Capitolo 42
Mi
guardai attorno, alla disperata ricerca di una faccia sorridente, un luccichio
divertito negli occhi di chiunque, un segno qualsiasi che mi potesse indicare
che quello era solo uno scherzo di pessimo gusto. Ma tutti mi guardavano seri e
preoccupati, non c’era traccia di divertimento sui loro volti, nessuno stava
scherzando.
Tornai
a concentrarmi su Leo, il più serio e scuro di tutti.
«Ammazzi…»
ripetei, ancora impossibilitata a crederci, «le persone?»
La
mascella di Leo si serrò ancora di più, dietro di lui Jeremy sbuffò.
«Tutti
noi lo facciamo, cara.»
Spostai
il mio sguardo su di lui, sempre più sconvolta. «Che significa?»
«Significa,»
questa volta fu la duchessa a prendere parola, «che collaboriamo. Quando
Fortescue è tornato ci è stato chiesto aiuto e così eccoci qui, lo aiutiamo a
fare giustizia.»
La
mia mente lavorò furiosamente per cercare di trovare un punto positivo in
quella faccenda, qualcosa che li facesse apparire come una sorta di eroi
nell’ombra e non come degli assassini malcelati.
«Quindi
uccidete solo i cattivi?» provai a chiedere alla donna, sperando, pregando, che
rispondesse di sì. La vidi sussultare e il suo sguardo volò rapido verso i
gemelli e Leo.
«Uccidiamo
chi ci viene chiesto di uccidere,» sbraitò Leo accanto a me, la voce dura e
fredda come non l’avevo mai sentita.
«Come
potete ammettere che uccidete persone, che magari non hanno nemmeno fatto
niente di male, con così tanta disinvoltura?» mormorai, osservando il suo volto
farsi ancora più tetro.
«Se
siano davvero colpevoli o no,» dichiarò Martin scrollando le spalle, «non
spetta a me stabilirlo, eseguo solo gli ordini. Ma prendi il compianto Brian,»
continuò indicando con un gesto vago della mano Andrew dietro di lui,
terribilmente scosso. «Era un disonore per la famiglia e se fosse rimasto
l’erede, avrebbe portato il casato alla rovina.»
Andrew
annuì mestamente, tornando a guardarmi. «Era un uomo cattivo, ti giuro Desy,
per anni io e mio padre abbiamo cercato di parlargli, abbiamo sempre sperato
che qualcosa cambiasse, che capisse di non poter continuare così,» scosse
amaramente la testa, «ma continuavano ad arrivare notizie disastrose sul suo
conto: perdeva ai tavoli da gioco, beveva, picchiava e stuprava le donne. Non
aveva rispetto di niente e di nessuno, pertanto mio padre, affranto, lo rimosse
dal testamento per evitare che il suo stile di vita deleterio non facesse
colare a picco anche il resto della famiglia.» Tacque un istante, aggrottando
le sopracciglia. «Ma questo aggravò solo la situazione. Dopo la morte di papà,
Brian venne allontanato dalla dimora di famiglia ma, come richiesto da mio
padre, ricevette una casa in città e una rendita mensile con cui poter vivere
più che dignitosamente, se si fosse mantenuto pulito. Lui, però, voleva di più,
voleva essere il marchese, voleva esercitare il potere del suo titolo per fare
ancora più male attorno a sé, voleva ancora più denaro per inebriarsi e
perdersi.» Mi fissò con gli occhi pieni di lacrime. «Mi dispiace, Desy, ma non
sopportavo più le sue minacce, le sue continue dichiarazioni di guerra, avevo
bisogno di vivere in pace.»
Incontrai
gli occhi di Leo, così attenti a studiare ogni mia più piccola mossa, ogni mia
increspatura del volto.
«E
avete sempre ucciso persone così?» chiesi indicando Andrew. «Persone come
Brian?»
Avevo
bisogno che mi rispondesse di sì, che mi confermasse quel dettaglio, ma Leo
rimase muto, tutti rimasero in silenzio. Annaspai facendo un passo indietro,
avevo bisogno di pensare, avevo bisogno di uscire da quella stanza.
Leo
fece per avvicinarsi ma io lo bloccai con la mano.
