Capitolo 27

 

“Questa notte voglio che ti infili sotto le coperte completamente nuda,

voglio che ti tocchi pensando a me. Immagina le mie mani sul tuo corpo.

 Non sarà il lenzuolo a sfiorarti i capezzoli, ma le mie dita,

non sarà lui a carezzarti le cosce, ma io.”

 

“Con un’indicibile dose di imbarazzo, l’ho fatto, Signore.

 È stato molto bello e intenso, poi ho aperto gli occhi e

l’incanto è svanito, lasciandomi da sola in un letto vuoto.

Se solo foste stato veramente lì con me.”

 

Pranzammo in una piccola taverna molto chiassosa e dall’aria vissuta, l’uomo dietro al bancone, un robusto e alto signore di mezz’età, ci accolse con una risata gioviale, invitandoci a scegliere liberamente qualsiasi tavolo preferissimo, e Leo volle sedersi a quello più lontano dall’entrata.

Una volta preso posto, una cameriera con le guance arrossate dal lavoro e dal caldo arrivò per elencarci i piatti del giorno. Tutti e tre ordinammo lo stufato speciale del cuoco, così si allontanò con un inchino.

«Allora,» esclamò Andrew una volta rimasti soli, «avete fatto tutti gli acquisti che dovevate fare?»

Aprii la bocca per rispondergli, ma Leo mi batté sul tempo.

«E tu?» gli chiese con aria beffarda, Drew arrossì e scrollò le sue immense spalle.

«Non dovevo comprare niente, stavo solo curiosando in giro,» borbottò guardandosi intorno chiaramente a disagio, resistetti all’impulso di dare una gomitata a Leo per intimargli di piantarla di stuzzicarlo, invece sorrisi cordiale.

«Noi abbiamo quasi fatto, dobbiamo solo passare a ritirare i miei occhiali.»

Andrew parve stupito a quella notizia.

«Occhiali?» chiese, guardando prima me e poi Leo. Io annuii mestamente, di nuovo sul punto di cadere vittima della tristezza, ma per fortuna, il bruciore che sentivo provenire dal mio sedere servì a ricordarmi che dovevo accettare la cosa e andare avanti, come una persona adulta.

«Già,» mormorai con un sospiro, «non ci vedo bene… quindi occhiali.»

Andrew annuì comprensivo poi sorrise minimizzando la cosa con un gesto della mano.

«Sono sicuro che vi staranno benissimo. Gli occhiali hanno uno strano fascino che rendono le persone belle ancora più belle,» ridacchiò, «anche Mikhail ha bisogno degli occhiali, ma solo quando deve leggere qualcosa di molto vicino.»

Per fortuna il mio volto era quasi del tutto inespressivo, altrimenti sulle mie labbra sarebbe comparso un enorme sorriso sentendolo parlare con così tanto amore di quel Mikhail, che evidentemente doveva essere il nome del suo maggiordomo. Mi chiesi se anche la mia di voce trasudasse un simile sentimento ogniqualvolta parlavo di Leo.

Senza cadere vittima della curiosità che mi avrebbe spinta a fare molte più domande su di lui e sul suo maggiordomo, lo ringraziai garbatamente per il complimento, giusto in tempo per vedere tornare la cameriera con i nostri piatti e bevande.

Mangiammo con calma il delizioso stufato, ascoltando gli schiamazzi delle persone attorno a noi che ridevano, scherzavano e consumavano il pranzo. Era bello starsene lì a osservare le loro facce, a immaginare quale potesse essere la loro storia, cosa li avesse spinti a entrare in quel locale quel giorno. Mi divertii a spostare lo sguardo da persona a persona e a inventarmi per ognuno di loro un nome e una storia. Passai il tempo così, e senza accorgermene fu già l’ora di rimettersi in marcia. Andrew insistette per offrirci il pranzo e io lo ringraziai anche da parte di Leo, che aveva accolto la notizia con uno dei suoi tipici grugniti.

Usciti dalla taverna, il marchese si congedò nuovamente da noi, alludendo ad alcuni affari che richiedevano la sua presenza.

«Ma non aspettatemi, finiti i vostri acquisti tornate pure a casa.»

Lo salutammo e ci incamminammo a passo lento verso il negozio dell’ottico.

Ritirati e pagati anche gli occhiali risalimmo in carrozza, riprendendo la strada verso casa.

Una volta che la carrozza fu in movimento, Leo con un gesto secco del capo, mi fece segno di avvicinarmi a lui. Mi spostai sul suo lato della carrozza e, subito, mi trascinò sul suo grembo, facendomi sedere di traverso sulle sue gambe.

«Bene,» mormorò mentre apriva la piccola custodia dei miei nuovi occhiali e li tirava fuori. Li osservai per un lungo istante, erano occhiali grandi e tondi, la montatura dorata era così sottile che dubitavo mi sarebbero durati molto tempo addosso. Leo me li inforcò delicatamente sul naso e sistemò con cura le asticelle dietro le orecchie, così che non mi dessero fastidio.

All’improvviso, il mondo attorno a me divenne estremamente definito.

