Capitolo 3

 

Mamma non fu felice di sapere che avremmo dovuto aspettare tre settimane prima di scoprire cosa ci aveva lasciato in eredità il nonno, benché l’avesse sempre disprezzato sperava, in cuor suo che il conte morendo, ci avesse lasciato una qualche eredità segreta in grado di farla tornare a vivere in mezzo a tutti gli agi a cui era abituata. Dal canto mio, invece, avrei sperato che quelle tre settimane non trascorressero mai. Non conoscevo personalmente mio zio, da quello che avevo appreso era partito per far fortuna in America pochi mesi dopo la mia nascita, tuttavia dagli sporadici racconti di mio nonno o, gli ancor più rari aneddoti usciti dalla bocca di mio padre, sapevo che era una persona tremendamente vendicativa verso chi gli faceva un torto o gli mentiva.

Mi si accapponava la pelle al solo pensiero di ciò che avrebbe potuto farmi; se poi pensavo a lui coalizzato contro di me assieme a mia madre…

Scossi la testa, riportando l’attenzione a Molly e al suo stufato che lentamente cuoceva nel contuso pentolone nero.

Mi piaceva stare in cucina con lei, era un altro dei posti in cui mia madre non avrebbe mai osato mettere piede per cercarmi, e poi adoravo guardarla cucinare e inventare nuovi modi per servire portate diverse ma con le solite poche pietanze a disposizione. Nell’ultimo periodo avevo iniziato ad appuntarmi le varie combinazioni di ingredienti e tutti i passaggi dei miei piatti preferiti, sperando un giorno di poterli rifare.

Al solo pensiero di me che cucinavo, sicuramente mia madre sarebbe inorridita per poi iniziare una predica infinita su quale fosse il mio ruolo nella società e su come riuscissi puntualmente a deludere ogni sua più flebile aspettativa nei miei riguardi, concludendo il tutto ricordandomi che non avrei mai trovato marito e sarei morta sola.

Sospirai, guardando il libro che mi ero portata dietro dalla biblioteca, tutti quei cupi pensieri non volevano proprio allontanarsi, forse perché, di fatto, ormai mancava quasi una settimana al giorno della lettura del testamento; più il tempo scorreva, più la mia mente si incupiva, assieme all’umore generale della famiglia.

Il nuovo arredamento non aiutava di certo, dovendo portare il lutto, ogni tendaggio era stato drappeggiato di nero, conferendo alla casa – già di suo, poco luminosa a causa di uno spiacevole posizionamento geografico – un’aria decisamente cupa anche nelle ore più luminose del pomeriggio.

I miei genitori che si erano sempre parlati a malapena, adesso si ignoravano del tutto. Mio padre passava tutto il tempo chiuso nel suo studio al piano terra o fuori, a fare solo lui sapeva cosa. Mia madre, invece, se non tormentava me, invitava quelle poche amiche che le erano rimaste e passava i pomeriggi a bere e mangiare pasticcini, sbeffeggiando apertamente mio padre e il nostro essere quasi sull’orlo della povertà, ignorando totalmente il lutto. Sembrava quasi non le importasse, che non notasse che dovevamo comprare ogni cosa buona, ma di seconda mano, sempre cibo economico e pochissima carne o pesce; che non sapesse che Joseph, Molly e Lucas – il nostro tuttofare –, gli unici tre domestici rimasti, non ci avevano lasciati non per la paga, che era quasi nulla, ma per bontà, per affetto nei confronti di mio padre e per rispetto del nome dei Fortescue.

A lei tutto ciò non interessava, vedeva solo quello che le importava; la odiavo e la temevo.

«Signorina, oggi è pensierosa?»

Molly mi sorrise dall’altra parte della tavola, era una donna ormai anziana ma che portava bene i suoi anni, dei capelli grigi le spuntavano da sotto la cuffietta della divisa. Aveva il viso tondo e gioviale, arrossato per il calore del fuoco e il lavoro svolto, unito al fatto che fosse quasi più bassa di me e molto più tonda e formosa, in qualche modo, non mi faceva provare la tipica sensazione di timore che mi assaliva davanti a ogni singolo essere vivente. Cercai quindi di risponderle ma mi riuscì solo di farle un sorriso molto tirato. La donna non disse niente, mi osservò solo per qualche istante poi annuii e silenziosa si rimise all’opera.