«Per
favore, ho bisogno di riflettere,» dissi, fissandoli uno a uno. «Di riflettere
lontano da tutti voi.»
Non
potevo pensare con lucidità sapendo che ero circondata da assassini mercenari
che ammazzavano indiscriminatamente solo perché venivano pagati per farlo.
Jeremy
sbuffò divertito. «Buona fortuna allora,» mi augurò sarcastico, «a trovare un
posto dove potrai riflettere senza noi
nelle vicinanze,» si guardò attorno indicando il circondario con un gesto ampio
del braccio, «perché qua in zona praticamente ormai tutti fanno questo lavoro.»
Leo
si voltò a fulminarlo con lo sguardo e io mi sentii gelare ancor di più, fissai
Jeremy, poi di nuovo Leo, chiedendo silenziosamente spiegazioni a quella sua
frase.
«È
vero,» continuò la duchessa, cercando di usare un tono calmo, «a parte gli
ospiti arrivati per la festa, il resto sono tutti come noi, esattamente come da
me o in casa Fortescue.»
Mi
portai le mani alla bocca, sussultando.
Tutti?
Quindi
significava che anche Stevenson, Lewis?
Sussultai,
il panico che prendeva velocemente il sopravvento.
Perfino
Abigail e Julie?
Mi
voltai, uscendo in fretta dalla stanza, incapace di ascoltare qualsiasi altra
parola uscire da quelle bocche. Percorsi rapidamente il corridoio, in me solo
il bisogno di scappare via, lontano da quel mondo macchiato di sangue. Alle mie
spalle sentivo i passi pesanti di Leo che mi seguivano.
«Desdemona!»
mi chiamò quando fui quasi arrivata al portone d’ingresso, spaventata mi voltai
a guardarlo, il suo volto trasmetteva così tante emozioni in contrasto tra di
loro: rabbia, tristezza, preoccupazione e, anche, una punta di delusione.
Mi
si strinse il cuore, ma non potevo proprio rimanere lì, dovevo andare via, mi
sentivo schiacciata da quelle mura ogni istante di più.
«Fuoco,»
mormorai, la voce rotta dalla tristezza. Sussultò e fece un passo indietro,
ferito. Non avrei mai pensato di usare la mia parola di sicurezza, men che meno
di farlo in una situazione del genere, ma avevo bisogno di rimanere sola.
Uscii
nella foschia notturna, lasciandolo ancora sconvolto in mezzo all’atrio, e
iniziai a correre. Non sapevo dove stavo andando ma non mi importava, correre
mi faceva dolere le gambe e mi infuocava i polmoni, impedendomi così di pensare
a ciò che avevo appena scoperto. Mi inoltrai nel bosco e, per la fretta,
inciampai in un tronco caduto e persi una ciabatta, non mi fermai a cercarla
perché sapevo che in quell’oscurità sarebbe stato impossibile per me
ritrovarla, e poi perché non mi interessava, volevo scappare, l’unica cosa in
cui ero sempre stata brava. Sentii le lacrime scivolarmi sul volto e piansi,
urlando a pieni polmoni nella foresta silenziosa.
Per
quanto Leo ci provasse, per quanto si impegnasse con me, non sarei mai
diventata la sua donna perfetta, non sarei mai riuscita ad affrontare cose del
genere come una qualsiasi altra persona. Il mio primo impulso sarebbe sempre
stato quello di scappare il più lontano possibile. Sentivo il rubino al collo
picchiare dolorosamente sulla pelle a ogni sobbalzo che facevo correndo e
piansi ancora più forte; non meritavo quel collare, non meritavo d’essere la
persona più importante nella vita di Leo, non avevo il diritto di pretendere la
verità quando evidentemente non ero in grado di sopportarla.
E
in quel momento, una volta scoperto che uccideva le persone, sapendo che tutti
attorno a me si adoperavano per far sì che uomini e donne morissero, come
potevo sopportarlo? Come potevo guardare ancora in faccia Leo o Stevenson,
sapendo che quando sparivano stavano andando a uccidere qualcuno che forse
probabilmente nemmeno se lo meritava? E mio padre? Anche lui era coinvolto?
