Capitolo 8
Rimasi
in camera per il resto della giornata, seduta rigidamente sul fondo del letto,
aspettando le furiose conseguenze che il mio smascheramento avrebbe causato.
Per
qualche minuto presi in considerazione l’idea di fuggire, scappare sul serio.
Se Leo avesse mantenuto la sua promessa, la mia vita sarebbe diventata ancora
più soffocante, ancora più dolorosa. Tanto valeva quindi, aprire la finestra,
calarsi giù e iniziare a correre. Correre finché le gambe avessero retto; finché
avessi avuto fiato nei polmoni, non avrei superato la notte certo, qualche
bandito o il freddo pungente delle ore più buie mi avrebbero uccisa prima, ma
meglio che vivere perennemente perseguitata.
Mi
chiesi se qualcuno si sarebbe accorto della mia assenza, forse Molly se non
fosse stata troppo occupata a preparare la cena. Mi domandai se a qualcuno
sarebbe importato sul serio, probabilmente a nessuno.
Scese
la notte e nessuno venne a bussare alla mia porta, non sapevo se sentirmi
sollevata per aver evitato la catastrofe o se la tempesta fosse stata solo
rimandata all’indomani. Ero comunque spossata e dolorante, gli occhi mi
bruciavano e la testa mi pulsava intensamente, quindi decisi, benché fossero
solo le sette, di infilarmi sotto le coperte. Non avevo nemmeno voglia di
scendere per mangiare qualcosa, nonostante il mio stomaco avesse cominciato a
borbottare già da qualche ora.
Appoggiare
il capo sul cuscino fresco fu un lieve, gradito sollievo; ci misi un po’ e
dovetti girarmi parecchio tra le coperte, ma alla fine riuscii ad
addormentarmi.
Sam osserva, pregustando già il momento in
cui verrà lasciato libero, di nuovo.
La fame sta diventando sempre più
insopportabile, ogni volta che una nuova giovane ragazza incrocia il suo
cammino, quell’urgenza che lo divora si risveglia con sempre più cattiveria,
sempre più voracità. Il profumo dei suoi passati trofei riesce a stento a
contenerla. Solo il desiderio pulsa nelle sue viscere, mescolato al bisogno di
averne ancora e ancora.
Quella nuova ragazza è dolce, è così dolce e
ingenua, e Sam non può proprio farsela scappare. Deve averla.
I suoi occhi devono vedere solo lui, mentre
perdono per sempre la luce di vitalità che li fa brillare. Le sue labbra devono
sussurrare il suo nome, mentre l’ultimo alito di vita le abbandona.
Una piccola punta di tristezza gli stiletta
il cuore, una tristezza che lo guarda con chiari occhi blu, che non ha mai
potuto dimenticare. Occhi che sembrano parlare a quella parte di lui che ha
ancora un cuore, che non ha paura di uscire allo scoperto, di rischiare ancora
una volta.
Ma Sam ricaccia ostinatamente il ricordo di quello
sguardo nei remoti anfratti della sua mente. Non c’è posto per la tristezza e
il rimorso nella sua vita, perché altrimenti sa bene cosa potrebbe succedergli.
Sarebbe costretto a tornare nel luogo in cui è nato, e nessun’altra cosa lo terrorizza
come quella possibilità.
Ricorda ancora le urla, il dolore, la morte,
che permeavano l’aria la notte in cui venne al mondo. Ricorda bene le lacrime e
il sangue, e ha giurato che mai avrebbe permesso a nessuno di ricondurcelo. Sam
è nato per scappare da quel luogo e nessun paio di occhi dolci potrà mai
dissuaderlo dal fare ogni cosa sia in suo potere per evitare di ritornarci.
Sam osserva la nuova ragazza, è piccola, è
dolce, ha grandi occhi azzurri, un profumo celestiale.
Il trofeo perfetto.
«Cosa sei, stupida?»
Lo schiaffo bruciava sulla
guancia, le lacrime invece mi bruciavano gli occhi.
«Non osare mai più rispondermi
così!»
