Capitolo 41

 


Anche se la donna indossava una spessa mascherina nera che le copriva il volto, sapevo che quella era mia madre. Se ne stava ferma sulla porta a conversare con alcuni degli invitati, stretta nel suo bellissimo abito verde pallido, da farla apparire giovane e innocente, al suo fianco c’era una splendida donna, di certo la Duchessa Cavendish, anch’ella mascherata, con un abito blu scuro cosparso di brillanti. Guardare quelle due donne, così meravigliose, così sfavillanti nei loro abiti, mi fece sentire piccola. Lì, nascosta in fondo alla sala, con indosso il mio abito rosso, come a volermi atteggiare a donna sofisticata quando invece non riuscivo a compiere due passi senza essere scortata da qualcuno per la grande paura che avevo nel corpo. Mi sentii ridicola, in quel momento odiai me stessa per la mia debolezza, per il mio riuscire sempre e comunque a sentirmi inferiore davanti a mia madre, e odiai lei, per essere riuscita a piegarmi così tanto.

Stevenson si chinò verso di me, così da potermi sussurrare all’orecchio: «Volete tornare in camera?»

Mi voltai a guardarlo, gli occhi sgranati, totalmente assalita dal panico.

Lui mi fissò serio. «Leo mi ha ordinato di proteggerti, Desdemona. Se vuoi tornare in camera, ti accompagno immediatamente,» disse con dolcezza, abbandonando ancora una volta ogni formalità. Ma io non volevo nascondermi, volevo Leo. Strinsi la presa attorno al ciondolo della mia collana e tornai a posare lo sguardo sulle due donne che stavano lentamente avanzando per la sala.

«Io…» mormorai, non sapendo come continuare la frase, ma proprio in quel momento, mia madre voltò il capo e i suoi occhi incontrarono i miei. Il suo sguardo si assottigliò mentre mi scrutava lentamente da capo a piedi, mi sentii rabbrividire sotto quel suo attento scrutinio. Ormai non potevo più scappare, non potevo dargliela vinta.

«Che succede?»

Voltai di scatto la testa udendo la voce di Andrew accanto a me, l’uomo mi osservò preoccupato, poi scoccò un’occhiata in direzione del maggiordomo.

«È arrivata la signora Fortescue,» commentò lui in modo sprezzante, il marchese aggrottò la fronte tornando a fissarmi.

«Vi giuro, Desy, che io non l’ho invitata.»

Annuii estremamente confusa e disorientata.

«Credo,» iniziai lentamente, lanciando un’occhiata alle due donne, «che sia venuta assieme alla Duchessa Cavendish.»

Andrew seguì il mio sguardo e lo sentii borbottare quando i suoi occhi incontrarono le figure delle due che incedevano verso di noi.

«Elisabeth non avrebbe dovuto portarsi dietro quella donna,» ringhiò adirato e in una piccola parte della mia mente, fui estremamente felice di sapere che nonostante tutto, non ero sola. Non avevo Leo al mio fianco, ma lui mi aveva affidata a Andrew e Stevenson, lasciando loro il compito di proteggermi. Erano entrambi lì, al mio fianco, pronti a entrare in azione se fosse stato necessario.

Strinsi di nuovo il ciondolo della collana per darmi forza e poi lo lasciai andare, pronta ad affrontare quell’inevitabile scontro.

«Andrew, tesoro!» cinguettò la duchessa fermandosi davanti a noi e sporgendosi senza tante cerimonie ad abbracciare Drew, «perdona il ritardo ma sai, una donna deve prepararsi a dovere, e due donne impiegano il doppio del tempo per farlo.» Ridacchiò e avrei potuto descrivere quel suono come il tintinnio dei bicchieri di cristallo.

Il marchese sorrise, in modo estremamente tirato e chinò il capo in segno di saluto.

«Elisabeth, è sempre un piacere vederti, noto che hai portato un’ospite,» puntualizzò accennando a mia madre, che ci osservava tutti in silenzio.

