Capitolo 37
“Mi piace osservare il cielo stellato di
notte,
mi sembra di vedere tanti piccoli diamanti
che brillano.”
“Piace molto anche a me,
perché alla fine, per quanto siamo lontani,
è bello sapere che il
cielo che stiamo guardando è lo stesso.”
La
colazione del sabato mattina fu rumorosa quanto la cena della sera prima, anche
se mi sentii molto meno in imbarazzo. Non parlai con nessuno, tuttavia anziché
fissare ostinatamente il piatto, lanciai di tanto in tanto qualche occhiata in
giro, ascoltando stralci delle varie altre conversazioni con interesse. Per un
istante, i miei occhi incontrarono quelli di Leo e arrossii, distogliendo
subito lo sguardo e bevendo un lungo sorso di tè. Temevo che qualcuno potesse
intuire cosa ci fosse davvero tra di noi, cosa che si poteva facilmente capire
dal modo in cui mi guardava, con un fuoco negli occhi che era difficile
ignorare. Sapevo bene che quello stesso sentimento ardeva in me, quindi evitai
di voltarmi nuovamente nella sua direzione per tutta la durata della colazione.
Finito
di mangiare, molte delle persone presenti decisero di organizzare delle piccole
spedizioni nella città vicina per acquistare gli ultimi accessori necessari per
il ballo di quella sera o, comunque, semplicemente per passare una piacevole
giornata a fare compere. Quando proposero anche a me di unirmi alla comitiva,
però, declinai gentilmente, adducendo come scusa di avere già tutto il
necessario, non avevo altri acquisti da fare in città. Rimasta quindi in
compagni di altre poche persone e non volendo disturbare Andrew che era già
abbastanza occupato con i suoi doveri di ospite, decisi di addentrarmi per la
casa alla ricerca della sua biblioteca. Scioccamente, non avevo pensato di
portare nessun libro con me se non il mio preferito, che mi aveva seguita da
Londra, e mi ero ritrovata a corto di cose da fare per ingannare il tempo.
Camminai pigramente per gli ampi e sontuosamente arredati corridoi della villa di
Drew, chiedendomi quanta manodopera occorresse per la manutenzione di tutto
quello splendore; quella era di certo l’ennesima riprova dell’immensa mole di
denaro di cui disponeva la famiglia Kerr. Aprii cautamente una porta per
controllare se fosse quella la biblioteca e mi immobilizzai, sorpresa. La
stanza era apparentemente vuota, solo le parenti erano decorate con centinaia
di quadri di ogni forma e dimensione, riempivano tutte e quattro le pareti fin
quasi ad arrivare al soffitto dipinto come un cielo stellato. Entrai
affascinata, studiando attentamente ogni dipinto, tutti ritratti di quelli che
supposi essere i predecessori di Andrew. Rimasi estasiata nel contemplare i
volti raffinati di alcune donne, che mi fissavano con un’espressione dolce ma
lievemente sardonica, come se celassero qualche piccante segreto che non
potevano comunicarmi. Guardai intimorita il cipiglio di un paio di uomini, alti
e impettiti nelle loro uniformi e mi chiesi quanto tempo fossero rimasti fermi
in quella posizione… o se semplicemente i pittori che li avevano ritratti
avessero immaginato tutto nella loro testa. C’erano poi piccoli dipinti ovali
di neonati, grandi ritratti di famiglie e, infine, proprio al centro di una
delle pareti, trovai un grande dipinto con un uomo che non conoscevo, ma che mi
ricordava incredibilmente Andrew.
Tutti
gli uomini di quella famiglia erano stati grandi e muscolosi, come lui, ma
l’uomo nel ritratto sembrava stare a stento nei vestiti. Aveva folti capelli
castani sciolti sulle spalle e simpatici occhi di un misto tra castano e
ambrato che invogliavano a restituirgli il sorriso, anche se sapevi
perfettamente che non aveva senso. I vestiti, però, furono l’elemento che mi
colpì maggiormente, indossava abiti in disordine, la camicia era aperta i pantaloni
strappati malamente su un lato e gli stivali sporchi, come se fosse appena
uscito reduce da una qualche battaglia, a rafforzare questa mia idea c’erano
inoltre, una spada e un paio di pistole mollemente allacciate alla sua cintura.
«Il
mio bisnonno fa ancora strage di cuori.»