«Vedrete che questa brutta situazione si risolverà, Signorina, non datevi pena inutilmente.»

Avrei tanto voluto che fosse così, ma era impossibile che quella situazione potesse migliorare in alcun modo. Nonno morendo, di certo, non ci aveva lasciato nessun tipo di eredità segreta, eventualmente solo altri debiti; e mio zio, non appena avesse scoperto cosa avevo combinato, probabilmente mi avrebbe fatto patire le pene dell’inferno da qui fino al giorno della mia morte. Volevo consolarmi pensando che magari, magari, non se la sarebbe presa poi molto con me, in fondo ero sua nipote, la nipote che non aveva mai conosciuto. Non poteva essere cattivo con un membro della sua famiglia, giusto? Ciò nonostante, riflettendoci, l’aneddoto ricorrente narrato da mio padre – quelle rare volte in cui voleva parlare del fratello – aveva come protagonisti proprio loro due.

«Mio fratello ha una mente perversa e malata,» diceva, «una volta, ha iniziato a mettermi animali morti ovunque, e dico ovunque. Me li trovavo nel letto, tra i vestiti, perfino nel cibo! Ha continuato per mesi e nessuno è mai riuscito a farlo smettere o a coglierlo in flagrante. E questo solo perché per un incidente: lo avevo inavvertitamente urtato facendolo inciampare.» A quel punto, ogni volta, scuoteva la testa incredulo. «A nulla erano servite le mie scuse, o il fatto che non l’avessi urtato volontariamente. Ero un ragazzino e stavo camminando con la testa tra le nuvole, santo cielo! No, lui doveva avere la sua vendetta e riscattarsi dal torto subito.»

Di conseguenza, visto ciò che gli avevo fatto, non avevo molte speranze di uscirne illesa.

Una volta che lo stufato fu pronto, Molly mi informò che sarebbe dovuta uscire per fare delle compere, in vista del nuovo ricevimento che mia madre avrebbe dato quello stesso pomeriggio. Scattai subito in piedi, chiedendole se potevo accompagnarla giacché non avevo molto da fare. La donna ci pensò su per qualche istante, pulendosi le mani nell’ormai consunto grembiulino bianco che portava stretto in vita, poi annuii, decretando che molto probabilmente un po’ d’aria fresca mi avrebbe fatto bene, ma solo se uno dei miei genitori avesse acconsentito. Il periodo di lutto era iniziato e teoricamente non avrei potuto lasciare casa.

Uscii dalla cucina, sperando di trovare mio padre, non avevo nessuna intenzione di chiedere il permesso a mia madre; per fortuna, lo incrociai nel corridoio mentre infilava il suo soprabito, pronto per uscire.

«Padre, vi prego, concedetemi un istante!» lo chiamai affrettandomi a raggiungerlo, lui si bloccò con il cappotto infilato solo a metà.

«Cara, cosa succede?» chiese, quando l’ebbi raggiunto.

«Se me lo permettete, vorrei uscire a fare compere con Molly, oggi.»

Lui ci pensò su, aggrottando le sopracciglia. Trattenni il fiato per un istante, sperando con tutta me stessa che acconsentisse.

«In fondo non credo ci sia nulla di male, ricordati di indossare il velo però, cerchiamo di mantenere un minimo di parvenza in questa casa.» Sollevò gli occhi verso le scale, in direzione di camera della mamma. «Per quanto possibile,» concluse, quasi in un sussurro inudibile.

Lo ringraziai con tutto il cuore e corsi più in fretta che potevo in camera mia per recuperare il mio cappellino e il velo nero. Almeno per qualche ora i brutti pensieri sarebbero passati in secondo piano.

