Capitolo 29

 

“Oggi ho visto dei delfini, nuotavano a pelo d’acqua e saltavano felici fra le onde.

Per la prima volta mi sono voltato per cercarti, così da farteli vedere,

e mi sono reso conto che non c’eri. Quand’è che sei diventata una

presenza così essenziale nella mia vita?”

 

“Credo, nello stesso momento in cui tu lo sei diventato nella mia.”

 

 

La settimana della festa era infine giunta, Andrew mi spediva lettere praticamente ogni giorno, sempre più euforico e spaventato all’idea di ricevere così tante persone a casa e io cercavo di rincuorarlo come meglio potevo. Era così buffo leggere dei suoi mille pensieri, di come non vedesse l’ora che arrivassero i giorni della festa – perché alla fine aveva deciso di dare un piccolo ricevimento dalla durata di più giorni – e il terrore assoluto al pensiero di dover avere a che fare con altri esseri umani. Se non fosse stato per Leo, anche io mi sarei ritrovata ad annegare nei suoi stessi dubbi ed ero felice di sapere che, esattamente come me, anche Andrew aveva qualcuno che poteva occuparsi di lui.

Quel pomeriggio, mentre stavo leggendo l’ennesima lettera di lamentele del marchese, Stevenson venne a bussare alla mia porta.

«Perdonate il disturbo,» disse formale come sempre, quasi la confessione di qualche settimana prima non fosse mai avvenuta, «ma è arrivato vostro padre.»

Sgranai gli occhi, meravigliata e sconvolta, in un attimo scattai in piedi e uscii dalla stanza, seguita a ruota dal maggiordomo. Volai letteralmente lungo il corridoio e giù per la rampa di scale, e alla fine, al centro dell’atrio con il suo solito volto impassibile, trovai ad attendermi mio padre. Senza riflettere gli corsi incontro e lo abbracciai di slancio. Un tempo mi sarei limitata a un tiepido saluto, ma Leo mi aveva insegnato che era così bello toccare le persone che ci erano care, era un modo per esprimere a gesti ciò che non riuscivamo a esprimere a parole.

Lui rimase un attimo turbato dal mio comportamento, eppure dopo quel primo momento di disorientamento, mi circondò le spalle con le braccia, stringendomi brevemente a sé.

«Perdonami se non ho risposto alla tua lettera,» si scusò appena ci fummo staccati dall’abbraccio, «ma ho ritenuto più opportuno raggiungerti di persona.»

Sorrisi felice mentre ci dirigevamo in salotto.

«E i vostri affari?» chiesi, sapendo bene quanto fosse sempre stato restio ad allontanarsi da Londra, lui scrollò le spalle.

«Non preoccupartene, ho sistemato tutto prima di partire.»

Annuii sedendomi sul divanetto mentre lui prendeva posto sulla poltroncina alla mia sinistra.

«Siete venuto solo?» domandai, speranzosa di rivedere anche gli altri, ma lui mi sorrise tristemente annuendo.

«Ho portato solo Lucas, mi dispiace, non potevo portare anche Molly e Joseph, e lasciare la casa incustodita.»

Mi accigliai, pensierosa. «Come incustodita? Mamma non è tornata a casa?»

Sul suo volto passò un velo oscuro, sospirò sistemandosi meglio sulla sedia.

«Già, tua madre. No, non è tornata a casa. Mi scrisse per dirmi che avrebbe soggiornato a casa di amici per qualche tempo. Da allora non ho più avuto sue notizie.»

Non che la cosa sembrasse interessargli molto, come del resto non interessava a me. Più tempo quella donna stava fuori dalla mia vita meglio era.

«Allora,» cominciò papà, il velo oscuro causato dal ricordo di mia madre già svanito, «hai qualche novità da raccontarmi?»

Avvampai all’istante, la mente invasa dai ricordi bollenti dei miei momenti intimi con Leo. Mi chiesi per un attimo come avrebbe reagito se avessi avuto tanto coraggio e abbastanza incoscienza in me da confessarglielo. Avrei forse visto il suo volto sempre impassibile mutare in preda all’ira e al disgusto più assoluto? O sarebbe rimasto freddamente deluso? Non volevo scoprirlo.

«Ci sarà una festa questo fine settimana,» risposi allegra, e lui sollevò le sopracciglia, sorpreso.

«Una festa? Qui?»

Scossi la testa, sistemandomi meglio sul divanetto.

«Oh, no. Ci ha invitati il Marchese di Lothian.»

Mio padre annuì, pensoso.

«Ah sì, Andrew Kerr, mi ricordo di lui. La sua tenuta è qui vicino.»

Sbattei le palpebre, toccò a me essere sorpresa, gli chiesi spiegazioni e lui annuì solenne.