Sussultai
spaventata dall’arrivo improvviso di Andrew al mio fianco. Lo guardai
mortificata e mi scusai per aver curiosato nella sua dimora senza chiedergli il
permesso. Lui scrollò le spalle, divertito e riportò la mia attenzione sul
dipinto con un cenno del capo.
«Vi
piace?» chiese, con una strana luce negli occhi, io osservai quello che ora
sapevo essere il suo bisnonno e annuii.
«È
un dipinto molto bello e il soggetto è… insolito.»
Andrew
rise annuendo enfaticamente.
«Oh,
sì. Il mio bisnonno, William, era molto insolito. Diverso da tutti gli altri
Kerr.»
C’era
dell’evidente ammirazione nel tono della sua voce e non sapendo cosa dire,
assentii.
«Non
l’ho mai conosciuto,» mormorò tristemente spostando lo sguardo su di me. «Ma in
realtà non perché sia morto, o meglio, ormai penso proprio che lo sia,»
ridacchio cupamente, «ma perché un bel giorno sparì e nessuno ebbe più sue
notizie.» Tornò a fissare il dipinto in modo intenso, studiando con attenzione
i lineamenti dell’antenato. «È sciocco, lo so bene,» disse, con un tono di voce
così distante che mi chiesi se si stesse rendendo conto di star pronunciando
quelle parole ad alta voce, «ma il fatto che se ne sia andato in un certo senso
mi aiuta,» si voltò verso di me e mi sorrise, tristemente, «da piccolo
fantasticavo sempre sul mio eroico bisnonno, immaginandomelo intento in qualche
avvincente impresa oltreoceano…» i suoi intensi occhi si riempirono di lacrime
e scostò lo sguardo, voltandosi dall’altra parte. «Non ci è mai arrivata la
notizia della sua morte, quindi per quanto sia sciocco pensarlo, nella mia
testa, lui è ancora là fuori.»
Non
capivo come mai Andrew fosse attaccato così tanto a un uomo che non aveva mai
conosciuto, né perché soffrisse così tanto da dover addirittura rigettare
l’idea della sua morte. Non capivo, eppure lui era lì, in quel momento, e stava
piangendo.
«Non
è un pensiero affatto sciocco,» dissi alla fine, cercando di tirarlo su di
morale. «So che non è la stessa cosa, ma anni fa incontrai un piccolo cagnolino
randagio per strada, avrei voluto portarlo a casa, ma a causa della mia
avventatezza il piccolo scappò spaventato. Non l’ho mai dimenticato ma non so
che fine abbia fatto,» tacqui un attimo, guardando il dipinto davanti a me,
«immagino sia morto quell’inverno…» mormorai abbattuta, «ma esattamente come
voi, non posso esserne certa, né potrò mai. Pertanto, nella mia testa, immagino
che sia riuscito a trovare un riparo e una famiglia che lo abbia amato e
nutrito.»
Andrew
tirò su col naso e io mi voltai a guardarlo, sorridendo, lui mi restituì il
sorriso e poi inspirò con forza, facendo ricomparire quel suo tipico sorriso.
«Volete
che vi illustri il resto dei dipinti, signorina Fortescue?»
Annuii,
lieta di poterlo tirare un po’ su di morale, poi però mi accigliai, pensierosa.
«Sapete,»
dissi mentre lo prendevo sotto braccio e iniziavamo a camminare lungo la
stanza, «voi mi avete detto che potevo chiamarvi Drew, ma io mi rendo conto
solo adesso di non avervi mai dato la stessa liberà…», sollevai gli occhi su di
lui, «dovete scusarmi ma sapete, non mi piace affatto il mio nome.»
Lui
scrollò le spalle e mi sorrise.
«Perché
mai non vi piace? È un nome Shakespeariano.»
«Certo,»
concordai infelicemente, «appartenente a un personaggio dall’infausto destino e
con l’ancor più infausto significato.»
Lui
ponderò serio per qualche istante.
«Potete
vedere la cosa da un altro punto di vista,» disse infine, «perdonatemi, ma le
letture del Bardo non sono proprio il mio pane quotidiano, da quel che ricordo,
Desdemona viene accusata ingiustamente di tradire il marito, che per questo la
uccide…» si fermò cercando con lo sguardo i miei occhi per capire se stava
ricordando correttamente gli avvenimenti, io annuii, continuando per lui.