 

L’odore del mercato era strano, a tratti paradisiaco, a tratti la cosa più nauseabonda mai annusata prima. Avanzavamo a fatica tra la calca di persone intente a comprare, trattare e litigare. Odiavo il mio sciocco vestito da lutto e il mio stupido velo nero, non perché non volessi portare il lutto, mio nonno era sempre stato gentile e dolce quelle poche volte che l’avevo visto e, sebbene non avessi sviluppato per lui un verso senso di affetto, mi sentivo comunque dispiaciuta per la sua morte, e ritenevo giusto portare il lutto per onorarlo; tuttavia i miei abiti erano di seconda mano ed erano stati adattati male al mio corpo, l’orlo era ancora troppo lungo e continuavo a pestarlo ogniqualvolta lasciavo o perdevo la presa sul tessuto, senza contare i molteplici bottoni che mi arrivavano fin sotto il mento, mi stringevano il busto in modo quasi soffocante. Erano giorni che mi chiedevo come fosse possibile che nessuno di quei bottoni fosse ancora saltato via. Il velo poi, era spesso e ruvido e unito ai miei problemi di vista, mi impediva di vedere qualsiasi cosa io avessi davanti, così, dovevo affidarmi quasi totalmente a Molly per spostarmi tra quella fiumana di gente. Per fortuna, la cuoca sapeva dove andare e conosceva i mercanti, che dopo aver contrattato un buon prezzo, mi salutavano con un garbato cenno del capo a cui io rispondevo molto educatamente. Uscite da quella bolgia, non ci dirigemmo subito verso casa, Molly girò invece in direzione del centro e io mi accigliai.

«Dove stiamo andando, Molly?»

«Vostra madre ha dei gusti raffinati, Signorina, e purtroppo il tè che preferisce si trova solo in un determinato negozio, non lontano dalla vostra vecchia casa. Ve lo ricorderete, forse.»

Annuii pensierosa. Sì, mi ricordavo ogni singolo negozio di quella via, così come di tutte le vie dopo, prima che la nostra casa bruciasse, mia madre era solita passeggiare per ore tra quelle vetrine, costringendo me ad accompagnarla.

Seguii quindi in silenzio la donna, cercando di evitare di scontrarmi con i passanti o di finire sotto una carrozza. Il sole, anche se eravamo a inizio primavera, picchiava forte e sotto tutti quegli strati di vestiti, lo soffrivo ancora di più.

Finalmente, svoltammo nella vecchia via commerciale che conoscevo così bene, e Molly poté entrare nel negozio in questione, per comprare l’agognato tè di mia madre. Io, invece, decisi di aspettarla fuori, non avevo voglia di entrare rischiando d’essere riconosciuta da qualcuno, non volevo parlare con nessuno, men che meno con qualcuno appartenente al ton. Passeggiai avanti e indietro di fronte al negozio per qualche minuto, poi, un folle desiderio si impossessò di me. Non so cosa mi spinse a farlo, ma quando me ne resi conto, i miei piedi stavano già camminando spediti verso la meta che mi era balzata in testa. Non dovetti fare molta strada, dopotutto, come aveva detto Molly, la nostra vecchia casa non era poi così lontana.

Quando mi ci fermai dinnanzi, sollevai il velo per poterla osservare meglio. Un groppo mi si formò alla base della gola vedendo, seppur poco chiaramente, in che stato era ridotta. Un tempo era stata una villa di tutto rispetto, con l’inferriata lavorata finemente, il giardino perfettamente tenuto, il lucido portone di legno scuro, le candide pareti bianche, le tende con i fiorellini…

Ora, tutto quello che vedevo era una carcassa vuota e annerita, il tetto sul lato destro della casa era crollato e perfino da dove mi trovavo io, potevo intravedere una parte dell’arredamento di quella che era stata la camera degli ospiti. La parte sinistra invece, sembrava quasi integra, era solo un po’ annerita, in quello stato dava quasi l’impressione di due case perfettamente distinte, il prima e il dopo. Mi chiedevo, però, come mio nonno fosse riuscito a viverci nonostante tutto.

