Capitolo 4

 

Mia madre era già nel salottino quando entrai, scortando Leo che ancora non si era tolto né cappello né cappotto, supponevo che non l’avesse fatto a causa dell’assenza di Joseph, ma mi rifiutavo di avvicinarmi nuovamente a lui, anche solo per aiutarlo a sfilare l’indumento.

Quando ci vide entrare il volto di mia madre si ravvivò, sorrise raggiante scattando in piedi e muovendosi flessuosamente per la stanza, per venire incontro a Leo.

«Cognato, finalmente siete tornato! Ci siete mancato moltissimo.»

Lui si prodigò in un cordiale baciamano.

«Mary, sì, sono felice di essere tornato.»

Mia madre si illuminò e io distolsi lo sguardo, disgustata, cercando allo stesso tempo di appiattirmi contro il muro così da non essere notata.

«Vi prego, accomodatevi, Leo,» lo incoraggiò scortandolo verso il divanetto posto davanti al caminetto e accomodandosi poi al suo fianco. «Mia figlia, vostra nipote, può andare a prepararci un buon tè e portarci qualche pasticcino. Dico bene, cara?»

Pronunciò quelle parole senza nemmeno guardarmi in faccia, troppo occupata a civettare col nuovo arrivato, sbattendo lentamente le sue lunghissime ciglia. Io annuii, lieta se non altro di uscire da quella stanza e di allontanarmi dalla loro presenza, mi mossi verso la porta, arrischiando un’ultima occhiata nella loro direzione, Leo mi restituì lo sguardo, fu solo un istante, ma bastò a scatenarmi intensi brividi lungo tutto il corpo.

Uscii il più in fretta possibile, accostando la porta così da poterla riaprire facilmente una volta tornata con tè e biscotti, poi mi avviai lentamente verso la cucina. Non avevo molta voglia di rientrare volontariamente in quella stanza, inoltre, ero certa, avessero molte cose di cui parlare, argomenti che io non avrei certamente né voluto né dovuto udire. Quindi mi presi il mio tempo per arrivare in cucina e chiedere a Molly di preparare il tè.

«È arrivato lo zio,» mormorai alla cuoca, che sussultò sorpresa. Evidentemente nemmeno lei si aspettava questa sua improvvisata.

«Il Signor Leo finalmente a casa…» le tremava un po’ la voce, non sapevo dire se per la gioia o per qualcos’altro. «Sono molto felice,» terminò, sparendo dentro la piccola dispensa per recuperare il tè. Sicuramente il ritorno anticipato di Leo avrebbe sconcertato anche papà, Joseph e Lucas, solo mamma sembrava estasiata di vederlo, e la cosa non mi sorprendeva per niente.

Rimasi a rimuginare, mentre osservavo Molly intenta nell’infusione della bevanda. Quella situazione non mi piaceva, e mio padre non era nemmeno in casa – chissà quando sarebbe tornato –, avevo una gran paura di quello che potevano dirsi quei due se lasciati troppo tempo da soli. Chiusi gli occhi cercando di prendere profonde boccate d’ossigeno, dovevo solo stare calma, o almeno fingere di esserlo – cosa che non mi era difficile vista la mia quasi totale mancanza di espressività, questo a detta di mia madre e di buona parte della società da lei frequentata –  in fondo, non potevo fare niente per impedire il compimento del disastro, quindi non mi restava che prepararmi mentalmente a quando e se mai il fatto fosse stato scoperto.

Il tè con i biscotti fu pronto troppo in fretta, a mio avviso; io e Molly afferrammo i due vassoi e li portammo nel salottino, dal quale sentivo provenire il basso sussurrare della voce di mia madre.

Rabbrividii attanagliata da due diversi desideri, quello di scappare al piano di sopra e nascondermi sotto al letto, così da poter fingere che niente di tutto quello stava accadendo, e il precipitarmi dentro per sentire cosa si stessero dicendo.

Avevo bisogno di sapere, ma allo stesso tempo temevo che scoprirlo fosse troppo doloroso e, francamente, disgustoso.

Molly bussò tenendo il vassoio in equilibrio con una mano e una volta che mia madre ci ebbe dato il permesso, entrammo per posare le vivande. Sebbene fossi presa dal non sbilanciare troppo il vassoio con i pasticcini, riuscii a notare con la coda dell’occhio che Leo si era tolto giacca e cappello, e che li aveva appoggiati sulla poltrona accanto a dove si trovavano loro. Non volevo soffermarmi troppo su di lui, eppure sentivo in qualche modo che anche i suoi di occhi non mi lasciavano un attimo, forse ero solo molto suggestionata dalla situazione, eppure ero sicura, che se avessi alzato lo sguardo in quel momento l’avrei scorto a osservarmi di sottecchi.