Pensare a lui mi provocò una profonda stilettata nel cuore. Ero nata in una
famiglia di assassini.
Correndo,
persa nei miei pensieri, nemmeno mi accorsi di essere arrivata al ruscello con
la cascata, almeno finché non ci finii dentro con entrambi i piedi, scivolando
sulle rocce umide e cadendo lunga distesa nell’acqua.
Annaspai
spaventata, gli occhiali persi chissà dove, mi rimisi faticosamente in piedi e
iniziai a cercarli a tentoni, avvicinandomi sempre di più alla cascata.
Quando
ci arrivai sotto, notai che proprio dietro il muro d’acqua, c’era una piccola
rientranza concava in cui, volendo, una persona poteva rannicchiarsi e
nascondersi in tutta sicurezza. In quel momento sembrò il rifugio perfetto in
cui nascondermi e continuare a riflettere in tutta tranquillità, non volevo
tornare a casa, non se davvero anche lì era pieno di criminali.
Mi
arrampicai dunque nella piccola insenatura, sistemandomi in posizione fetale.
Rimasi
lì, tremante per il freddo e per i vestiti bagnati, ad ascoltare lo scrosciare
dell’acqua sopra di me e a riflettere sul serio su tutto quello che era
successo.
Alla
fine, realizzai che, proprio come la prima volta che avevo origliato una loro
conversazione, non avevo dato a Leo il tempo di parlare, avevo lasciato che
fossero per lo più gli altri a rispondere alle mie domande, nonostante lui mi
avesse ordinato di andare in camera. Magari c’era un tassello in tutta quella
storia che ancora non conoscevo, un tassello fondamentale che solo lui poteva
raccontarmi ma che io, come sempre, nella mia frenesia e il mio bisogno di
verità, gli avevo impedito di spiegarmi.
Loro
uccidevano persone, e di quello ero certa, ma il fratello di Andrew non mi
aveva fatto una bella impressione la sera prima, meritava di morire per quello?
No, certamente, ma se era vero il racconto di Drew, se in vita era stato un
uomo così cattivo, sicuramente nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, tranne
lo stesso Andrew.
Ancora
una volta, mi ritrovavo ad avere a che fare con la morte, ancora una volta mi
rendevo conto di quanto fossi diversa dagli altri esseri umani. La duchessa
aveva detto che si adoperavano in nome della giustizia, un concetto molto bello
a parole, ma a conti fatti sembrava che uccidessero per convenienza. Una
persona qualsiasi, sarebbe rimasta inorridita da tutta la faccenda, ma a me,
scoprii, l’idea che uccidessero persone che meritassero la morte non disturbava
poi così tanto; il problema ad accettare tutta quella faccenda stava nel
pensare che a quanto pareva, anche degli innocenti erano finiti tra le loro
mani. Avevo letto, nel corso degli anni, troppi resoconti sui giornali di
vittime il cui carnefice non era mai stato trovato, troppe accuse ai danni di
innocenti. Non potevo sopportare l’idea che anche Leo fosse così, così accecato
dal denaro da uccidere indiscriminatamente.
Possibile
che le quattordici ragazze morte in zona c’entrassero qualcosa con loro? Non
potevo crederlo, e dubitavo fortemente che fosse così, anche perché chi poteva
voler morte quattordici ragazze? E poi, i gemelli si erano molto vantati del
loro piano per far passare la morte di Brian come un incidente, senza che
nessuno sospettasse niente, le ragazze invece erano state palesemente uccise da
un folle. Dietro quei fatti non poteva esserci la mano della stessa persona.
Pensai
a lungo a tutto quanto, tanto che la notte lasciò il posto al dolce chiarore
dell’alba, il freddo dell’acqua mi era da tempo penetrato fin dentro le ossa,
facendomi starnutire e tossire in preda ai brividi. Toccandomi la fronte
ipotizzai potesse essermi anche salita la febbre, tuttavia non mi sentivo
ancora del tutto pronta a uscire dal mio nascondiglio e, più il tempo passava,
più scoprivo che non ne avevo nemmeno la forza.
