Capitolo 5

 

I primi giorni di convivenza col nuovo ospite passarono senza troppi drammi, anzi, le cose andavano addirittura meglio da quando Leo si era stabilito in casa nostra. Mia madre era visibilmente più felice e solo raramente si ricordava della mia esistenza, di solito solo durante i pasti quando per forza di cose ci trovavamo nella stessa stanza; quindi io trascorrevo le mie giornate in relativa tranquillità, se riuscivo certo a non pensare al pericolo che correvo costantemente, ma anche da quel lato le cose sembravano proseguire bene. Leo usciva la mattina molto presto e rincasava spesso a notte fonda, quando tutti in casa stavano già dormendo, tutti tranne me.

Non riuscivo a dormire sapendo che lui era fuori, chissà dove; che sarebbe potuto sparire dalla mia vita tanto velocemente come vi era apparso. Così restavo sveglia, leggevo a lume di candela qualche libro, ma con la mente concentrata sui rumori della casa. Speravo di sentire la porta di casa aprirsi, e quando finalmente accadeva, scattavo a sedere, aggrappandomi alla sponda ai piedi del letto con tutte le mie forze. Interpretavo ogni più piccolo fruscio, contavo ogni suo movimento su per le scale e lungo il corridoio, a ogni tonfo il mio cuore batteva sempre più rapidamente, ogni passo che lo conduceva più vicino alla mia porta mi faceva fremere. Mi illudevo di sentirlo fermarsi davanti al mio uscio, di vedere la maniglia della mia porta abbassarsi. Volevo che entrasse in camera mia, ma allo stesso tempo che non succedesse.

Non sarei mai stata così coraggiosa da alzarmi per correre a spalancare l’anta mentre passava lui, non avrei mai avuto la sfacciataggine di compiere quel passo, anche se lo desideravo con tutta me stessa. Di conseguenza rimanevo immobile e silenziosa, così tesa da non riuscire nemmeno a sbattere le palpebre o a respirare correttamente, aspettavo di sapere quale sarebbe stato il mio destino quella notte, e quando i passi di Leo incedevano senza interruzione, una parte di me sospirava sollevata, ma l’altra, immensa, ne accusava terribilmente il colpo. Alla fine, andavo a chiudere a chiave la porta, spegnevo la candela e mi mettevo sotto le coperte ripetendomi che in fondo era meglio così; non volevo certo complicarmi la vita più di quanto non lo fosse già, continuavo a ripetermelo finché non mi addormentavo con il cuscino bagnato dalle lacrime.

 

Quando finalmente arrivò il giorno della lettura del testamento, il giorno che in famiglia avevamo atteso con più ansia, ognuno per motivi diversi, Leo sembrava impassibile. L’avevo visto di sfuggita, mentre stava entrando nello studio di mio padre e io scendevo le scale per raggiungere Molly in cucina, i nostri sguardi si erano incrociati per un breve istante. Sul suo volto non ero riuscita a leggere nessun tipo di emozione se non una leggera punta di insofferenza, come se da quel testamento non dipendessero le sorti del suo futuro, del futuro di tutti noi. Forse era solo molto bravo a nascondere l’agitazione, oppure poteva permettersi di ricostruire una villa distrutta da un incendio, pertanto non aveva bisogno del testamento del padre per vivere la sua vita.

Raggiunsi Molly in cucina, indaffarata come sempre tra le pentole mentre preparava la colazione per tutti.

«Buongiorno, Signorina. Avete dormito bene?»

Mi ero svegliata stanca, la notte prima Leo era tornato molto tardi e in più, i pensieri sull’imminente lettura testamentaria mi avevano fatta girare e rigirare nel letto fin quasi all’alba. Avevo dato un’occhiata alla pendola prima di entrare in cucina e, facendo un rapido calcolo, avevo dormito solo un paio d’ore.

«Ho dormito meglio,» risposi sedendomi sulla panca di legno e appoggiando le braccia conserte sul tavolo. Essendo prima mattina, mia madre non era ancora scesa, di conseguenza nessuno poteva fare colazione; sperai ingenuamente che si sbrigasse, ma conoscendola stava ancora dormendo.

Il rumore di una padella sbattuta più fragorosamente della altre mi fece sollevare la testa di scatto. Molly nell’agitazione doveva aver urtato uno dei tegami, che ora giaceva capovolto al suolo.

«Oh, no!» mormorò lei, chinandosi subito con uno straccio per recuperare la pentola e raccoglierne il contenuto ormai rovinato. Mi sembrava un po’ troppo agitata per aver rovesciato una semplice stoviglia.

«Molly, è stato un incidente, nessuno te ne farà una colpa.»