Forse ero solo una ragazzina che sognava troppo fervidamente.

Poggiai il vassoio accanto ai pasticcini e mi allontanai, imitando i movimenti di Molly.

«Vedi, caro cognato, ti ricordi la nostra eccellente cuoca Molly?»

Leo le rivolse quel suo sorriso sghembo e si alzò in piedi, venendoci incontro.

«Molly, ma certo che mi ricordo, cucini ancora quel delizioso arrosto di maiale che mi piaceva tanto?»

La cuoca titubò un attimo, lanciò una rapida occhiata a mia madre, poi tornò a guardare Leo.

«Mi dispiace, Signore, purtroppo non mi capita più di fare quel piatto.»

Questo perché costava troppo, non lo disse ma Leo lo capì ugualmente.

«Vorrà dire che le cose cambieranno,» decretò solenne scoccandomi un’occhiata di sbieco, «per tutti.»

Io deglutii abbassando lo sguardo sul suo completo, indossava una camicia grigia leggermente aperta sul davanti, un gilet di pelle e scuri pantaloni infilati dentro gli stivali. Il suo abbigliamento, unito al modo truce in cui mi fissava, mi ricordava un po’ Ade, il dio greco dell’oltretomba.

Non sapevo perché mi venne da accostarlo a quella divinità, vederlo lì davanti a me, così imponente e autoritario, così bello e al tempo stesso irraggiungibile, così pericoloso e, ne ero certa, letale; ai miei occhi non poteva che essere un Dio.

 

Molly venne congedata in modo sbrigativo, Leo le mise tra le mani un sacchetto tintinnante, chiedendole la cortesia di uscire a comprare il necessario per il suo banchetto di benvenuto di quella sera. La donna era ovviamente spaesata e confusa, e io avrei voluto poterla aiutare, potermi imporre e ribattere che non poteva certo preparare una cena sontuosa così dal nulla per un ospite che si era autoinvitato in casa nostra in meno di un’ora. Che non poteva fare tutta la spesa e tornare a casa carica di pacchetti da sola. Che lui, semplicemente, non poteva avere tutto quello che voleva.

Invece, rimasi muta, lo sguardo basso, sentii Molly uscire chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi sola di nuovo con quei due, sospirai facendomi forza.

«Se non avete bisogno d’altro, madre, io mi ritirerei. Non mi sento molto bene.»

Sollevai il capo e colsi mia madre nell’atto di rispondermi, ovviamente sapevo che mi avrebbe permesso di congedarmi, questo non perché era preoccupata dal mio malanno immaginario, voleva semplicemente restare da sola con Leo. Tuttavia, fu proprio lui a rispondere al posto suo.

«Suvvia nipote, lo zio che non hai mai conosciuto torna e tu vuoi chiuderti in camera per uno sciocco incomodo sicuramente passeggero? Siediti qui con noi.»

Mi fissava con gli occhi che brillavano, come se stessimo tutti giocando a un gioco di cui solo lui conosceva le regole.

Per la prima volta da quando ero nata, lanciai uno sguardo d’aiuto a mia madre, sperando che intervenisse e che mi desse il permesso di uscire da quel salottino, ma lei non mi stava guardando. Era troppo presa dal fissare il bel profilo di Leo con aria sognante.

«Sì, cara, siediti con noi. Un po’ di frivola conversazione ci distrarrà dai nostri soliti discorsi da adulti.» Poi rise, quella sua risata che molti avevano definito il cinguettio di un usignolo ma che per me, che sapevo quanto fosse finta, era solo l’artigliare di unghie sul vetro.

Non potendo uscire, mi lasciai cadere sull’ultima poltrona rimasta libera, proprio accanto alla porta e vicina a mia madre. Leo sorrise compiaciuto, poi si allungò per prendere un pasticcino, ficcandoselo tutto in bocca.

Io lanciai un’occhiata al piccolo orologio posto sopra il camino, desiderando più che mai il ritorno di mio padre.

«Prima che entraste, stavo giusto raccontando a Leo della sfortunata disgrazia capitata alla nostra famiglia,» mi informò mamma, con quel suo tono conciso e lezioso. Annuii, non sapendo bene cosa dire, a parte che ogni singola parola uscita dalle sue labbra era tutta una menzogna.

Lei tornò quindi a voltarsi verso Leo, riprendendo a ignorarmi.