Mi guardai intorno, osservando gli interni imbottiti della carrozza che ormai riuscivo a distinguere magnificamente. Meravigliata, mi voltai verso Leo per cercare di descrivergli il superbo senso di stupore che si era impadronito di me in quegli istanti, desiderosa di condividere con lui la gioia per quel nuovo mondo tutto da scoprire.

Il mio cuore, però, non era preparato a quel che vidi.

Conoscevo bene il volto di Leo, lo avevo studiato con attenzione ogni singolo giorno da quando era tornato in Inghilterra, ricordavo chiaramente ogni sua più piccola ruga, ogni sfumatura dei suoi occhi incredibili, eppure, in quel momento fu come vederlo sul serio per la prima volta, come un fulmine a ciel sereno che mi folgorò fin nell’anima. Mi chiesi se fosse possibile innamorarsi di una persona che già si amava, evidentemente sì, visto che a me era appena successo.

Tutte le parole che avrei voluto dire, tutta la meraviglia svanì, rimpiazzata da una profonda e intensa lussuria. Notai perfettamente l’istante in cui le pupille di Leo iniziarono a dilatarsi e la sua bocca schiudersi leggermente.

«Dio mio,» sussurrò afferrandomi con entrambe le mani per avvicinarmi di più a lui, «voglio mangiarti.»

Le nostre bocche si unirono voraci. Mugolai felice, spostandomi per potermi mettere a cavalcioni sul suo grembo. Lui gemette mordendomi delicatamente un labbro, e spostò le mani sul mio bacino, per incitarmi a muoverlo sopra di lui.

Aggrappandomi al suo collo gli obbedii, sfregando il mio sesso umido sulla sua erezione già dura, ma costretta nei pantaloni.

Gemette chiudendo gli occhi e buttando la testa all’indietro e io lo presi sia come un complimento che come un incitamento a continuare. Non mi importava se qualcuno ci avesse visto o sentito, volevo il mio Leo e volevo vederlo in preda all’estasi.

Mi spinsi verso il basso, sfregando e allo stesso tempo premendomi contro di lui, con le sue dita che affondavano con forza nella carne.

«Piccola,» gemette riaprendo gli occhi e fissandomi, «ti devi fermare.»

Mi imbronciai e smisi di muovermi, un po’ delusa da me stessa per non essere riuscita a fargli perdere totalmente il lume della ragione.

Lo sentii inspirare profondamente col naso, di nuovo totalmente padrone delle sue azioni.

«Aprimi i pantaloni.»

L’ordine arrivò improvviso e inaspettato, sbattei le palpebre perplessa ma sul suo volto non c’era traccia di nessuna emozione. Obbedendo, mi spostai leggermente così da potergli aprire la patta senza l’ingombro delle mie gonne nel mezzo. Vidi la punta della sua erezione sbucare dall’apertura, e sentii la saliva aumentarmi nella bocca, quasi stessi guardando qualche pietanza prelibata. Leo ridacchiò, strappandomi a quei pensieri. Tornai a guardarlo e lui mi indicò con un movimento del capo la sua erezione.

«Cavalcami.»

Per un attimo rimasi immobile, non capendo bene cosa mi stesse chiedendo, quando alla fine la mia mente sovraeccitata arrivò alla giusta conclusione, mi sentii avvampare. Mi mossi titubante, aprendogli meglio i pantaloni così che la sua erezione potesse uscire completamente, poi, mi spostai di nuovo in avanti, sollevandomi leggermente sulle ginocchia e tenendomi appoggiata alla sua spalla con una mano. Visto che sarebbe stato molto difficile riuscire così alla cieca a far entrare la sua erezione dentro di me, infilai la mano libera sotto le gonne, alla ricerca del suo membro.

Quando il mio pungo si strinse attorno a lui, Leo sibilò sbattendo nuovamente la testa contro la parete della carrozza. Sorrisi per mitigare un po’ l’imbarazzo che provavo in quel momento e, con calma, mi calai sulla sua erezione, guidandolo adagio dentro il mio corpo.

Gemetti piano mordendomi il labbro per non urlare a gran voce quando fu totalmente sepolto dentro di me.

Di nuovo, le mani di Leo mi incitarono a muovermi, così iniziai a dondolarmi lentamente sul suo grembo, con la sua erezione che massaggiava le mie pareti interne, riempiendomi in modo così perfetto. Improvvisamente, lui mosse il bacino, spingendo il suo membro dentro di me e io mi incurvai sul suo corpo, tremando per l’intensità del momento.

Gli circondai le spalle, appoggiando la fronte contro la sua, ansimando con la bocca aperta.

«Ti prego…» lo supplicai, fissandolo in quegli occhi ormai neri come la notte, «non ce la faccio.»

Le sue mani scivolarono sotto le mie gonne, afferrandomi le cosce e sollevandomi senza troppo sforzo. Mi tenne ferma mentre si muoveva deciso dentro di me, facendomi sussultare a ogni affondo.

Mugolai estasiata, sentendo il piacere crescere sempre di più, mi strinsi attorno alla sua erezione, incitandolo silenziosamente a non fermarsi, a darmene ancora di più.