Improvvisamente,
sentii dei passi avvicinarsi al mio nascondiglio, mi irrigidii, stringendomi le
braccia attorno alle gambe e spingendomi ancora di più verso il fondo della
rientranza. Avevo la pelle d’oca, i peli sulla mia nuca si erano rizzati,
terrorizzata da quei passi. Non erano quelli di Leo, erano passi che non
conoscevo e che mi facevano tremare per un motivo diverso dal freddo. Li
ascoltai, con orrore crescente, avvicinarsi al ruscello ed entravi, grazie alla
luce dell’alba; riuscii a scorgere la sagoma sfocata di quella figura
misteriosa stagliarsi contro l’acqua della cascata e, pregai con tutta me
stessa, che chiunque fosse non si accorgesse di me. Senza i miei occhiali non
vidi che una massa scura chinarsi e lo sentii raccogliere qualcosa dall’acqua,
probabilmente proprio i miei occhiali. Trattenni il fiato, sperando con quanta
forza mi era rimasta in corpo che lo sconosciuto non decidesse di mettersi a
cercarmi nei paraggi.
Forse
fu il delirio dovuto alla febbre o gli anni trascorsi a temere perfino la mia
ombra, perché sicuramente una persona normale sarebbe semplicemente uscita dal
suo nascondiglio, credendo si trattasse di un servo che era stato mandato a
cercarla. Ma ogni più piccola fibra del mio essere mi urlò di rimanere
immobile, perché Leo non avrebbe mai mandato qualcuno a cercarmi, sarebbe
venuto lui stesso; quindi chiunque ci fosse nel bosco a quell’ora del mattino,
non era certo stato mandato per riportarmi a casa sana e salva.
La
figura rimase immobile per qualche minuto poi si tirò su molto lentamente e
iniziò a incedere verso la cascata. Terrorizzata oltre ogni dire, mi spinsi più
che potevo contro la fredda pietra, schiacciandomi le mani sulla bocca per
evitare di emettere anche involontariamente il minimo suono.
Improvvisamente,
lo sconosciuto si fermò, quasi di scatto come se avesse sentito qualcosa e, in
pochi istanti, sparì dalla mia vista. Lo sentii allontanarsi frettolosamente e
dileguarsi nel bosco, pochi istanti dopo, udii l’inconfondibile rumore dei
passi di Leo avvicinarsi. Risi, scoppiando a piangere sollevata e provai a
chiamarlo, sapendo bene che le mie gambe non mi avrebbero mai retto se avessi
provato a uscire dal mio nascondiglio.
La
gola, però, mi faceva tremendamente male, quindi lui dovette avvicinarsi
parecchio prima che io riuscissi a farmi sentire oltre il rumore dell’acqua.
«Accidenti
a te,» disse, infilandosi sotto l’acqua e scoprendo dove mi ero nascosta,
«guarda dove ti sei andata a infilare.» Mi afferrò e sollevò tra le braccia,
tirandomi fuori dalla mia piccola nicchia segreta. Gli gettai le braccia al
collo e mi strinsi tremante a lui.
«Dove
sono i tuoi occhiali?» chiese guardandosi intorno per cercarli nella fioca luce
dell’alba.
«C’era
qualcuno, Leo,» gracchiai, avvinghiandomi con le poche forse che mi restavano
al suo collo, le sue braccia si serrarono maggiormente attorno a me e lo sentii
ringhiare.
«Ti
riporto a casa nostra, va bene?»
Annuii
strusciandomi contro il suo collo, i denti che mi battevano per la paura e il freddo.
«Mi dispiace,» dissi, quando ci fummo inoltrati nel bosco, «non sarei dovuta
scappare.»
Leo
non rispose subito, ma sembrò riflettere attentamente su ciò che voleva dirmi.
«Sapevo
che poteva succedere,» iniziò, «temevo che scoprendolo tu potessi decidere di
allontanarti da me, come hai fatto.»
Sollevai
a fatica il capo per cercare i suoi occhi, che però teneva fissi davanti a sé.
«Avevo
bisogno di riflettere da sola.»
Mi
lanciò una rapida occhiata prima di tornare a concentrarsi sul sentiero.