«Sì, i Kerr sono originari della Scozia, ma hanno una tenuta qui nel Gloucester e credo anche in altre contee, sicuramente i soldi non gli mancano.»

Ora che ci pensavo, in effetti, Andrew era arrivato a cavallo e i suoi bagagli non avevano impiegato molto a raggiungerlo, doveva per forza vivere nelle vicinanze. Scossi la testa sorridendo, ricordandomi di come quel primo giorno mi avesse voluto far credere che a causa della stanchezza del viaggio era stato costretto a letto tutto il giorno. Le bugie non erano quindi un suo talento.

Chiacchierai con mio padre ancora per qualche minuto, di cose futili e inconsistenti, eppure fu bello potergli parlare così serenamente, forse per la prima volta in tutta la mia vita. Mi chiesi se anche quel cambiamento era dovuto a Leo, probabilmente sì.

«Ah, abbiamo ospiti.»

Come se i miei pensieri l’avessero evocato, Leo apparve sulla soglia facendoci voltare entrambi, avanzò rapido andando incontro al fratello che nel frattempo si era alzato per abbracciarlo.

Ancora una volta, rimasi incantata a osservare quel legame fraterno e sentii dentro di me un profondo terrore farsi lentamente strada nel mio corpo. Se mai avesse scoperto il nostro segreto, avrei rischiato di rovinare anche quello.

«Spero tu abbia fatto i complimenti a tua figlia per i nuovi occhiali.»

Sentii dire a Leo e mi riscossi dai miei cupi pensieri, per riportare l’attenzione su di loro. Mio padre si voltò a guardarmi e sussultò, come se solo in quel momento si fosse accorto delle grandi lenti circolari che mi adornavano il volto.

«Cielo sì, perdonami cara, ti stanno molto bene.»

Lo ringraziai con un cenno del capo, non importava che si sforzasse di fingere, sapevo bene che lui non era il tipo di persona che notava i cambiamenti, o che, se li notava, sentiva il bisogno di far presente che se ne era accorto. Era come se vivesse su un altro piano rispetto al resto del mondo.

«Non indossi nemmeno l’abito da lutto,» continuò e io, imbarazzata, abbassai lo sguardo sull’abito verde chiaro che avevo scelto quel giorno,.

«Le ho detto io che poteva anche smettere di vestire il nero. Nostro padre non avrebbe certo voluto vederci piangere la sua morte per un intero anno, lo sai com'era fatto.»

Papà annuì, pensoso, continuando a guardarmi attentamente.

«In effetti era un uomo tremendamente pratico e realista.» L'ombra di un sorriso gli attraversò il volto. «Ti sta molto bene questo vestito.»

Arrossii sotto lo sguardo di entrambi gli uomini e annuii timidamente, ringraziandolo per i complimenti.

Leo poi lo invitò a seguirlo in biblioteca, così che potessero discutere dei loro affari, lasciandomi da sola a rimuginare su quanto era appena accaduto.

Solo Leo riusciva a gestire una situazione spinosa come quella senza mostrare la minima preoccupazione. Ma del resto, non ricordavo di averlo mai visto preoccuparsi delle conseguenze di una qualsiasi sua azione.

Sospirando, mi diressi in cucina, attirata dal delizioso odore che sentivo fuoriuscirvi e trovai Lucas seduto al tavolo intento a sorseggiare un bicchiere d'acqua.

Non appena mi vide entrare, l'uomo scattò su con così tanto impeto da ribaltare la sedia. Cercai di non ridere lanciando un'occhiata a Lewis che scosse stancamente la testa e tornò ai suoi tegami, mentre l’altro scusandosi recuperava la sedia. Mi avvicinai al tavolo per sedermi accanto a lui.

«È andato bene il viaggio?» chiesi una volta che fu tornato a sedersi, di rimando sgranò gli occhi, arrossendo terribilmente.

«S-sì,» balbettò nascondendo il volto dietro il bicchiere d'acqua. Mi accigliai, chiedendomi se il mio volto risultasse così tanto severo da indurre perfino un uomo adulto come lui a esserne intimorito. Non sapendo cosa dire per alleviare l'imbarazzo del tuttofare, decisi di rivolgere la mia attenzione al cuoco.

«Cosa prepari di buono oggi, Lewis?»

Il cuoco ridacchiò, senza voltarsi a guardarmi.

«Non riuscite a indovinarlo dall'odore?» chiese giocoso, io annusai con più enfasi l'aria e sorrisi.

«Sento odore di cipolle cotte e carne.»

Il cuoco annuì lanciandomi un'occhiata da sopra la spalla.

«È manzo intinto in uno speciale sughetto fatto con le cipolle, Leo lo adora.»

Annuii, felice di aggiungere quel dettaglio alla lista di cose che conoscevo su di lui.

«E per dolce?» chiesi sorridendo.

Lewis rise, scuotendo il capo.

