Capitolo 28
“Hai mangiato qualche piatto particolare di
recente?
Qui mangiamo sempre le stesse cose,
purtroppo.
Molly è un’ottima cuoca, ma dopo una
settimana a mangiare patate,
inizi a temere di diventare a tua volta un
tubero,
che poi lei ovviamente cucinerà per cena.”
“Credo di non aver mai
riso così forte in vita mia.”
Rimuginai
a lungo sull’avvertimento di Stevenson, sulla sua faccia seria e preoccupata,
su come mi aveva guardata, con una lieve patina di tristezza nello sguardo. Più
ci pensavo e meno capivo. Il Leo che conoscevo io era un uomo arrogante,
prepotente e a tratti anche violento sì, ma c’era anche dolcezza e amore in
lui, l’avevo sentita attraverso le sue lettere e ormai la percepivo chiaramente
ogni volta che mi guardava o che mi accarezzava, sempre con riverenza e
delicatezza, quasi avesse paura di rompermi. Era anche vero che Leo, per sua
stessa ammissione, mi stava nascondendo qualcosa.
Mi
sedetti sul letto, giungendo le mani in grembo, provando a riflettere su quali
potessero essere quei segreti così importanti e gravi che avrebbero potuto
farmi cambiare idea sul suo conto, che addirittura, avrebbero potuto farmi
desiderare di scappare. La mia mente vagò a briglia sciolta, portandomi alla
mente tutte situazioni terribili e segreti oscuri inconfessabili; vidi morte,
violenza, follia e ciò riportò a galla anche le mie paure più profonde
sull’essere stata solo presa in giro per tutto il tempo. Scacciai via tutto
quel confuso groviglio di idee, scuotendo forte la testa e tornando al
presente.
No,
Leo non poteva aver fatto niente di quelle cose, non il mio Leo. Poteva anche
darsi che il maggiordomo avesse detto quelle cose solo per mettermi alla prova,
per vedere se fossi davvero all’altezza del suo migliore amico. Strinsi i pungi
e serrai la mascella, doveva essere così, non poteva essere altrimenti e io gli
avrei dimostrato che ero degna di stare al fianco del mio Signore.
Lanciai
un’occhiata alle stampelle incastrate tra il comodino e il letto, mi scappò un
sospiro, avrei dovuto chiedere a Stevenson di farle riportare al dottore, visto
che ormai il piede non mi dava che un lieve fastidio, e solo se mi muovevo
troppo come quel giorno. Mi alzai, intenzionata a scendere al piano di sotto
per trovarlo e comunicargli la cosa, quando la porta del passaggio segreto si
aprì.
Leo
sbucò da dietro la porta e mi fissò con un mezzo sorrisetto stampato in faccia.
«Tutto
bene?» chiese avvicinandosi. «Ti ho vista correre in casa un po’ troppo
velocemente, temevo ti fossi sentita male.»
L’ilarità
nel suo tono di voce era piuttosto palese e gli lanciai un’occhiataccia. Lui
sbuffò divertito e si sedette sul bordo del letto, facendomi segno di
raggiungerlo.
Mi
avvicinai cautamente a lui e, non appena fui alla sua portata, mi afferrò in
vita e trascinò a sedere sulle sue ginocchia. Iniziavo ad abituarmi a stargli
seduta addosso, la cosa mi piaceva parecchio.
Gli
circondai il collo con un braccio e mi sistemai meglio, Leo inspirò a fondo,
avvicinando lievemente il volto al mio collo.
«Ti
sei rimessa la biancheria?»
Annuii,
cercando di capire se fosse arrabbiato o meno per quella mia decisione, ma non
parve particolarmente interessato all’argomento. Mi carezzò piano un fianco con
la mano che teneva avvinghiata attorno a me per sorreggermi meglio.
«Vorrei
stare così tutto il giorno,» mormorò allungando la mano libera e disfacendomi
l’acconciatura con due rapide mosse, poi rimase a fissarmi per un lungo momento
con i capelli completamente in disordine. Mi sistemò come sempre le ciocche che
erano finite davanti sul viso e sorrise, io ricambiai quel sorriso un po’
imbarazzata.