Avevo così tanta voglia di entrare, di vedere ancora una volta quei luoghi della mia infanzia, a me tanto cari e al tempo stesso tanto odiati. Stavo quasi per allungare la mano verso il cancelletto e aprirlo, quando mi resi conto con un misto di stupore e orrore, di non essere più sola.

Ritrassi la mano di scatto, voltandomi verso la figura che avevo scorto alla mia destra; un uomo, alto e imponente mi fissava tetro, con gli occhi di chi è pronto a uccidere.

Per la paura e lo stupore, mossi un passo all’indietro decisa a mettere quanta più distanza possibile tra me e quell’individuo, sfortunatamente, pestai l’orlo della mia gonna e in pochi istanti, mi ritrovai sbilanciata all’indietro, in procinto di cadere e sbattere la testa sul freddo e duro ciottolato della strada. Istintivamente, spalancai la bocca e allungai le mani in avanti, nella speranza di riuscire ad aggrapparmi a qualcosa, a qualsiasi cosa. Non trovai nessun appiglio che potesse fermare la mia caduta, ma qualcosa trovò me. In un lampo, il braccio dell’uomo scattò in avanti e mi agguantò per la vita, tirandomi verso di lui e di nuovo in piedi.

Ansimai ritrovandomi appoggiata sul suo petto e, frastornata, sollevai il volto per osservare meglio il mio salvatore. Il suo volto era così familiare e al tempo stesso così estraneo. Aveva zigomi alti e duri, una mascella cesellata, nascosta da una barba non rasata da qualche giorno, un naso importante dal taglio nobile e le labbra più carnose che avessi mai visto su di un uomo. Ciò che mi colpì di più, però, furono i suoi occhi, di un’indefinita mescolanza di blu e verde, così ipnotici da guardare. Quello che avevo di fronte era uno sguardo attento, di chi conosceva bene le avversità della vita, ma che non si lasciava abbattere, anzi, che le affrontava a pugni stretti e che ne usciva vincitore; era lo sguardo di un predatore.

«Vogliamo continuare a fissarci tutto il giorno o pensate di staccarvi da me e ringraziarmi, prima o poi?»

Sbattei le palpebre all’udire quella voce bassa e roca, dal tono così sarcastico. Mi scostai da quel corpo incredibilmente caldo e muscoloso, e abbassai lo sguardo, fingendo di lisciarmi la gonna ma temendo di incontrare nuovamente i suoi occhi.

«V-vi ringrazio per avermi aiutata,» balbettai infine, senza però riuscire a riportare lo sguardo su di lui. «Ora, se volete scusarmi.» Feci per calare di nuovo il velo sul viso e andarmene, ma lui mi si avvicinò scrutandomi attento.

«Perché stavate ferma davanti a questa casa? Volevate entrare per rubare qualcosa, per caso?»

Per la seconda volta nel giro di pochi secondi, spalancai la bocca per lo stupore, riportai il mio sguardo su di lui, indignata.

«Come osate pensare che io potrei mai abbassarmi a rubare qualcosa? Solo perché indosso umili abiti logori non significa che sia stata cresciuta come una delinquente, imparate a non giudicare mai alla prima occhiata, Signore, e buona giornata!»

Quella era senza dubbio la risposta più a tono che avessi mai dato in vita mia, in quell’istante mi sentii soddisfatta di me, quasi orgogliosa, ma l’uomo misterioso distrusse la mia poca autostima grugnendo divertito.

«Oh, bambina, ho imparato molti anni fa a non giudicare le persone da come appaiono, forse tu potresti seguire il tuo stesso consiglio.»

Colpita, indietreggiai di un passo, stavolta senza inciampare nella gonna. Mi sentii offesa oltre ogni dire. La mia mente si svuotò, la mia nuca iniziò a sfrigolare, ogni possibile risposta arguta mi morì sulle labbra. Avrei voluto rimproverarlo per il modo in cui si era rivolto a me, per la sua sfacciataggine, per la sua supponenza, invece, rimasi immobile; la bocca aperta e le mani che stringevano il tessuto della gonna in una morsa feroce.