La donna scosse la testa, continuando a raccogliere pezzi di cibo e a pulire il pavimento.

«Era la colazione del Signor Leo, non ho altra pancetta da cucinare, né posso andare a comprarla, a quest’ora è tutto chiuso! Cosa posso fare adesso.»

Sbattei le palpebre, evidentemente non ero l’unica a temere Leo e le sue ripercussioni.

«Potresti cucinargli le uova al tegamino, su di un toast caldo. Quelle gli piacciono molto…» riflettei ad alta voce, Molly sollevò lo sguardo verso di me, fissandomi con due occhi enormi.

«Dite sul serio, Signorina?»

Mi portai una mano sotto il mento, cercando di ricordare.

«Sì, gli piacciono molto le uova e il prosciutto. C’è del prosciutto in casa, Molly?»

La donna annuì con enfasi, tornando a sollevarsi una volta finito di pulire tutto.

«Sì, sì, lo abbiamo! Oh, Signorina, grazie, mi avete salvato!»

Sembrava quasi sul punto di piangere, io chinai il capo, non riuscendo a reggere il peso della gratitudine che le vedevo riflessa negli occhi.

«Non è niente di che, Molly. Non ho fatto niente, davvero.»

La sentii prendere fiato per parlare, per aggiungere altro, quando un’ombra passò vicino alla porta e la vidi sussultare con la coda dell’occhio.

Sollevai piano la testa e mi gelai.

«Signor Leo, che sorpresa vederla in cucina.»

Lui se ne stava fermo sull’uscio, occupandone lo spazio quasi interamente, i suoi glaciali occhi fissi su di me, un leone attento a studiare la sua giovane preda.

«Ho sentito un rumore e sono venuto a controllare,» pronunciò quelle parole lentamente, con tono monocorde, come se parlando stesse pensando a tutt’altro.

Io abbassai nuovamente il capo, fissando intensamente le venature del legno sul tavolo, stringendomi convulsamente gli avambracci. Aveva sentito qualcosa di quello che ci eravamo dette? Aveva capito?

«Oh, non vi preoccupate, Signore. Ho inavvertitamente urtato una delle pentole, ma ora rimedio subito al mio errore, sono profondamente desolata di averla disturbata… e di aver sprecato dell’ottimo cibo con la mia sbadataggine.»

Leo in tutta risposta grugnì.

«Torna pure a preparare la colazione, Molly, non voglio certo che la mia cara nipote soffra la fame.»

Sentivo il volto caldo e il bisogno di scappare da quella cucina, diventata più piccola e soffocante a causa sua.

Udii Molly riprendere a trafficare con le stoviglie e, in qualche modo, sembrò che fossi rimasta da sola con lui. La nuca mi pizzicava e percepivo i suoi occhi fissi su di me. Temevo avrebbe detto qualcosa per farmi capire che sapeva, invece, notai il suo profilo muoversi lentamente, poi la panca si inclinò appena quando lui ci lasciò cadere il suo peso sopra. Le venature del legno non erano mai state così interessanti come in quel momento. Non era la prima volta che sedevamo vicini, durante i pasti se capitava che fosse in casa, la disposizione dei posti prevedeva che sedessimo accanto, ma mai così tanto vicini. Nonostante lo spesso tessuto della mia gonna e dei suoi pantaloni, riuscivo quasi a percepire il calore emanato dalla sua gamba così vicina alla mia. Il minimo movimento avrebbe fatto aderire i nostri corpi, come lo erano stati quel primo giorno, quando mi aveva salvato dalla caduta.

«Cosa mi prepari di buono oggi, Molly?» domandò lui, sentivo quasi il divertimento nella sua voce e non capivo se fosse indirizzato a me o alla povera cuoca.

Sollevai lo sguardo per vederla armeggiare tra le cibarie, si voltò leggermente per rispondere: «Su consiglio della Signorina, vi starei preparando le uova al tegamino e del prosciutto.»

La voce della donna titubò, incerta; se non avessi saputo per esperienza personale che un solo sguardo di quell’uomo ti portava a dubitare pure del tuo stesso nome, mi sarei quasi sentita offesa dalla sua poca fiducia nei miei riguardi. Ma quello era l’effetto che faceva Leo alla gente.

«Mmm… spero ci siano anche i toast allora,» mormorò sornione, sistemandosi meglio sulla panca e allungando le gambe sotto al tavolo.

Molly annuì con entusiasmo.

«Ovviamente, Signore.» Poi tornò a sfaccendare tra cibi e padelle, palesemente più tranquilla di prima.

«Su consiglio della Signorina, eh?»

