle sue parole e dei suoi gesti premurosi, e lui si limitò a grugnire, lasciandomi sola con Stevenson mentre aspettavo il primo ospite. C’era qualcosa nel suo modo di fare che mi spaventava e intristiva molto, da quando avevamo avuto la conversazione nel bosco, qualcosa in lui era cambiato, era sempre lo stesso uomo gentile e attento, ma in un certo qual modo sembrava molto più freddo. Quando qualche giorno prima mi aveva tolto la collana, i suoi occhi non avevano incontrato i miei nemmeno una volta, un gesto che mi aveva lasciata nuda e sofferente. Era solo una collana eppure senza non mi sentivo più completa, e il fatto che togliendomela era rifuggito al mio sguardo, mi faceva sentire tremendamente spaesata, rendendo il tutto ancora più doloroso. Volevo parlargli a cuore aperto, cercare di capire cosa potessi fare per rimediare al mio ennesimo errore, ma sembrava che tutti in casa si fossero coalizzati per non lasciarci mai un attimo da soli, lo stesso Leo aveva gradualmente iniziato a trascorrere sempre meno tempo in mia compagnia, almeno quando ero cosciente. Perché, ogni volta che dormivo, sentivo la sua presenza, in quello strano modo in cui lui sentiva la mia, sapevo che lui era lì a vegliare su di me.

«Pronta?» mi domandò Stevenson poggiando un vassoio ricolmo di cibarie sul tavolino davanti a me, lo guardai e inspirai a fondo per poi annuire.

La prima a presentarsi nel salotto fu la Baronessa de Ros, allegra e sorridente come la ricordavo, carica come sempre di meravigliosi gioielli che attiravano il mio sguardo affascinato.

«Signorina Fortescue,» mi salutò avvicinandosi e sedendosi sul divanetto davanti a me, «non sapete quanto mi sia dispiaciuto quando non vi ho vista arrivare quella domenica mattina al tavolo della colazione!» disse riferendosi alla passata festa di Andrew.

«Sono desolata d’avervi fatta preoccupare,» mormorai, la voce ancora un po’ rauca. La donna scosse il capo e i lunghi boccoli grigi le dondolarono sul collo.

«Figuratevi cara! La vostra salute è di certo più importante,» mi sorrise, gli occhi scuri che le brillavano, «e poi sicuramente parteciperemo ad altre feste, avremo modo di rifarci.»

Non capivo questa sua voglia di partecipare in mia compagnia a qualche altro evento, ma la sola idea che volesse farlo mi riempì di gioia.

«Senz’altro.» Le diedi ragione, chiedendomi se davvero sarebbe mai arrivato quel giorno. La donna si sistemò meglio sul divano e guardò il vassoio colmo di biscotti e tè che avevamo di fronte.

«Sono davvero squisiti,» le dissi sorridendo e allungandomi un po’ goffamente, a causa della spessa coperta, per prenderne uno, «il nostro cuoco è un maestro nella preparazione dei dolci.»

La donna parve soddisfatta dalle mie parole, perché si chinò per afferrarne una generosa manciata.

«Avete ragione,» mugolò masticandone rumorosamente uno, «sono deliziosi, i miei complimenti.» Gemette, mettendosene in bocca due assieme. «Credete ci sia modo per convincere il vostro cuoco a fuggire con me?»

Ridacchiai scuotendo piano il capo. «Sono desolata, temo di no, però posso sentire se riesce a prepararvene una piccola scorta che potrete portare con voi quando ripartirete.»

La baronessa mosse energicamente la testa, tanto che i suoi spessi orecchini di diamante presero a dondolare così forte che temetti potessero staccarsi delle sue orecchie.

«Un cuoco, eh?» rifletté la donna studiando attentamente la forma ovale di uno dei biscotti, «non l’avrei mai detto.» I suoi occhi incontrarono i miei. «Questa casa nasconde molti bei segreti.»

Non poteva neanche immaginare quanti.

«Baronessa, i vostri gioielli sono meravigliosi,» esclamai, cambiando drasticamente discorso, e se anche se ne rese conto, non lo diede a vedere. Abbassò lo sguardo sulla collana tempestata di zaffiri che indossava quel giorno – in tono con l’abito azzurro – e mi sorrise calorosamente.

«Vi ringrazio per averlo detto, anche io trovo che siano splendidi, nonostante tutto.»

Aggrottai la fronte, non capendo quel che la donna intendesse dire.

«Nonostante tutto?»

Sebbene continuasse a sorridermi, vidi un velo di tristezza calarle sul volto. Si portò lentamente una mano al collo, per sfiorare la collana.

«Non sono gioielli veri.»