Una mano lunga, fredda, mi
circondava il mento costringendomi a sollevarlo. Occhi grandi mi fissavano
cattivi, senza provare un briciolo di amore. Un paio di grandi forbici
arrugginite vennero passate davanti al mio volto, lentamente, molto lentamente.
«Se ti azzardi di nuovo a
parlarmi così, userò queste forbici per tagliarti la lingua e gettarla in pasto
ai cani.»
Le lacrime scorrevano copiose,
avevo paura, tanta paura. Avrei voluto implorare pietà, ma ero terrorizzata
dalle ripercussioni.
La mano che mi teneva per il
mento mi spinse via, facendomi cadere rovinosamente a terra.
«E smettila anche di guardarmi a
quel modo o ti conficco uno spillone negli occhi mentre dormi.»
Urlai
scattando a sedere nel letto, ero madida di sudore e il cuore mi batteva
furiosamente nel petto. Mi strinsi le braccia attorno al corpo, tremante. Non
bastava che mi tormentasse mentre ero sveglia, i ricordi dei suoi soprusi
dovevano tornare a perseguitarmi anche nei sogni. Chiusi gli occhi, cercando di
respirare lentamente, non volendo una ripetizione della crisi del giorno prima,
inoltre non ci sarebbe stato Leo a sorreggermi. Ricordando gli ultimi eventi mi
si strinse il petto. Avevo bisogno di uscire da quella stanza, di camminare un
po’ per il corridoio, dovevo capire come poter risolvere la situazione con Leo,
non volevo che tra di noi le cose rimanessero così e allo stesso tempo non
sapevo come avrebbe reagito se gli avessi spiegato la situazione.
Strisciai
lentamente fuori dalle coperte e, senza nemmeno mettermi le pantofole, sbloccai
la porta e uscii.
Per
poco non urlai di nuovo, lì fermo nell’oscurità c’era la figura imponente di
Leo, rischiarata da una piccola candela.
Lui
mi guardò corrucciato, io mi chiesi cosa ci facesse in piena notte fermo
davanti alla mia porta.
«Dove
stai andando?» mi chiese, la voce più roca del solito, fu in quel momento che
insospettita, abbassai lo sguardo e mi sentii arrossire fino alle punte dei
capelli.
Leo
indossava solo una camicia, era senza pantaloni, anche nella semi oscurità
riuscivo a scorgere i contorni delle sue gambe nude.
«Io-io-io…»
Non
riuscivo a pensare ad altro che non fosse Leo mezzo nudo davanti a me e che, se
solo ci fosse stata più luce e i miei occhi non fossero stati difettati, avrei
potuto vederlo meglio.
«Da
nessuna parte,» riuscì a concludere alla fine, riportando lo sguardo sulla sua
faccia.
«E
voi perché siete qui?»
Il
suo sguardo si accigliò e grugnì.
«Non
sei nella condizione per fare domande, ragazzina.»
Poi
si voltò e iniziò a incamminarsi lungo il corridoio, attraversata da un impulso
folle, scattai in avanti.
«Leo,
aspettate.»
Lui
si bloccò in mezzo al corridoio ma non si voltò, il suo grande corpo copriva
quasi interamente la flebile luce della candela, impedendomi di distinguerlo
distintamente nel corridoio.
«Quelle
lettere… io… non è mai stata mia intenzione ingannarvi. Mi dispiace davvero.»
Lui
voltò lentamente il capo nella mia direzione, l’espressione gelida e la flebile
luce che lo rendeva ancora più inquietante.
«E
presto ti dispiacerà ancora di più.»
Poi
senza aggiungere altro, entrò nella sua camera e si chiuse dentro.
Sconsolata,
tornai nella mia chiudendo la porta, non avevo più voglia di fare la mia
passeggiata, avrei dovuto trovare un altro modo per schiarirmi la mente e poter
riposare qualche altra ora. Tuttavia, non potei evitare di ripensare allo
strano comportamento di Leo, ancora e ancora, finché fuori dalla mia finestra
non vidi spuntare il sole.