«Quello, lo scoprirete solo a fine pranzo, e solo se farete la brava e mangerete tutto quello che vi serviranno.»

Assunsi una finta espressione offesa e incrociai le braccia al petto.

«Tutto ciò è oltremodo ingiusto.»

La risata di Lucas arrivò flebile alle mie orecchie, quasi temesse una mia reazione. Mi voltai a guardarlo e ogni traccia di divertimento sparì dal suo volto.

«Non devi avere paura di me, Lucas.»

Cercai di rassicurarlo indicandogli poi con un gesto del capo il cuoco.

«Lewis non ha certo paura di me.»

Il cuoco scosse la testa continuando a ridacchiare.

«Davvero, Lucas, dovresti conoscere mia sorella, lei sì che fa spavento.»

Sorrisi pensando a come avrebbe potuto reagire Abigail a quelle parole e Lucas sorrise timidamente, senza però aggiungere altro, continuando a bere la sua acqua.

Visto che non volevo causargli altro disagio, decisi di lasciarlo tranquillo, quindi mi alzai e salutandoli mi diressi in camera mia.

Sulle scale ebbi l'impulso di andare verso la biblioteca, sapevo che non dovevo farlo, che stavano parlando di affari privati, eppure la mia curiosità mordeva insistentemente il mio animo, pretendendo di essere soddisfatta. Tornai indietro, percorrendo il corridoio e cercando di fare meno rumore possibile. Arrivata davanti alla porta chiusa della biblioteca mi fermai e tesi le orecchie.

«...continuare così!» stava dicendo Leo, sembrava terribilmente adirato.

«Cosa credi, che non abbia cercato una soluzione a questo casino? Sono stato anni a chiedere, scrivere e informarmi, ma quel contratto è inattaccabile!» rispose mio padre, la voce che fremeva, anche lui sul punto di arrabbiarsi terribilmente.

«Se le facciamo qualcosa, qualsiasi cosa, salta tutto! Rischiamo di perdere tutto quello che la nostra famiglia ha costruito per anni, solo per colpa di quella stronza!»

Ero così curiosa di capire di cosa stessero parlando, che mi appoggiai completamente alla porta, desiderosa di sentire sempre di più.

«Non possiamo lasciare che continui ad agire impunita!» urlò furioso Leo e sentii qualcosa cadere al suolo, dal rumore intuii che probabilmente si trattava di un bicchiere.

«Quella pazza ha letteralmente rovinato tua figlia! Lo sai cosa le ha fatto? Lo sai quanto Desdemona sia stata ferita mentalmente e fisicamente da quella puttana?»

Sobbalzai, sentendomi chiamata in causa, improvvisamente il discorso assumeva una nota del tutto diversa e sentii la gola farsi dolorosamente secca.

«Lo so bene,» rispose cupamente mio padre, «fidati, so fin troppo bene cosa le ha fatto, le tue lettere hanno solo ampliato il quadro generale. Credimi, se ti dico che ogni giorno avrei voluto afferrarla per i capelli e sbatterla fuori casa. Ma abbiamo le mani legate, Leo.»

Di nuovo il rumore di qualcosa che veniva scaraventato a terra, questa volta sembrava qualcosa di decisamente più pesante. Poi, per alcuni istanti, tutto tacque nella stanza, in quel momento, avrei dato qualsiasi cosa per essere lì dentro con loro e poterli vedere chiaramente in volto. Ero così felice e un po’ commossa di scoprire che nonostante tutto, mio padre teneva a me, che a modo suo aveva sempre cercato di proteggermi da mia madre, ma che per qualche motivo – a quanto pareva a causa di un contratto – era sempre stato incapace di fare come desiderava. Quello mi faceva sentire meno sola.

«Dobbiamo scrivergli,» ringhiò alla fine Leo, con tono che non ammetteva repliche, «dobbiamo informarlo di ciò che sta succedendo, deve sapere! Non può pretendere che continuiamo a onorare la nostra parte del contratto, non a queste condizioni.»

Mio padre sospirò.

«Sai che non vuole…»

«Non me ne frega un cazzo!» urlò Leo furibondo. «Tu gli scriverai, Gregory. Gli racconterai cos’ha fatto tua moglie e pretenderai che annulli il contratto o giuro sull’anima inquieta di nostra madre che me ne occuperò io,» terminò con voce così agghiacciante che, per un istante, perfino io ebbi paura di lui.

Scossi la testa, allontanandomi dalla porta e da quella conversazione. Non lo avevo mai sentito parlare così, al punto che non mi era sembrato nemmeno lui, ma non avevo motivo di essere spaventata, giusto? Quello era… sempre il mio Leo, no?

 

Scappa finché sei in tempo.

---

Leggi dall'inizio

Prossimo capitolo

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Capitolo 32

Capitolo 35

Capitolo 21