Spalancai gli occhi, sorpresa. In vita mia non avevo mai visto molti gioielli, quindi non avevo un occhio così allenato da riconoscere le pietre vere da quelle false; certo, i suoi mi erano sembrati estremamente brillanti, da qui il soprannome che le avevo dato nella mia testa, ma credevo fosse dovuto a un’estrema cura nel pulire le pietre.

«Non lo sapevo,» risposi sinceramente, vedendo il suo sorriso affievolirsi un po’, «ma io ho sempre avuto un debole per gli oggetti scintillanti,» continuai, cercando di farla sentire a suo agio, «che siano veri o no, per me restano comunque stupendi.»

La baronessa chinò leggermente il capo a mo’ di ringraziamento.

«Anche io ho sempre avuto un debole per i gioielli… e per i dolci,» ammise, lanciandomi un sorriso divertito, «e mio marito ha sempre cercato di accontentarmi.» La mano che ancora teneva sulla collana si strinse attorno alle gemme. «Come meglio ha potuto.»

«Siete una donna molto fortunata.»

I suoi occhi si velarono leggermente di lacrime. «Ero.»

Di nuovo, avevo fatto un passo falso, sgranai gli occhi sconvolta.

«Mi dispiace io…»

Lei scosse la testa, tornando a sorridermi allegra e allungandosi per afferrare la teiera anche se di norma avrei dovuto farlo io.

«Non importa,» liquidò la cosa, «piuttosto beviamo questo tè, che ormai sarà gelido, ma soprattutto,» mi porse la tazza e io la ringraziai, «finiamo questi squisiti dolcetti, non vorrei che il vostro cuoco si offendesse e decidesse di non prepararne altri.»

Sorrisi bevendo un sorso di tè tiepido e studiandola da sopra la tazza. Mi piaceva quella signora, non aveva paura di mostrare al mondo i suoi gioielli anche se ben conscia del loro poco valore, anzi, li sfoggiava con allegra noncuranza; erano regali del marito e forse proprio per quello, per lei valevano molto di più di un qualsiasi diamante. Mi chiesi se anche io sarei mai riuscita a essere come lei, avevo indossato la collana di Leo perché sapevo che nessuno si sarebbe accorto del suo vero significato, e se invece fosse stata una cosa risaputa, avrei avuto lo stesso coraggio di quella donna?

Quando anche l’ultimo biscotto sparì nella bocca della baronessa, la vidi alzarsi soddisfatta.

«Bene, il mio compito qui è finito,» disse ridendo e contagiando anche me, «non vi disturbo oltre, ci sono altri che aspettano sicuramente di vedere come state.»

Chiamai Stevenson, con il campanellino che aveva lasciato appoggiato sul tavolino al mio fianco, e quando entrò salutai la donna che uscì ricordandomi la promessa di altri biscotti.

Sorrisi appuntandomi mentalmente che avrei dovuto chiedere a Stevenson anche quel favore.

In quel momento, Abigail entrò per portare via il vassoio e il carico di informazioni che avevo scoperto sul loro conto tornò a schiacciarmi, facendomi perdere ogni gioia.

«Volete che faccia portare altro?» chiese la ragazza senza guardarmi in faccia.

«Abigail,» la chiamai aspettando che si fermasse per continuare, «anche se adesso so la verità, non mi importa.» Che in linea generale era vero, fintanto che aiutavano davvero chi ne aveva bisogno, il fatto che uccidessero le persone non sembrava interessare particolarmente alla mia mente.

La ragazza sollevò finalmente lo sguardo.

«Come può non importarvi?» volle sapere avvicinandosi, col vassoio stretto così forte tra le mani da farle sbiancare le dita. «Sapete perché mio fratello è così bravo a cucinare?» chiese tremante, sul punto di mettersi a urlare. «Perché è un chimico, avvelena la gente!» Rise amaramente scuotendo il capo. «Potrebbe avvelenarci tutti in qualsiasi momento semplicemente cambiando qualcosa nel dosaggio degli ingredienti, e nessuno lo scoprirebbe mai! E Julie?» indicò con un gesto della testa la porta oltre la quale c’era l’atrio e, ancora più in là, le cucine. «Sapete perché è così brava ad acconciarvi i capelli? Perché le sue dita si muovono così abilmente? Perché è una ladra

Non capivo perché mi stesse attaccando in quel modo, forse perché era davvero arrabbiata con me o forse perché anche lei sentiva il peso di quella situazione gravarle addosso.

«E tu?» chiesi cercando di restare calma. Abigail strinse le labbra finché non diventarono una linea biancastra molto sottile.