«E
quando Otello scopre che è stato ingannato e che la moglie non l’ha mai
tradito, si uccide a sua volta.»
Andrew
annuì enfaticamente e riprese: «Ecco, potete vedere questo di positivo.»
Aggrottai
le sopracciglia. «L’omicidio-suicidio?»
Rise,
scuotendo la testa.
«No,
il fatto che Desdemona amasse il marito, che gli fosse sempre stata fedele e
che lui, una volta scoperto l’inganno, si sia tolto la vita perché non
sopportava di vivere senza di lei.»
Il
mio cipiglio si fece ancora più marcato.
«Mi
pare di ricordare che il suo gesto fosse dettato più per il rimorso di ciò che
aveva fatto che per il bisogno di ricongiungersi alla donna amata, però la
vostra versione suona decisamente meglio.»
Il
marchese sorrise, interrompendo la nostra passeggiata per la stanza.
«E
poi, se proprio non vi piace il vostro nome…» continuò pensieroso, «possiamo
sempre trovarvi un nomignolo, dopotutto voi mi chiamate Drew.»
Nessuno
me ne aveva mai dato uno, certo, mio padre mi chiamava cara o tesoro e per Leo
ero piccola o bambina, ma nessuno aveva mai storpiato il mio nome per creare un
nomignolo, quindi fui un po’ commossa da quella sua proposta.
«E
sentiamo, quale nomignolo avreste in mente?»
Lui
mi fissò attentamente per un istante, come se cercasse di estrapolare quel
soprannome dai recessi del mio animo.
«Desy.»
Sbattei
le palpebre sorpresa, e lui mi sorrise, fiero della sua scelta.
«Sì,
Desy mi piace… ricorda Daisy, e io
adoro le margherite.»
Quello,
sicuramente, spiegava l’origine del soprannome, ridacchiai scuotendo piano la
testa.
«Solo
voi potevate trasformare il mio funesto nome in qualcosa di così puro e
innocente.»
Lui
gonfiò impercettibilmente il petto, fiero di quel complimento.
«Vi
ringrazio, ma siete voi quella pura e innocente, con o senza il nome che
portate.»
Sorrisi,
lievemente imbarazzata per quel complimento, e cambiai subito discorso
chiedendogli di illustrarmi alcuni dei quadri che avevamo davanti. Andrew si
riscosse immediatamente e, così come era successo la mattina precedente nella
serra, iniziò a elencarmi nomi e date, descrivendomi ogni suo parente e ogni
impresa memorabile da loro compiuta. Ascoltai attentamente, mentre un angolo
della mia mente si ostinava a sussurrarmi che Andrew si sbagliava, ormai da
tempo non ero più né pura né innocente come lui credeva.
Il
resto della giornata passò tranquillamente, molti ospiti continuarono ad
arrivare, mentre pochi altri ad andarsene a causa di urgenti impegni. Il gruppo
uscito per fare compere quella mattina tornò solo a pomeriggio inoltrato,
portandosi dietro un numero così elevato di pacchi e pacchetti che mi domandai
se fosse rimasto qualcosa in città da comprare. Poco prima di cena, Andrew ci
riunì tutti nel salone nel quale si sarebbe svolto il ballo e, quando fummo
tutti presenti salì su un panchetto messo lì apposta per lui, così che tutti
potessero vederlo e sentirlo.
«Buonasera
e benarrivati a tutti,» iniziò inchinandosi teatralmente, «allora, come
saprete, stasera ci sarà un ballo in maschera ma, dato che molti di voi non
avevano o non hanno avuto modo di procurarsi una maschera adatta all’occasione,
ho deciso io di fornirvele.»
Sorrise
calorosamente, facendo scivolare lo sguardo su tutti i presenti nel salone.
«A
breve ceneremo e, subito dopo, se vorrete salire nelle vostre camere, troverete
ad attendervi le maschere che sono state scelte per voi.»
Un
brusio eccitato si levò tra i presenti, mentre io, intanto, cercavo dal mio angolo
sicuro in fondo alla sala di scorgere da qualche parte il volto di Leo, senza
riuscirci.