Non
essendo mia madre una tipa mattiniera, fui parecchio sorpresa quando, scendendo
al piano terra, la trovai già perfettamente vestita. Mi lanciò un’occhiata
seccata mentre si dirigeva in sala da pranzo.
«Finalmente
sua maestà si è decisa a mostrarsi in
pubblico,» mi sibilò contro, entrando e chiudendosi di slancio la porta alle
spalle.
Sospirai
rassegnata e la seguii, papà e Leo erano già seduti, immersi in quella che
sembrava un’accesa conversazione che però terminò bruscamente al mio ingresso,
le uniche parole che ero riuscita a udire erano state “troppo giovane”, uscite
dalla bocca di mio padre. Visto il loro comportamento, supposi stessero
parlando di me, il cuore prese a martellarmi furiosamente nel petto.
Leo
dunque aveva detto loro la verità? Era quella la tempesta che avevo attesto
tutto il giorno prima? Ma nessuno sembrava interessato alla mia presenza; come
sempre, ognuno era rinchiuso nei propri pensieri. Il più silenziosamente
possibile mi feci scivolare a sedere sulla sedia accanto a Leo e mi versai una
tazza di tè.
La
gola non mi faceva più male come il giorno prima, quindi mi arrischiai a
prendere un po’ di pane tostato per imburrarlo, avevo così tanta fame che avrei
volentieri ingurgitato tutto il cibo che vedevo sulla tavola, ma per buona
decenza cercai di trattenermi.
«A
che ora partirete Leo?»
Le
parole di mia madre, pronunciate con tono così mellifluo, mi colpirono al punto
che lasciai cadere il mio pane nel piatto. Sapevo, certo, che sarebbe dovuto
partire per raggiungere la sua nuova tenuta, però non credevo che l’avrebbe
fatto così presto. Ma, pensai, di cosa mi lamentavo? Se andava via non avrebbe
avuto modo di torturarmi e io avrei vissuto in relativa tranquillità, no?
Almeno finché non avesse deciso di scrivermi per dirmi di raggiungerlo nel
Gloucestershire… sempre se ancora mi voleva lì.
Sollevai
il volto per osservarlo, lui stava tagliando un pezzo di bacon.
«Subito
dopo colazione,» rispose senza nemmeno guardarla negli occhi. Mio padre dal suo
posto a capotavola annuì con aria greve.
«Spero
solo che la casa non sia ridotta tanto male,» mormorò, più per se stesso che
per noi, ma Leo liquidò il commento con una scrollata di spalle.
«Può
essere anche crollata sulle sue fondamenta, la ricostruirò.»
Credo
che a nessuno, nemmeno a Leo, che stava ancora mangiando con la testa china sul
piatto, sfuggì il fremito d’eccitamento che attraversò mia madre. Sentii
l’impulso di sollevare gli occhi al cielo ma mi trattenni, preferendo
concentrarmi sul mio cibo.
«Speriamo
che non ci siano lavori troppo ingenti da fare,» ripeté mamma con la voce che
sembrava scalpitare, «così almeno potremo raggiungervi presto per passare una
fantastica primavera, e magari perché no, anche un’estate in campagna!»
Mi
immobilizzai, fissando la mia fetta di pane nel piatto e la mia tazza di tè
ormai tiepido. Trattenevo il fiato aspettando di sentire quale sarebbe stata la
risposta di Leo.
Lui
se la prese deliberatamente con calma, lo udii masticare sonoramente e
deglutire, bere un sorso dalla sua tazza e poi tornare a inforcare un’altra
fetta di bacon.
«Oh,
non temete, Mary,» disse infine con un tono che sembrava nascondere mille
sottintesi, «farò in modo che voi e vostra figlia possiate raggiungermi il
prima possibile.»
A
quel punto, mamma batté le mani estasiata, iniziando a elencare tutte le cose
che avrebbe fatto, visto e comprato una volta arrivata nel Gloucester, io
invece avevo i palmi sudati e sentivo un formicolio dietro la nuca. Ero certa
che quella frase fosse stata pronunciata più a beneficio mio che suo, così come
ero certa che in quel momento Leo mi stesse fissando con la coda dell’occhio.