«Oh, sì, perdonami per avertelo taciuto, ma alla fine non si è mai troppi a un ballo, giusto?» E ridacchiò di nuovo, altro cristallo che tintinnava.

Andrew storse leggermente la bocca, voltandosi per fronteggiare mia madre.

«Contessa Fortescue, spero che la festa sia di vostro gradimento.»

Mia madre assentì, poi il suo sguardo si posò su di me.

«Non ti sembra di indossare un abito troppo scollato?» domandò lei, fissandomi il décolleté. «Sei oltremodo indecente, dovresti vergognarti.»

Sussultai, non era mai successo prima che mi attaccasse in modo così palese davanti a degli estranei. Per quanto le sue parole riuscirono a ferirmi, mi stupì di più il suo insolito comportamento.

«Trovo che vostra figlia sia meravigliosa,» commentò Andrew, difendendomi, «non dovreste parlarle così.»

La duchessa spostò lo sguardo preoccupato su mia madre, le cui guance si stavano lentamente colorando sotto la mascherina.

«Io parlo a mia figlia come mi pare e piace, Marchese,» iniziò sibilando, «voi non avete nessun diritto di mettere bocca in faccende che non vi riguardano.»

Andrew avanzò di un passo, celandomi completamente col suo immenso corpo.

«E voi,» lo sentii risponderle a tono, «non avete nessun diritto di presentarvi senza invito in casa mia e di insultare l’ospite d’onore della serata.»

Mi sporsi per osservare la reazione di mia madre: la vidi annaspare sconvolta e lanciarmi un’occhiata rapida prima di tornare a spostare lo sguardo su di lui.

«L’ospite d’onore?» sputò, come se non riuscisse a comprendere perché la sua figlia indegna fosse oggetto di un simile riguardo.

Il marchese annuì solenne.

«La festa e questo stesso ballo sono stati dati in suo onore, quindi, se non volete essere buttata fuori, abbiate rispetto.»

Andrew mi stava dando molta più importanza di quella che avevo effettivamente, ma fu bello vedere il volto di mia madre diventare quasi viola per la rabbia.

La duchessa le poggiò una mano sulla spalla, rivolgendo a Andrew un sorriso cordiale.

«Sono desolata per l’inconveniente,» mormorò guardando prima mia madre, poi il marchese e infine me. Per un istante, mi parve di scorgere qualcosa nei suoi occhi, una luce strana che non riuscii a identificare in quel momento, ma l’attimo passò e il suo sguardo tornò limpido.

Mia madre si scostò dal suo tocco e lanciò poi un’occhiata sprezzante a Drew, per nulla intenzionata a scusarsi, ma determinata a continuare il suo attacco, si voltò arrabbiata verso Stevenson che, per tutto il tempo, era rimasto teso e silenzioso al mio fianco.

«Non posso comunque credere che proprio tu, Leonard, le abbia permesso di indossare un simile abito, e in periodo di lutto nientemeno, è osceno.»

Stevenson si irrigidì al mio fianco, sicuramente combattuto tra il desiderio di risponderle per le rime e l’impossibilità di farlo per non rischiare d’essere smascherato.

Ero in preda al panico, avevo bisogno che mia madre distogliesse l’attenzione da lui, doveva concentrarsi su qualcun altro, e l’unica persona che poteva catturare interamente la sua attenzione, ero io.

«Leo,» scandii lentamente guardandola e, subito, il suo sguardo pieni d’odio si spostò su di me; senza interrompere quel contatto, continuai, «non si chiama Leonard, è solo Leo.»

I suoi occhi si sgranarono impercettibilmente, spostò velocemente la testa verso Stevenson, poi di nuovo verso di me e infine verso la duchessa e Andrew, cercando qualcuno che smentisse le mie parole, ma nessuno parlò, lasciandola prendere lentamente consapevolezza del suo errore.