La mia mancanza di reazione, evidentemente, stupì lo sconosciuto, che si accigliò, piegando leggermente la testa di lato, e in quel modo, potei notare che indossava un cappello a cilindro, strano che non avessi fatto caso a quel particolare quando mi ero addossata a lui. O che non avessi notato prima lo spesso cappotto nero che lo copriva interamente, i lucidi stivali neri e i guanti dello stesso colore. Il mio cervello registrò senza che ce ne fosse bisogno, il fatto che entrambi eravamo totalmente vestiti di nero, mentre lui continuava a fissarmi pensoso e accigliato, quasi volesse capire meglio quella curiosa e goffa creatura che gli si era palesata d’innanzi. Non volevo rimanere un istante di più sotto lo scrutinio di quegli intensi occhi color acquamarina, mi sentivo tremendamente a disagio e in imbarazzo.

«Buona giornata, Signore,» ripetei, calandomi il velo sul viso e voltandomi, per procedere a passo svelto lungo la strada. Fortunatamente lui non mi fermò più, non fece assolutamente niente, e io potei tornare in fretta al negozio, prima che Molly ne uscisse, con i polmoni attanagliati da un fiatone non dovuto alla camminata.

 

Il pranzo si svolse meglio del solito, mamma era troppo felice per il suo ricevimento pomeridiano da prestare attenzione a qualsiasi cosa non fosse se stessa o i preparativi per quel grande evento, quindi potei concludere il mio pasto e ritirarmi nella mia camera senza che lei potesse fare particolari commenti acidi rivolti nella mia direzione.

Nel pomeriggio, scesi in cucina da Molly per curiosare su cosa avremmo trovato a cena quella sera e, mentre lei era indaffarata a pulire un animale non ben definito, il campanello suonò.

Ci guardammo per qualche istante, poi lei abbassò lo sguardo sulle sue mani insanguinate e tornò a guardare me.

«Signorina, mi dispiace essere io a dovervi fare una richiesta, ma credo che Joseph e Lucas siano usciti col padrone, l’ospite è in anticipo, altrimenti sarei andata io ad accoglierlo.»

Annuii sorridendo, alla fine non era la prima volta che facevo da cameriera per mia madre e le sue amiche, situazioni di quel tipo capitavano spesso. Chiusi il mio libro e andai alla porta, cercando di prepararmi mentalmente per ogni tipo di commento che la matrona di turno avrebbe potuto rivolgermi.

Aperta l’anta, però, per poco non saltai via dallo spavento.

Davanti a me, alto e rigido come la prima volta che l’avevo visto, e con la solita espressione truce dipinta in volto, c’era lo sconosciuto di quella mattina.

Quando anche lui si accorse di me, un sorriso sghembo gli apparve in volto.

Accostai l’uscio, in modo che non potesse passare – anche se, grosso com’era sicuramente non avrebbe avuto grossi problemi a spalancare la porta pure con me nel mezzo – e lo fissai sbalordita.

«Cosa ci fate qui? Mi avete forse seguita per poter continuare a deridermi?»

Lui aggrottò di nuovo le sopracciglia, come se cercasse di cogliere tutte le sfumature di quella frase.

«Fino a prova contraria, bimba, questa è anche casa mia.»

Mi si gelò il sangue nelle vene, sapevo che quel momento sarebbe arrivato, solo, non così presto, non quando ero ancora così impreparata; anche se niente avrebbe potuto prepararmi ad affrontare quell’uomo. Le mie labbra si schiusero, i miei occhi si sgranarono, avevo temuto e agognato quel momento per anni e ora che era finalmente giunto, ero bloccata dal terrore, con solo una gran voglia di scappare il più lontano possibile da quei suoi occhi ipnotici.

«Leo


---


Leggi dall'inizio


Prossimo capitolo

Commenti

Post popolari in questo blog

Capitolo 32

Capitolo 35

Capitolo 21