Non
volevo vederlo partire, non riuscivo a sopportare il suo sguardo così glaciale
su di me, né le moine che mia madre faceva nella speranza di accaparrarsi un
posto nel suo cuore. Quindi, appena finito il mio misero pasto, mi scusai con
tutti mormorando che non mi ero ancora totalmente ripresa dal malanno del
giorno prima e che avevo bisogno di tornare a stendermi. Mio padre mi congedò,
quindi senza guardare Leo in volto, gli augurai buon viaggio e scappai in
camera mia.
Mi
sedetti sul davanzale della finestra e osservai la strada sottostante: una
carrozza era ferma davanti al nostro portone con i bagagli di Leo già caricati;
l’uomo sul sedile del cocchiere era chino in avanti, nascosto nel suo lungo
cappotto nero, quasi volesse evitare che qualcuno lo vedesse in volto, non mi
fece una bella impressione, ma la mia attenzione venne presto catturata dai
rumori dal portone d’ingresso che si apriva.
Leo
avanzò in strada a passo lento e sicuro, i miei genitori subito dietro.
Mentre
lo fissavo salutare mia madre con un baciamano, mi chiesi se lo avrei mai
rivisto, se davvero ci avrebbe mandate a chiamare o se la sua punizione
consisteva proprio in quello: lasciarmi per sempre in attesa di un invito che
mai sarebbe giunto.
Dopo
mia madre, toccò a mio padre essere salutato. I due fratelli si abbracciarono
brevemente e si scambiarono qualche parola concisa, ancora stretti l’uno
all’altro. Sorrisi vedendo quella scena, sebbene considerassi mio padre un
mistero, tanto quanto Leo per certi versi, ero felice di vedere che si volevano
bene, a modo loro; supposi che tra fratelli fosse naturale.
Quando
si sciolsero dall’abbraccio, Leo sollevò lo sguardo e mi fissò, fu solo un
istante, un lunghissimo istante in cui il resto del mondo scomparve. Sembrava
che tutti i suoni, i colori e gli odori del mondo fossero spariti, lasciando
solo Leo… e me.
Poi
il contatto si interruppe, il mondo tornò alla sua forma naturale e io ripresi
a respirare.
Lui
guardò mio padre, toccandosi distrattamente la tasca del cappotto, fece un
segno al cocchiere, disse qualcosa ai miei genitori prima di superarli,
dirigendosi di nuovo in casa, a passo decisamente più svelto di quando ne era
uscito.
Il
cuore mi saltò in gola.
Scattai
in piedi sentendo il battente dell’ingresso aprirsi e i suoi passi pesanti
salire la rampa di scale come se il diavolo in persona lo stesse inseguendo.
Istintivamente, corsi verso la mia porta e la spalancai, trovandomelo davanti
esattamente come la notte prima.
In
quel momento, però, non rimase a fissarmi. Ancora ansante, mi afferrò il volto
tra le mani e si chinò per reclamare la mia bocca. Gli buttai le braccia al
collo, cercando di tirarlo il più vicino possibile e provando, nella mia
inesperienza, a rispondere a quel bacio che desideravo da anni.
Le
sue labbra erano morbide e calde. La sua barba sfregava contro la mia pelle,
graffiandomi. Le sue dita mi stringevano convulsamente il volto, come se non
volessero lasciarmi andare mai più, esattamente allo stesso modo in cui io mi
ero aggrappata alle sue spalle.
Mi
succhiò il labbro inferiore, mordendolo delicatamente e sentii arricciarsi le
dita dei piedi dal piacere. Avrei voluto continuare per sempre, avrei voluto
spingermi oltre ma, rapido così com’era iniziato, il bacio finì.
Si
staccò da me e mi fissò, carezzandomi il volto con i pollici.
«Ah,
bimba,» mormorò con voce roca, «non hai idea di quello che ti farò.»
---
Commenti
Posta un commento