«Anche
a me piacerebbe, ma pensa alle tue povere gambe.»
Leo
sbuffò, avvicinandosi al mio viso e toccandomi piano la guancia col naso, prima
di scostarsi di lato per baciarla.
«Le
mie gambe stanno benissimo così.»
E
anche io, adoravo le sue coccole e il modo in cui sembrava non stancarsi mai di
farmele, esattamente come me. Mossi le mani per portarle sulla sua spalla,
mentre lui continuava a tenere il volto premuto contro di me, la sua guancia
ispida che grattava piano contro la mia.
In
quel momento, mi chiesi se non avrei dovuto dirgli cos’era successo con
Stevenson, informarlo delle sue parole. Ma se davvero il maggiordomo voleva
solo mettermi alla prova, forse sarebbe stato un errore parlarne con lui,
inoltre non volevo che litigassero a causa mia, la loro amicizia durava da anni
e non volevo rischiare di farla svanire a causa delle mie parole. Tuttavia la
curiosità accresceva sempre più dolorosamente dentro di me, rendendomi incapace
di trattenerla.
«Come
hai conosciuto Stevenson?» cercai di essere il più disinvolta possibile ma,
evidentemente, qualcosa nel mio tono non lo convinse pienamente, perché si
staccò da me per lanciarmi una lunghissima occhiata corrucciata.
«Perché
me lo chiedi?»
Scrollai
le spalle, con apparente nonchalance.
«Perché
da quello che ho capito, ascoltandovi discutere, siete molto legati, lui stesso
si definisce il tuo migliore amico, sono solo curiosa di capire come sia nato
tutto.»
Leo
sbuffò lasciandosi cadere all’indietro sul letto trascinandomi con sé, così mi
ritrovai sdraiata su di lui con la testa poggiata sul suo petto.
«Diciamo
che la nostra amicizia non è cominciata nel migliore dei modi,» iniziò lui,
pensieroso, «voleva uccidermi.»
La
mia testa si sollevò di scatto, spaventata da quella rivelazione, ma lui mi
sorrise accarezzandomi una guancia.
«Non
preoccuparti, come puoi ben vedere nessuno dei due è morto. Ci picchiammo per
un po’,» ricordò con un sorriso, «alla fine, lui decretò che era un peccato
uccidere qualcuno con un gancio così micidiale, e mi offrì da bere.» Si
corrucciò un attimo, come se si fosse ricordato solo in quel momento di un
dettaglio fondamentale. «Ora che ci penso, quando tornai a casa quella sera non
avevo il mio portafogli con me…» sgranò gli occhi, fissandomi stupito. «Quel
bastardo!»
Risi,
gettando la testa all’indietro e rotolando sul letto accanto a lui. Leo si issò
su un braccio, poggiando la testa sul palmo della mano, per fissarmi in preda
all’ondata di ilarità che quel racconto mi aveva scatenato.
«Gli
tirerò un cazzotto più tardi,» borbottò mentre io riprendevo il controllo del
mio corpo e mi voltavo su un fianco, rannicchiandomi vicina a lui.
«È
un ricordo molto bello,» dissi, il volto premuto contro il suo torace, «devi essergli
molto affezionato.»
Leo
mi sollevò il mento, così che potessimo guardarci negli occhi, la sua
espressione si era fatta seria tutto a un tratto.
«In
questo mondo, a più persone vuoi bene più soffri e più resti deluso. Più ami,
più punti deboli hai. Ho imparato molto tempo fa che i legami affettivi sono
solo un intralcio.»
Mi
si mozzò il fiato in gola e non potei fare a meno di fissarlo, sconvolta e
ferita.
«Quindi
anche io sono d’intralcio?» chiesi, la voce resa roca dall’emozione. Lui sbatté
rapidamente le palpebre e mi fissò accigliato, come se non avesse capito cosa
gli avevo detto.