Le sue narici si dilatarono e i suoi occhi si assottigliarono, pronta a scagliarsi contro di me, quindi, prima che il coraggio mi abbandonasse del tutto, ripresi: «E comunque, il periodo di lutto varrebbe tanto per me quanto per voi, madre.»

Vidi l’esatto momento in cui il suo corpo si tese, pronto a scattare verso di me, mi irrigidii, preparandomi all’impatto che però non arrivò mai.

Stevenson, infatti, si fece avanti per primo, afferrandola per le spalle e spingendola malamente lontano, ciò la fece incespicare nella gonna e cadere rovinosamente a terra.

In molti tra i presenti si voltarono nella nostra direzione e io temetti che il segreto di Stevenson venisse rivelato.

La duchessa andò verso mia madre per aiutarla a sollevarsi e lei ci guardò tutti e tre, gli occhi febbricitanti di delirio.

«Ve ne pentirete amaramente,» sibilò, fissandomi per un lunghissimo istante, poi, senza aggiungere altro, si voltò allontanandosi a grandi passi seguita dagli sguardi divertiti di tutti quelli che l’avevano vista cadere a terra.

La duchessa con espressione mortificata guardò prima mia madre, poi noi.

«Sono desolata, vogliate scusarci,» mormorò congedandosi per seguire mia madre. Mi chiesi quanto dovesse essere sciocca e ingenua quella donna per essersi affezionata tanto a mia madre o, peggio, quali cattiverie le avesse detto per convincerla a stare dalla sua parte. Sperai con tutta me stessa che la loro amicizia non scatenasse dolorose ripercussioni né su Leo né su Andrew.

«Questa festa è parecchio movimentata!» esclamò un ospite avvicinandosi al marchese, vistosamente alticcio. «Marchese Kerr, devo accettare più spesso i vostri inviti, mi sto divertendo da matti!» E rise scuotendo forte la testa. Andrew lo guardò con una smorfia, gli occhi ancora puntati nel punto in cui c’era stata mia madre.

«Sono contento che almeno voi vi stiate divertendo,» rispose lapidario.

Quando l’uomo ancora in preda alle risa si allontanò, Stevenson si chinò impercettibilmente verso di me.

«Leo sarebbe orgoglioso di te, Desdemona.»

Sollevai lo sguardo e gli sorrisi debolmente, improvvisamente spossata.

«Voglio andare in camera mia,» mormorai con un filo di voce, incapace di reggere qualsiasi eventuale altra sorpresa che la serata aveva in serbo per me. Il maggiordomo annuì impercettibilmente e mi offrì il braccio. Dopo aver salutato Andrew mi feci quindi scortare fuori dalla sala chiassosa, nel corridoio buio e silenzioso.

Arrivati in camera, Stevenson mi diede la buona notte chiedendomi come sempre se avessi bisogno di qualcosa, ma io scossi la testa, congedandolo.

La mia serata si era conclusa e io volevo solo infilarmi sotto le coperte e dormire, in attesa che col nuovo giorno quegli eventi diventassero acqua passata e Leo fosse tornato al mio fianco. Mi sfilai quindi il vestito, disfacendomi poi l’acconciatura e togliendomi la maschera che appoggiai sulla toletta con una carezza. Dopo aver liberato gli occhiali ed essermi messa la camicia da notte mi sfiorai il collo dove ancora c’era la collana. Non potevo toglierla da sola, era compito esclusivo del mio Signore, ma lui chissà dov’era e chissà quando sarebbe tornato. Strinsi il rubino tra le dita e, dopo aver chiuso a chiave la porta della camera, mi rannicchiai sotto le coperte.