Anche
durante la cena, il suo posto rimase vuoto, la cosa iniziò a crearmi una certa
ansia, e quando realizzai che era dalla mattina che non lo vedevo, la cosa mi
mandò letteralmente nel panico. Mi alzai, attirando l’attenzione di tutti i
presenti che, alzandosi, mi chiesero cosa fosse successo, accusando un malore
improvviso, mi scusai con tutti e uscii dalla stanza il più in fretta che
potevo.
Mi
mancava l’aria, avevo bisogno di respirare ma non ci riuscivo, era tutto troppo
soffocante, troppo spaventoso. Dov’era Leo?
Corsi
verso l’atrio, sperando di riuscire ad arrivare in camera mia prima di
combinare qualche disastro ma, come misi piedi sul primo gradino, una fitta
atroce allo stomaco mi costrinse a piegarmi su me stessa, rannicchiandomi
contro il pilastro di marmo del corrimano. Annaspai spaventata in cerca d’aria,
gli occhi stretti e le mani serrate attorno alla mia gonna. Avevo bisogno di
Leo, non potevo farcela da sola.
Un
paio di mani mi afferrarono per le spalle e io spalancai gli occhi, spaventata,
trovandomi davanti due intensi occhi azzurri.
Mikhail
mi fissò attentamente, con la sua solita espressione seria.
«Respirate
lentamente,» mormorò, appoggiandomi senza troppe cerimonie una mano sul petto,
così da tenerlo fermo e impedirmi di annaspare.
Gli
agguantai il polso, spaventata dal suo gesto, ma lui scosse la testa e strinse
più forte la presa sulla mia spalla.
«Respirate
con me,» disse, iniziando a respirare in modo lento e marcato, sollevando piano
la mano così che io potessi seguire i suoi movimenti. Faceva così male, era
così doloroso. Chiusi gli occhi, limitandomi a seguire il ritmo di quella mano.
Su e giù.
«Ecco,
così,» mi lodò lui dopo, togliendo la mano e lasciando che fossi io a regolare
da sola la respirazione. Inspirai senza fretta un paio di volte, prima di
riaprire gli occhi e tornare a guardarlo.
«Grazie,»
bisbigliai roca, lui scrollò le spalle rimanendo in silenzio.
Attese
che fossi più calma, poi, si sollevò porgendomi la mano affinché mi rimettessi
in piedi.
«Vi
accompagno in camera,» dichiarò facendomi cenno di proseguire lungo la scala,
annuii grata e ci avviammo assieme, sempre nel più totale silenzio.
Una
volta lì, lui si inchinò profondamente e domandò se avevo bisogno di qualcosa,
gli chiesi la cortesia di un po’ d’acqua fresca e il maggiordomo mi informò che
avrebbe provveduto nell’immediato, lo ringraziai e chiusi la porta sospirando
piano. Quell’incidente non ci voleva, sentivo già la gola iniziare a
formicolarmi per i bruschi respiri di poco prima, il giorno dopo avrei avuto
difficoltà anche a parlare. Sospirai e in quel momento, gli occhi mi caddero
sul letto dov’era stata poggiata una piccola scatola bianca, solo in quel
momento mi ricordai del ballo, quella doveva essere la mia maschera. Mi
avvicinai al materasso e, senza fretta, aprii il coperchio. All’interno, c’era
un’elaborata maschera di stoffa bianca con lunghe orecchie a punta, la sollevai
tra le mani per studiarla meglio e, solo quando l’avvicinai al volto capii che
si trattava di una maschera da coniglio. Sorrisi, chiedendomi quindi quali
altri animali avrei visto in giro quella sera e, soprattutto, che maschera
fosse stata scelta per Leo. Pensare a lui però, mi fece irrigidire.
Dov’era?
Perché era sparito senza dirmi niente?
Ci
rimuginavo su anche quando mi fu portata l’acqua e, quando poi arrivò Julie per
aiutarmi a prepararmi per il ballo, sperai con tutta me stessa di riuscire a
intercettare Andrew prima che la calca degli ospiti lo risucchiasse, perché
solo lui in quel momento poteva dirmi dove fosse finito Leo.
Leo tornerà, vero? Non la lascerà sola! 😱
RispondiElimina🤭 Leo potrebbe mai farlo? ❤
EliminaNo, ma se Sam è lui, chissà quanto tempo ci mette! Ah ah ah
EliminaMa tornerà e le starà vicino ❤
🤣🤣 Vedremo cosa succede nella prossima puntata de: Il segreto 🤣🤣💟
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