«Tu
sei un’altra cosa, Desdemona,» mi spiegò con calma. «Tu non sei un legame
affettivo, tu sei una parte di me.» Lo ascoltai silenziosa, le emozioni che
vorticavano frenetiche dentro di me. «Sei l’aria che respiro, il cibo che
mangio, l’acqua che bevo.» Mi circondò il volto invitandomi con delicatezza a
sollevarmi così che i nostri nasi quasi si sfiorassero.
«Sei
l’unico motivo per cui sono vivo e continuo a esserlo.» Si corrucciò ancora di
più riflettendo. «Tutto quel che dico vale per il resto del mondo ma non per
te, mai per te.»
Calde
lacrime mi scivolarono lungo le guance, lui le asciugò con i suoi teneri baci e
tornò a sdraiarsi portandomi con sé.
Mi
rannicchiai sul suo corpo, stringendomi convulsamente a lui, crogiolandomi nel
calore che emanava, con le sue braccia nuovamente avvolte attorno al mio corpo.
Le
ultime parole di Leo mi avevano scatenato una nuova ondata di pensieri e riflessioni:
aveva detto che quel discorso non si applicava a me, eppure aveva ragione, a
causa di quel suo immenso sentimento nei miei confronti, era sì a detta sua più
forte, ma anche estremamente vulnerabile. Mi amava di un amore folle e
perverso, esattamente come io amavo lui, e ciò ci rendeva entrambi deboli.
Strinsi
i pungi, decidendo in quel momento che mi sarei impegnata ancora di più a
migliorare, a diventare la donna perfetta per Leo, a essere una persona sicura
e forte, così che lui non avesse più nessun punto debole.
Andrew
andò via un paio di giorni dopo, ringraziandoci profusamente per la nostra
ospitalità e ricordando a Leo fino quasi alla nausea che aveva promesso di
portarmi a visitare la sua tenuta.
«Il
29 giugno!» aveva esclamato montando a cavallo. «Mi raccomando!»
Leo
aveva grugnito sonoramente al mio fianco e io mi ero limitata a sorridere,
sollevando la mano per salutare lui e Mikhail che si allontanavano velocemente
al galoppo, il piccolo calesse con i loro bagagli subito dietro.
Rientrando
in casa, mi ero sentita invadere da un profondo senso di tristezza, fin da
subito avevo avvertito la mancanza dei sorrisi e della voce allegra del
marchese, ma guardando Leo e i suoi occhi già neri, avevo realizzato che in
fondo non era stato poi un male che se ne fosse andato.
Quelle
settimane furono meravigliose, tutto sembrava andare nel migliore dei modi.
Eravamo solo noi, chiusi nel nostro piccolo angolo di paradiso personale, senza
nessuno che ci giudicasse o ci additasse. Ogni sera, dopo essermi preparata per
la notte, salivo in camera di Leo attraverso il passaggio segreto e lui mi
mostrava qualcosa di nuovo sul mio corpo o sul suo.
Venni
legata al letto, totalmente alla sua mercé e lui si divertì a esplorare con le
mani e la lingua, ogni angolo del mio corpo, conducendomi lentamente alla
follia, prima di affondare rudemente dentro di me.
Venni
bendata, così che non potessi capire cosa avesse intenzione di fare e, quella
notte, torturò il mio fondoschiena a lungo, colpendolo e pizzicandolo con
strumenti dall’aspetto a me ignoto. Mi contorsi disperata, le natiche che
sfrigolavano e la mia mente che volava lontana, il piacere che si irradiava in
me attraverso ognuno di quei colpi, portandomi sempre più vicina all’orgasmo
senza che lui dovesse fare altro.
Ogni
notte entravo in quella stanza con un misto di timore e di fremente
aspettativa, non sapendo cosa il mio Signore avrebbe avuto in serbo per me.
Leo
mi lasciò da sola un altro paio di volte, ma tornò a casa sempre prima che
facesse notte, così da poter trascorrere del tempo con me.