 

Mi svegliai di soprassalto nel bel mezzo della notte con la sgradevole sensazione di essere osservata. Sbattei le palpebre confusa e allungai la mano per infilarmi gli occhiali e accendere il candelabro sul comodino, ma quando guardai più attentamente la stanza, scoprii che non c’era niente di insolito. Il terrore però si era ormai impadronito di me e tornare a dormire era impossibile. Mi chiesi se Leo fosse già tornato e mi rimproverai per non avergli chiesto quale fosse la sua stanza. Non potevo certo mettermi a bussare a tutte le porte nella speranza di trovarlo. Scivolai fuori dal letto infilandomi pantofole e vestaglia, uscendo nel corridoio buio. Mi mossi lentamente lungo le pareti, aguzzando la vista e l’udito nella speranza di capire se la festa fosse ancora in corso o no. C’era in effetti un lieve chiacchiericcio proveniente dal piano inferiore, ma niente musica, quindi ipotizzai che fosse veramente tardi. Scesi cautamente le scale, nella speranza di trovare Andrew ancora alzato così da potergli chiedere novità su Leo.

Il salone però era deserto e la pendola segnava quasi le quattro, però continuavo a sentire quel brusio e mi domandai se qualche ospite non fosse rimasto alzato fino a quell’ora per conversare e bere fino a fare l’alba. Mi avvicinai alla stanza con la porta socchiusa da cui sentivo provenire le voci, in quell’istante mi tornò in mente il ricordo di quando a casa di Leo mi ero trovata nella stessa situazione e mi bloccai. Quella volta per colpa della mia curiosità avevo fatto soffrire molto Leo e in quel momento mi trovavo in una situazione simile, non sapevo chi ci fosse in quella stanza né di cosa stessero parlando, ma già una volta ero rimasta scottata in quel modo, non intendevo farlo una seconda.

Mi voltai quindi per tornare in camera, quando una voce si alzò più forte delle altre, catturando la mia attenzione.

«…morto!»

Mi gelai, sentendo quell’ultima parola quasi urlata da Andrew, un brivido mi percorse ma non mi mossi, rimasi immobile dando la schiena alla porta, in testa una voce che mi urlava di allontanarmi, ma il mio corpo era impossibilitato a obbedire.

«Calmati, Kerr!» gli rispose la voce di uno dei gemelli. «È andato tutto perfettamente, nessuno sospetterà mai di nulla.»

L’altro gemello sbuffò divertito. «A quanto pare nessuno sospetta mai di nulla.»

Dei passi pesanti percorsero la lunghezza della stanza, poi si fermarono bruscamente.

«E se questa volta qualcosa andasse storto?» Di nuovo Andrew, aveva un tono preoccupato.

«È un po’ tardi per avere dei ripensamenti, non credi?» gli fece notare con dolcezza quella che riconobbi come la voce della Duchessa Cavendish, il mio cuore prese a battere all’impazzata. Mi voltai di nuovo verso la porta, avevo un terribile sospetto riguardo all’argomento della loro discussione, ma se erano tutti presenti in quella stanza allora doveva esserci anche Leo. Doveva esserci.

«Non sono mai stato d’accordo con questo piano, lo sapete bene!» esclamò Drew, quasi in preda alla disperazione.

«Non avrei mai voluto che accadesse in questo modo.»

«Eppure…» la voce di Leo suonò roca sovrastando le altre. Mi avvicinai alla porta desiderosa di vederlo, di corrergli tra le braccia. «Non hai detto niente mentre noi organizzavamo quest’omicidio.»

Mi bloccai, il cuore in gola e sollevai lo sguardo verso lo spiraglio di luce che passava dalla porta.

Omicidio?

«Vero,» iniziò uno dei gemelli, «e poi tranquillizzati, non potevamo escogitare un piano migliore.»

Non potendo reggere un istante di più, spalancai la porta desiderosa di sapere la verità, di capire quello che stavano dicendo. Dieci paia di occhi si voltarono a guardarmi e io mi sentii terribilmente debole, ma anche animata da un fuoco impossibile da spegnere.

Puntai il mio sguardo su Leo e sussultai, sconvolta. Aveva il volto tumefatto e livido, con un profondo taglio che gli attraversava il sopracciglio e l’occhio pesto. Venni assalita dal bisogno di corrergli tra le braccia e toccare con mano quelle ferite, per capire quanto fossero gravi, per accertarmi che stesse bene, che non rischiasse niente di serio. Volevo prendermi cura di lui, ma mi costrinsi a rimanere immobile.