Sobbalzai spaventata, voltandomi di scatto verso di lui. Senza che me ne accorgessi, in pochi istanti, si era chinato verso di me così da potermi sussurrare quella frase all’orecchio. La sua voce roca e profonda mi aveva scatenato un brivido lungo tutto il corpo, brivido che si era accentuato quando il suo alito caldo mi aveva carezzato il collo.

Lo fissai ammutolita, portandomi una mano sul padiglione, lì dove la sua bocca era arrivata a pochi centimetri, tastando quel punto, sperando così di impedire a quella meravigliosa sensazione di sparire e cercando al tempo stesso di attenuare, con le mie mani fredde, il fuoco che adesso mi scorreva sotto le vene.

Lui mi restituì lo sguardo, divertito.

«Per caso non vi piacciono?» domandai in un sussurro, sfruttando il momento in cui Molly si era allontanata per recuperare gli ingredienti che le mancavano.

Leo tornò a inclinarsi verso di me, i nostri volti a un sospiro di distanza l’uno dall’altro. Sentivo il suo respiro carezzarmi le guance e sapevo che lui percepiva il mio. Una piccola parte del mio cervello si chiese se anche lui stesse rabbrividendo, scosso come me da quel flebile seppur intenso contatto. Ma probabilmente lui non ci stava facendo neanche caso. Come sempre, ero solo io la folle sognatrice in casa, prima me lo mettevo in testa, prima avrei smesso di nutrire speranze e desideri proibiti verso quell’uomo che mi vedeva solo come una nipote ritrovata.

«No, mi piacciono, ma…» s’interruppe, sentendo avvicinarsi i passi di Molly, e tornò a sollevarsi. Portai di nuovo lo sguardo su di lei, fissandole intensamente la schiena e seguendone i movimenti per tutta la stanza, anche se in realtà ogni mia più piccola cellula era protesa verso Leo, perfettamente conscia della sua presenza e di ogni suo più piccolo movimento, quindi quando tornò a chinarsi verso di me la terza volta, ero preparata a sentire quel fiato caldo carezzarmi e quella voce stregarmi.

«Ma sarei curioso di scoprire come faceva la mia nipotina a saperlo.»

Deglutii a vuoto, la testa prese a girarmi vorticosamente e, di nuovo, la sensazione di soffocamento che avevo avvertito in precedenza tornò a scatenarsi ancora più potente. Dovevo uscire da lì il prima possibile, dovevo allontanarmi da quello sguardo capace di denudarmi e carpire ogni mio più piccolo e oscuro segreto.

«Non lo sapevo,» mormorai alzandomi, cercando di farmi forza nelle braccia tremanti per tirarmi su dalla panca, «ho tirato a indovinare.»

Aggirai il tavolo e raggiunsi la porta, passandogli accanto, mi arrischiai a lanciargli un’ultima occhiata prima di varcare la porta.

Mi guardava con la testa inclinata di lato, il suo solito sorriso sornione dipinto in volto, anche senza bisogno di parole, seppi cosa voleva dirmi.

Sapeva che stavo mentendo.

 

Quando mia madre si decise a uscire dalla sua camera, finalmente potemmo fare colazione, in silenzio, ognuno troppo perso dai propri pensieri. Uscimmo che erano da poco scoccate le otto e ci ammassammo tutti nella piccola carrozza: mia madre accanto a me batteva nervosamente il piede a terra, un brutto vizio inconscio che aveva passato anche a me; mio padre come sempre, fissava fuori dal finestrino, mentre Leo studiava tutti noi. Anche senza guardarlo, sentivo i suoi occhi scivolare sulle nostre figure, su me e mia madre in particolare; io dal canto mio ero troppo occupata – esattamente come papà – a osservare il paesaggio cittadino per voltarmi a fronteggiarlo: occupata e codarda.

Arrivammo allo studio in poco meno di dieci minuti, ma a me era parsa un’intera giornata.

Fu Leo ad aiutarmi a scendere dalla carrozza, la sua mano guantata si chiuse saldamente attorno alla mia e senza che potessi impedirmelo, ricambia la stretta.

 

La lettura si svolse molto rapidamente, come avevo sospettato e temuto, nonno non aveva nessun tipo d’eredità nascosta da spartire: a mio padre venne data la piena proprietà della nostra casa londinese, che ancora era ridotta in condizioni disastrose, mentre a Leo spettò la tenuta di campagna, nel Gloucester; le volontà si concludevano con una postilla dove si specificava che per nessun motivo uno dei due fratelli doveva impedire all’altro di soggiornare in una delle due case, altrimenti la proprietà sarebbe passata nelle mani del figlio estromesso. Nessuno fu particolarmente sorpreso di quella spartizione, io ero solo un po’ perplessa riguardo quell’ultima nota, mamma invece per poco non esplose a piangere davanti all’esecutore. Lei sognava futuri pieni di seta e diamanti, e si ritrovava con la stessa casa annerita di sempre.