Un
pomeriggio, mentre lui era fuori per qualcuno di quei suoi misteriosi affari,
me ne stavo in biblioteca per riordinare i libri che avevo già letto, quando
sentii la porta chiudersi.
Feci
per voltarmi ma la voce perentoria del mio Signore mi ordinò di restare
immobile, poi, arrivato alle mie spalle, mi sollevò le gonne scoprendo il mio
sedere nudo perché quella mattina, prima di partire, mi aveva ordinato
nuovamente di non indossare la biancheria.
«Brava
bambina,» mi lodò constatando che gli avevo obbedito, poi infilò una gamba tra
le mie, costringendomi ad allargarle quanto bastava, per permettergli di
sistemarsi meglio tra le mie cosce e penetrarmi.
Mi
prese così, da dietro, tenendomi premuta contro gli scaffali della biblioteca e
quando venne, lo fece riversandosi come sempre in profondità dentro di me.
Quando si sfilò, ero convinta che fosse finita, ma il mio Signore mi sorprese
di nuovo, le sue mani arrivarono al mio sesso bagnato e cautamente, vi infilarono
dentro qualcosa. Sussultai, stringendomi attorno a quell’oggetto estraneo ma
rimanendo immobile, combattendo contro l’impulso di voltarmi per controllare
cosa fosse.
«Ecco,»
mormorò lui, una volta che ebbe inserito completamente l’oggetto e si fu avvicinato
al mio orecchio, «non togliertelo e non sbirciare. Ci vediamo stasera.»
E
depositandomi un bacio sulla nuca, era uscito dalla stanza, così rapidamente
come prima vi era entrato.
Il
resto della giornata trascorse senza che io me ne rendessi conto, essendo
presente solo a metà mentre l’altra era occupata a focalizzarsi su
quell’oggetto così strano, che premeva e si sfregava contro di me a ogni mio
movimento, senza darmi pace.
Quella
notte, il mio Signore mi aveva messa a quattro zampe sul letto e lo aveva
rimosso, sostituendolo subito con la sua erezione. Di nuovo, si era liberato
dentro di me e poi, sfilato il suo membro, la sua bocca era calata su di me
succhiando e mordendo, penetrandomi con la lingua e leccando via il suo stesso
seme, assaggiando se stesso dentro di me. Venni con così tanta violenza che
credetti di morire.
Le
uniche note negative di tutta quella situazione, erano gli sguardi apprensivi
che ogni tanto vedevo sul volto di Stevenson e la preoccupazione per la mancata
risposta di mio padre. Entrambe potevano essere razionalmente spiegate, in
fondo non potevo certo sapere cosa stesse pensando il maggiordomo, o se la
lettera fosse davvero giunta a destinazione, e neanche se mio padre avesse
avuto modo di leggerla. Nonostante ciò la mia mente sempre inquieta era pronta
a farmi pensare sempre al peggio. Intanto, arrivavano le lettere di Andrew, che
mi ricordava costantemente della festa e dei preparativi che stava facendo,
chiedendomi tal volta dei consigli. Fu molto divertente tenere quella
corrispondenza, e ricordai con nostalgia gli anni trascorsi a scambiare lettere
con Leo. Ricordai dei periodi bui in cui passavano anche mesi prima che
ricevessi una sua risposta, e di quelli felici in cui magari, ne arrivavano
anche quattro in una settimana. Mi sembrava ancora così strano trovarmi a
dormire tutte le notti sul suo petto, a sentire ogni mattina la sua voce darmi
il buongiorno, le sue braccia attorno al mio corpo, i suoi baci sulla mia
pelle.
Era
tutto troppo bello, troppo perfetto, nel profondo del mio animo sentivo che mi
stavo solo illudendo, che non potevamo continuare così per sempre, che qualcosa
di atroce mi avrebbe riportato dolorosamente coi piedi per terra. Ma tentavo di
scacciare quei pensieri con un’energica scrollata di capo, mentre il giorno
della festa si avvicinava sempre di più.
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