«Il
problema è proprio questo. Perché senti sempre il bisogno di scappare? Perché
il tuo primo impulso è quello? Dici che ti fidi di me, che va bene se non ti
rivelo tutto, poi quando io ti ordino qualcosa, per proteggerti, tu punti i
piedi, pretendendo di scoprire l’ennesima verità che sai già di non poter
gestire e ti ferirà.» Si fermò, guardandomi intensamente. «Capirai bene che
così sono io a non potermi fidare di te.»
Il
suo occhio pesto e graffiato era di un brutto colore viola e vedevo del sangue
rappreso sotto lo zigomo, eppure sapevo bene che il colpo più duro quella sera
ero stata proprio io ad infliggerglielo, ancora una volta.
«Puoi
fidarti di me,» gemetti tra le lacrime nascondendo il volto nell’incavo del suo
collo, «avevo solo bisogno di pensare in un luogo sicuro,» ripetei, perché alla
fine era solo quella la mia giustificazione, non mi ero andata a chiudere in
camera perché semplicemente non mi sarei mai sentita al sicuro là dentro, e in
quel momento avevo solo bisogno di trovare un posto in cui sentirmi protetta.
«E
per te passare la notte in un buco sotto una cascata è più sicuro che stare in
camera tua con me?» chiese leggermente arrabbiato, sollevai lo sguardo per
incontrare il suo.
«In
quel momento, lo era.»
Lui
scosse la testa. «Vedi,» iniziò riprendendo a camminare, «come posso fidarmi di
te, se nei momenti in cui i sentimenti prendono il sopravvento la tua
diffidenza verso tutto e tutti l’ha sempre vinta? Se l’unico modo che hai per
riacquistare da sola la lucidità è scappare e nasconderti da qualche parte, finché
non ti scovo e punisco fino a farti rinsavire?» Mi strinse più forte la mano
che teneva sotto le mie cosce sistemandomi meglio tra le sue braccia. «Non mi
importerebbe se continuassi a essere così diffidente verso il resto del mondo,»
il suo occhio sano si posò su di me e lessi una profonda tristezza in quel mare
chiaro, «ma non posso accettare che tu, ancora adesso, lo sia con me.»
«Mi
dispiace.» Sconsolata non sapevo che altro dire, ma aveva ragione, mi fidavo di
lui e obbedivo ai suoi ordini finché non succedeva qualcosa che mi
scombussolava, in quei momenti ogni cosa perdeva valore. Non ero degna di stare
tra le sue braccia, non finché non avessi imparato ad accettare le decisioni di
Leo nelle situazioni più estreme, ignorando ciò che mi urlava costantemente il
resto del corpo.
«Riguardo
l’altra cosa,» continuò quando arrivammo nel giardino davanti casa, «ne
riparleremo quando starai meglio,» decretò, guardandomi storto, rimproverandomi
silenziosamente per essermi quasi sicuramente buscata un malanno in un modo
così sciocco.
Abbassai
gli occhi con un cenno del capo. «Va bene.»
Avevamo
tante cose di cui parlare, tante faccende in sospeso, ma sapevo che avrei
dovuto aspettare. Leo aveva bisogno di sapere che poteva fidarsi di me,
nonostante tutto, e io avrei cercato con tutta me stessa di migliorare. Anche
se era un omicida, era l’uomo che amavo, che aveva bisogno di me tanto quanto
io di lui. Non l’avrei più lasciato, non gli avrei più voltato le spalle.
Dovevo solo imparare a fidarmi di lui anche quando mi sembrava che il mondo
cadesse a pezzi attorno a me.
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Prossimo capitolo
Buon ferragosto a tutti ❤
Certo che, però, Leo ne ha di pretese! Avrei voluto vedere lui al posto di Desdemona.
RispondiEliminaComunque, mi domando se la persona che ha preso gli occhiali fosse Sam, com'è naturale pensare, o qualcun altro.
Sento che su Desdemona e sulle sue origini ci sono molti misteri da scoprire.
Aspetto con ansia il prossimo capitolo!
Esatto ahahahahaha Lui è il più bambino dei due se si va a controllare 🤣
EliminaPer il resto... chissà 💟 ma come sempre grazie per il commento 💟💟