 

Il viaggio di ritorno fu ancora più tetro, il piede di mamma batteva furiosamente e io di nuovo, cercavo di farmi piccola nel mio consueto angolo di carrozza.

«Questa è tutta colpa tua!»

Alla fine la rabbia di mia madre eruttò, ovviamente contro di me.

La guardai con gli occhi sgranati, aprendo bocca per replicare, senza riuscirci, la mia mente era andata totalmente in confusione, quasi incosciente.

«Come potrebbe essere colpa sua?»

La voce di Leo mi riportò con i piedi per terra, restituendomi un po’ di calma, sbattei le palpebre ripetutamente voltando il capo verso di lui che la stava già fissando con espressione accigliata.

Mia madre era agguerrita, mi indicò con un brusco gesto del capo.

«È solo colpa sua se la casa è bruciata.»

Entrambi gli uomini posarono gli occhi su di me e io mi sentii soffocare, strinsi i pugni infilandomi le unghie nella carne, il dolore era una piacevole distrazione in quel momento.

«Chi credete possa essere stato tanto stupido da dimenticare una candela accesa in biblioteca? Solo lei

Respiravo a fatica, il petto compresso in quello stupido vestito troppo stretto. Avevo la vista ancora più appannata del solito, non volevo più stare lì, volevo aprire lo sportello e gettarmi in strada, anche se la carrozza era in movimento, non importava.

«Non vedo come questo abbia a che fare con l’eredità di nostro padre.»

Fu mio padre a parlare, esattamente come Leo, adesso, aveva un’espressione tremendamente accigliata, sembrava quasi fremere dal desiderio di dire tutt’altra cosa, ma che si stesse trattenendo con tutte le sue forze, in quell’istante per un breve attimo, notai le somiglianze tra i due uomini.

Evidentemente, mia madre non si aspettava quel genere di reazione né il tono palesemente adirato di mio padre, lei avrebbe voluto vederli coalizzati contro di me, non contro se stessa, quindi annaspò un attimo, cercando nel suo cervello qualcosa da dire per ribaltare la situazione a suo favore.

«Sicuramente se non avesse dato fuoco alla casa, vostro padre sarebbe stato più sereno e avrebbe magari potuto trarre maggior profitto dai suoi affari, invece la preoccupazione di non avere un tetto sopra la testa ha fatto definitivamente crollare le sue entrate, e di conseguenza le nostre!» Quando finì di parlare era totalmente rossa in viso e ansimava per l’enfasi che aveva messo in ogni singola sillaba.

Leo lanciò un’occhiata in tralice a mio padre, che teneva gli occhi fissi sulla moglie, i pugni stretti sulle ginocchia, visibilmente sul punto di crollare.

«Ti sbagli. Gli affari di nostro padre erano in calo già da prima che la casa bruciasse, quell’increscioso incidente non c’entra nulla con la situazione precaria in cui ci troviamo. Quindi fa’ un favore a tutti e piantala,» sibilò alla fine papà, la voce grondante di rabbia. Mamma incassò il colpo in silenzio, gli occhi le ardevano furiosi e sapevo che quell’umiliazione sarebbe stata sfogata su di me, ma in quel momento non mi importava, in quel momento avevo il cuore gonfio di gratitudine per Leo e, soprattutto, per mio padre. Le lacrime mi pungevano gli occhi, quindi voltai il capo di lato, sperando che nessuno lo notasse.

Nel riflesso del finestrino, vidi lo sguardo di Leo fisso su di me e dall’intensità con cui mi guardava, capii che se n’era accorto.

 

Quella sera mi sdraiai esausta tra le coperte, avevo passato il resto della giornata a fuggire – quasi letteralmente – dalle grinfie di mia madre, l’unica cosa che le aveva impedito di venirmi a cercare per una delle sue sfuriate o peggio, era stata la presenza di Leo e papà in casa. Quindi ero solo dovuta scappare dalle sue frecciatine, e ciò mi aveva reso fisicamente e psicologicamente esausta.

Per fortuna, Leo non era uscito, così non avrei dovuto aspettarlo sveglia come mio solito, decisi dunque di leggere un paio di capitoli del libro che avevo iniziato, per poi chiudermi a chiave in camera come mio solito e mettermi a dormire.

La lettura mi avvinse totalmente, non dovendo concentrarmi su altro, lasciai che le parole scorressero dentro di me, creando immagini alimentate dalla mia immaginazione. Ero così presa da quel mondo fantastico da non accorgermi della porta che si apriva, né dell’imponente figura di Leo che lentamente entrava nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.


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