«E dunque, come dicevo, mi svegliai e c’era così tanto fumo nella stanza! Per un attimo credetti di essermi dimenticata di aprire il caminetto adeguatamente,» fece una pausa per ridacchiare, «così corsi a controllare, ma il fumo non veniva da lì! Spaventata andai subito a svegliare Gregory, e che orrore scoprire che la nostra magnifica biblioteca stava andando a fuoco!» A quel punto fece una pausa drammatica sperando di suscitare qualche esclamazione sorpresa o stupita – che arrivava puntualmente quando la sentivo raccontare quella stessa storia con le medesime parole alle sue amiche –, ma Leo continuò semplicemente a mangiare i dolcetti, osservandosi attorno come se stesse pensando a tutt’altro. Anche se ero seduta praticamente dietro di lei, vista la posizione della poltrona, notai le guance di mia madre imporporarsi, uno dei segnali che stava iniziando ad alterarsi. «Quindi,» proseguì enfatizzando la parola, «corremmo a svegliare il resto dei presenti in casa e scappammo fuori, ovviamente senza non poche difficoltà dato che il fuoco si era propagato molto velocemente. Posso dire francamente di aver visto la morte in faccia quella notte.»

Leo grugnì; non esattamente il tipo di risposta che mamma si aspettava dopo una narrazione di tale intensità, tuttavia lei perseverò.

«Rimanemmo fuori al freddo pungente tutto il resto della nottata e gran parte della mattinata, osservammo la nostra casa bruciare e i pochi sforzi che vennero fatti per arrestare le fiamme, tutto questo in camicia da notte, in mezzo alla strada!»

A quel punto le signore si sarebbero già sciolte in copiosi pianti di solidarietà, elargendo a mia madre sentite parole di rammarico e offrendosi in tutti i modi per aiutarci qualora avessimo deciso di rimettere in sesto la vecchia casa. Mamma voleva questa reazione anche da lui, voleva piegare Leo e farlo diventare uno dei suoi numerosi amanti, ma non aveva capito che lui non era come tutti gli altri uomini che aveva conosciuto, non sarebbe mai riuscita a stregarlo né ad ammaliarlo con le lagne e i piagnistei, mai. Segretamente, provavo una perversa gioia nel conoscere quel dettaglio su di lui, che lei ignorava.

Leo, infatti, finito il racconto si alzò in piedi, camminando lentamente lungo tutta la stanza.

«Dopo la lettura del testamento, farò in modo di contattare alcune mie conoscenze, per far rimettere in sesto la casa.»

Toccò con le sue grandi mani il tessuto consunto delle tende.

«Non posso certo permettere che la mia famiglia viva in questa umile dimora.»

Mamma non sarebbe stata più felice nemmeno se le avessero detto che poteva incontrare la Regina in persona.

«Oh, Leonard caro!» cinguettò saltando in piedi e raggiungendolo alla finestra, per poi prendergli una mano tra le sue, avvicinandosela al petto.

«Non sai quanto le tue parole mi rendano felice,» mormorò con tono, oserei dire sensuale, e all’inizio fui pervasa dall’impulso di scattare in piedi e tirarle addosso la teiera. Sicuramente anche con la mia scarsa vista e pessima mira sarei riuscita a centrarla, bastava puntare a quella sua gigantesca faccia tosta. Strinsi i denti, rimanendo seduta compostamente sulla mia poltroncina, dall’altro lato della stanza rispetto a loro. L’impulso secondario che ebbi fu quello di ridere, Leonard. Mia madre nemmeno sapeva che Leo non era una contrazione del suo vero nome. Anche lui si accigliò sentendosi chiamare a quel modo, si liberò dalla presa di mia madre, tornando a sedere al suo posto. In quel momento, i suoi occhi si fissarono dritti nei miei.

«E mia nipote cosa dice? Non è contenta di questa notizia?»

Aprii la bocca per rispondere che sì, in effetti, l’idea di sapere che la nostra vecchia casa poteva tornare alla sua vecchia gloria mi emozionava molto, anche se non mi dispiaceva poi così tanto vivere nella nostra nuova, piccola e oscura dimora; ma come sempre, mia madre mi precedette e rispose per me.

«Oh, non badate troppo a lei, purtroppo è nata difettata.» Rise di nuovo, una battuta che ripeteva più volte e che trovava divertente solo lei. «È sempre così impassibile e calma, sembra quasi che non provi emozioni di alcun genere, vero? Ma vi assicuro che è molto felice di questa meravigliosa notizia, come me del resto,» ripeté, avvicinandosi per tornare a sedersi accanto a lui, che mi fissava nuovamente con quella sua strana espressione corrucciata. Io mi sentivo umiliata, più volte mia madre si era presa gioco di me in pubblico, più volte aveva fatto sfoggio dei miei difetti davanti ai suoi amici, ormai ero abituata a quel genere di dolore e di mortificazione, ma sentirle dire quelle cose con Leo presente… era stato come ricevere una pugnalata in pieno petto. Per quanto tutti i miei difetti fossero palesemente evidenti, dopo anche solo dieci minuti in mia compagnia, non volevo che lui lo sapesse, volevo solo continuare a illudermi di essere la sua donna perfetta.