«Molte informazioni importanti si ottengono persuadendo le persone,» disse lentamente, tenendo gli occhi fissi nei miei, «e io sono molto abile a persuadere

Inizialmente la mia mente, molto ingenuamente, non riuscì a elaborare quello che la ragazza mi aveva invece chiaramente sbattuto in faccia, questo finché lei non scoppiò.

«Come può non importarvi di vivere sotto lo stesso tetto con assassini, bugiardi, bari, avvelenatori, ladri e puttane? Voi, che siete così gentile e pura, dovreste solo scappare lontana e non voltarvi più indietro.» Le si riempirono gli occhi di lacrime e uscì di corsa dalla porta socchiusa prima che io potessi ribattere in alcun modo. Il cuore mi doleva per aver assistito a quella scena, per aver scoperto quanta sofferenza ci fosse dietro l’apparente solarità di quella ragazza poco più grande di me; quanto dolore avesse dovuto sopportare nella sua giovane vita, non era lei a dover piangere per me, ma il contrario. Sarei voluta andare a cercarla e abbracciarla, ma proprio in quel momento la porta tornò ad aprirsi e la Duchessa Cavendish apparve sulla soglia.

«Signorina Fortescue!» esclamò, allegra, ma si corrucciò vedendo il mio volto evidentemente turbato.

«È forse un brutto momento? Volete che vi riaccompagni in camera?»

Scossi la testa, cercando di sorridere.

«Duchessa, no, scusatemi, ero sovrappensiero, prego venite a sedervi. Faccio portare un po’ di tè, gradite?»

La donna mi sorrise avvicinandosi col suo frusciante abito grigio, con piccoli e intricati ricami argentati sopra. «Molto, grazie.»

Suonai la campanella e subito Stevenson comparve sulla soglia, dopo avergli chiesto un altro vassoio, rimasi di nuovo sola con la duchessa.

«Spero che la vostra malattia non sia stata nulla di grave,» chiese lei, guardandomi preoccupata, scossi la testa.

«Ero molto sconvolta quando vi ho vista correre via a quel modo,» continuò riferendosi alla sera in cui ero scappata nel bosco; ricordare quell’evento mi scatenò un brivido lungo la schiena, «e quando il giorno dopo non vi siete fatta vedere, ho capito che doveva essere successo qualcosa di grave.»

La ascoltai attentamente, mentre Stevenson entrava nuovamente reggendo un altro vassoio carico proprio come il primo.

Mi sporsi per versarle una tazza di tè e, proprio quando le stavo porgendo la tazza, un’idea terrificante mi attraversò la mente.

Mi bloccai, guardandola dritto negli occhi.

«Vostra grazia, scusate se ve lo chiedo ma… siete venuta da sola?»

La donna sorrise debolmente, scuotendo la testa.

«Quando ha saputo che stavate male, anche vostra madre ha insistito per accompagnarmi.»

Così il mio sospetto si era rivelato esatto, pensai raggelata guardando la porta quasi temendo che mia madre potesse sfondarla ed entrare ad aggredirmi da un momento all’altro.

«So che tra di voi non corre buon sangue…» iniziò lei seguendo la direzione del mio sguardo, «ma ho pensato che dopotutto fosse vostra madre, sono certa che avrà almeno un po’ di istinto materno nel suo corpo.»

Scossi la testa, non capendo come facesse quella donna a essere così ingenua da non accorgersi del mostro che aveva preso sotto la sua ala.

«Temo che non sia così, vostra grazia, ma siete molto gentile a pensarlo.»

Lei chinò il capo, lusingata dal mio complimento.

Sapere che mia madre fosse in casa mi inquietò molto, per tutto il tempo della nostra conversazione, non potei evitare di lanciare occhiate spaventate alla porta o a tenere un orecchio teso, tanto era il terrore di sentirla arrivare.

«Vi ho sconvolta portando qui vostra madre, vero?» volle sapere la donna, posando cautamente la tazzina del tè sul vassoio, ancora quasi piena.

Spostai il mio sguardo per l’ennesima volta dalla porta a quella figura così raffinata e bella, lei mi sorrise comprensiva e notai che, quella strana luce che già una volta avevo visto illuminarle fugacemente lo sguardo, ora le brillava persistentemente negli occhi. Tuttavia continuavo a non capirne il significato.

«Ma non dovete temere, dopotutto, avete sempre il vostro Leo pronto a salvarvi, no?»

---

Leggi dall'inizio

Prossimo capitolo

Commenti

  1. Il capitolo è bellissimo come sempre e mi ha colpito il fatto che la baronessa fosse stupita della presenza di un cuoco in casa.
    Quanto alla madre di Desdemona, perché non è entrata se è arrivata fino lì? Magari Leo l'ha sbattuta in qualche prigione fredda e buia 😂😂😂

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Capitolo 32

Capitolo 35

Capitolo 21