«Tu non dovresti essere qui,» mi ringhiò contro, avvicinandosi per scortarmi fuori, io scossi la testa spostandomi di lato.

«Voglio sapere!» esclamai voltandomi a esaminare anche gli altri presenti, guardai Andrew che sembrava sconvolto tanto quanto me. «Di che omicidio parlavate? Cosa sta succedendo qui?»

Andrew sussultò, guardando gli altri a turno.

«Questa cosa non ti riguarda,» ringhiò ancora Leo afferrandomi per un braccio e cercando di trascinarmi via, «non farmi arrabbiare più di quanto già non hai fatto, tornatene in camera.»

Sapevo che dovevo obbedirgli, che non dovevo forzarlo per scoprire cose, che con tutta probabilità, non ero pronta a sapere, ma stavano parlando dell’uccisione di qualcuno; io dovevo sapere, non potevo tornarmene in camera e riaddormentarmi facendo finta di non aver sentito niente di quella conversazione.

«Certo che mi riguarda!» gridai, staccandomi dalla sua presa e guardandoli tutti a turno. «State parlando di omicidio! Voglio sapere la verità!»

Martin ridacchiò scuotendo le spalle. «Diglielo, Fortescue. Male che vada, possiamo uccidere anche lei.»

Leo digrignò i denti voltandosi verso il gemello. «Voi non vi azzarderete a toccarla nemmeno con un dito, chiaro?» urlò rivolto ai due fratelli, che annuirono solennemente senza aggiungere altro, poi tornò a voltarsi verso di me. «Vai in camera, ti raggiungerò più tardi e allora parleremo.»

Ancora una volta, sapevo che avrei dovuto obbedirgli, ma i miei piedi si piantarono saldamente a terra.

«No,» mi impuntai fissandolo, «non me ne andrò finché non mi darete una spiegazione.»

Intravidi la furia nell’occhio sano di Leo e capii che stava per afferrarmi e trascinarmi via di lì di peso, magari per poi punirmi sonoramente ma, prima che potesse fare qualsiasi cosa, la voce sconsolata di Andrew lo bloccò.

«Mi dispiace, Desy, non avresti dovuto scoprirlo,» iniziò sconsolato guardandomi con un sorriso triste in volto, «io… ho chiesto a Leo di uccidere mio fratello.»

Lo fissai sconvolta, incapace di capire fino in fondo il significato di quella sua rivelazione.

«Non voglio giustificarmi, il mio è stato un gesto orribile,» continuò, «ma mio fratello stava diventando troppo fastidioso, incontrollabile, sapeva troppe cose. Doveva morire.»

Arretrai di un passo, il volto fisso su Leo.

«E tu perché hai accettato?»

Mi sembrava tutto così surreale, come se fossi stata nel bel mezzo di un tremendo incubo da cui non riuscivo a svegliarmi.

Leo serrò la mascella contusa e il suo unico occhio aperto mandò lampi nella mia direzione.

«Perché è il mio lavoro, Desdemona,» ringhiò duro. «È così che mi guadagno da vivere, ammazzando la gente.»


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Commenti

  1. Fantastico! Assolutamente fantastico!

    Sospettavo che Leo facesse qualcosa del genere e ora, non vedo l'ora di sapere cosa succederà.

    Sono contenta che la madre di Desdemona sia stata messa al posto suo, ma mi domando cosa si inventerà per vendicarsi.

    È una storia bellissima!

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    Risposte
    1. ;__; grazie davvero, so che sono ripetitiva ma non so mai come rispondere ai complimenti. Però davvero mi riempie il cuore di gioia leggerli e sono contenta che ti stia continuando a piacere <3
      Eh sì, chissà ora cosa succederà XP ahahah <3

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