Leo stava per dire qualcosa, ma in quello stesso istante, sentimmo il portone d’ingresso aprirsi e un coro di voci maschili concitate parlottare nell’atrio.

«Oh, questo deve essere Gregory!» disse mia madre tutta felice, rimettendosi in piedi, non l’avevo mai vista così contenta per il ritorno di mio padre, si stava proprio impegnando per cercare di far colpo su Leo.

«Vogliate scusarmi un attimo, vado a informarlo che siete qui, poi insieme potremo dargli la splendida notizia!»

Sicuramente aveva un altro motivo per uscire e andare incontro al marito invece di mandare me, ma non disse altro, uscendo rapida e silenziosa dal salotto, lasciando la porta spalancata.

Mi strinsi le mani in grembo abbassando lo sguardo, ora che sapevo chi era, stare in sua compagnia mi risultava così difficile e al tempo stesso così bello.

«Non è vero, sai.»

Sollevai il capo e lo osservai, si era sistemato meglio sul divanetto, allungando le gambe sotto al tavolo e poggiando la schiena alla seduta, sembrava totalmente rilassato ma al contempo pronto a scattare in piedi al minimo segnale di pericolo.

I suoi profondi occhi si fissarono nei miei e in quel momento, mi sentii nuda.

«Sei molto espressiva, sono loro che non riescono a vederlo.»

E tu sì?

Avrei voluto chiederglielo, avrei voluto sapere se era davvero in grado di leggere le mie espressioni, se davvero ero in grado di farne o se lo stesse dicendo solo per gentilezza; tuttavia, proprio allora, i miei genitori entrarono nella stanza facendomi morire sulle labbra la domanda. Mi alzai e così Leo, i due fratelli si abbracciarono senza dire molto, poi mia madre incapace di resistere diede a mio padre la notizia sulla casa. Vidi il suo volto stoico rabbuiarsi.

«Non posso permetterti di pagare la ricostruzione, è stata colpa nostra, dobbiamo occuparcene noi.»

Leo scosse la testa, dando una pacca sulla spalla del fratello, sebbene lui fosse il più piccolo, crescendo era diventato il più alto e grosso dei due, anche se mio padre era ugualmente molto alto, malgrado non avesse certo tutti i muscoli di Leo.

«Siamo fratelli, dobbiamo aiutarci. Per me non è un problema pagare, i soldi non mi mancano, e in cambio vi chiedo un favore.»

Mio padre era sempre più corrucciato, mia madre sempre più eccitata, non riusciva a stare ferma.

«Sono tornato ora a Londra, potrei prendere in affitto una casa, certo, ma visti tutti gli anni di lontananza, vi sarei grato se mi ospitaste qui per qualche tempo.»

La donna che mi aveva messa al mondo per poco non urlò dalla gioia, la vedevo fremere impaziente, aspettando la risposta di mio padre col fiato sospeso, esattamente come il mio. Alla fine, lui annuì porgendo la mano a Leo per una stretta d’intesa.

«E sia, fratello. Prometto che il tuo gesto non verrà dimenticato, e appena potrò ti ripagherò fino all’ultimo scellino, ma per il momento, questa sarà casa tua.»

Mamma incapace di trattenersi ancora batté le mani, felice come una bambina che aveva ricevuto il suo regalo di Natale in anticipo. Io non sapevo come affrontare la notizia che avrei condiviso la casa con Leo, rendendo le probabilità che il mio inganno venisse smascherato molto più alte; allo stesso tempo il pensiero che lo avrei visto tutti i giorni era già diventato un chiodo fisso.

«Grazie, fratello, lo apprezzo molto, adesso se mi dite dove posso sistemarmi, faccio portare qui i miei bagagli dalla locanda.»

Mio padre stava per rispondere, ma di nuovo, mia madre si intromise.

«Oh, puoi scegliere liberamente una delle camere al secondo piano, lassù tanto ci dorme solo Desdemona.»

Sussultai sentendole pronunciare il mio nome, lo faceva in rare occasioni e ogni volta, sempre per umiliarmi. Sapeva che non gradivo il mio primo nome e che mi causava un’immensa tristezza sapere che l’aveva scelto per il suo significato nefasto. Leo mi lanciò una fugace occhiata da sopra la spalla di mio padre, poi sorrise e mi ritrovai a rabbrividire.

«Davvero perfetto,» mormorò e, per qualche assurdo motivo, giurai che con quelle parole non si stesse riferendo solo ai suoi nuovi alloggi.

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