I suoi colpi divennero brutali e rapidi, senza lasciarmi il tempo di pensare, di parlare, di fare niente che non fosse accettare quel piacere con la bocca socchiusa in un gemito silenzioso.

Quando fui a un passo dal mio orgasmo, lo sentii bloccarsi e, con un basso grugnito, riversarsi in profondità dentro di me. Lo fissai rapita, guardando il suo volto bellissimo attraversato dall’estasi, e mi strinsi con ancora più forza attorno alla sua erezione, sperando che continuasse, che concedesse anche a me quel piacere supremo, invece, il mio crudele Signore si sfilò dal mio corpo, lasciandomi insoddisfatta.

Lo guardai con espressione adirata e lui ridacchiò piano, ancora affannato tanto quanto me.

«Non guardarmi così, sei ancora in punizione.»

Lo sapevo, eppure era così ingiusto vederlo prendersi la sua soddisfazione e lasciare invece me a smaniare inquieta.

Mi fece tornare al mio posto e io mi risistemai le gonne con uno sbuffo indignato, che lo fece solo ridere più sonoramente. In quel momento, stringendo le gambe sentii il seme di Leo scivolarmi lungo le natiche e desiderai ardentemente che la mia punizione finisse al più presto.

 

Arrivati a casa, volai letteralmente in camera mia per paura che qualcuno potesse notare qualche macchia sospetta sul pavimento. Chiusi la porta con il volto rosso e bruciante per l’imbarazzo e corsi verso il cassettone per recuperare qualcosa da indossare il più in fretta possibile.

Quando sentii qualcuno bussare alla mia porta, mi sistemai meglio le gonne e, decisamente più calma anche se ancora tremendamente imbarazzata, andai ad aprire.

Stevenson e un altro servo stavano entrambi fermi con una pila miei libri nuovi tra le mani, mi scostai rapidamente dall’uscio per farli passare così che potessero liberarsi di quei pesi.

Il servo si congedò con un inchino e lasciò il maggiordomo da solo a sistemare ordinatamente i tomi sul comodino, il che mi diede tempo per osservare meglio l’uomo. Adesso che ci vedevo bene potevo scorgere nuovi dettagli del suo volto, nonostante i capelli totalmente bianchi, non sembrava molto più vecchio di Leo, sul suo volto squadrato non c’era che qualche ruga e, mi chiesi sovrappensiero, se quei capelli fossero sempre stati di quel colore o se fossero prematuramente divenuti così per un qualche motivo.

«Se mi dite quali avete già letto posso portarli via e liberare un po’ di spazio.»

Aveva un tono calmo, tuttavia c’era qualcosa che stonava nel suo comportamento, anche se non riuscivo ad afferrare bene cosa fosse. Gli porsi i libri che avevo già letto, dopo di che si diresse verso la porta con un inchino.

«Se posso permettermi, vi stanno molto bene i nuovi occhiali.»

Lo ringraziai con un sorriso ma, quando fece per uscire, lo richiamai indietro. L’uomo si fermò sulla porta, guardandomi con espressione interrogativa.

«Avete bisogno di qualcosa, Contessa?»

Aprii la bocca, ma mi scoprii troppo codarda per chiedergli quel che davvero avrei voluto, troppo spaventata di sentire la sua risposta.

Lui tornò indietro e poggiò i libri sul bordo del comodino, fissandomi con intensità.

«Posso parlare liberamente?» chiese chinando leggermente il capo verso di me, io annuii cercando di rimanere tranquilla e di ignorare la dolorosa morsa che mi attanagliava lo stomaco.

«Conosco Leo da anni,» iniziò calmo, scandendo attentamente ogni parola, «ho visto troppi fatti tremendi nella mia vita, ho lottato per ottenere cose che mi sono poi state strappate brutalmente via. Perciò, quando Leo venne a parlarmi di voi, ero sinceramente felice per lui. Non ha avuto una vita facile e si merita un po’ di felicità…» mi lanciò una lunga occhiata intenditrice, «a prescindere da chi sia la persona che ama.»

Fu molto strano sentirlo parlare così candidamente della mia relazione con Leo, non credevo che qualcuno ne avrebbe mai avuto l’ardire, pensavo che sarebbe rimasta una cosa non detta. Invece Stevenson mi osservò a lungo, così che io potessi assorbire e capire pienamente il significato delle sue parole.

«Credetemi, non ho niente contro di voi, anzi, siete una fanciulla deliziosa a cui ammetto di essermi affezionato in fretta.»

Sorrisi annuendo piano, la morsa al mio stomaco che si scioglieva gradualmente. Il maggiordomo mi restituì un piccolo sorriso, sollevando impercettibilmente l’angolo della bocca, poi la sua espressione si fece mortalmente seria, i suoi occhi si assottigliarono e io mi sentii pervadere dal gelo più assoluto.

«Ma è proprio perché mi sono affezionato a voi che adesso sono tremendamente in lotta con me stesso. Da una parte, voglio che il mio migliore amico sia felice, dall’altra sento il disperato bisogno di mettervi in guardia.»

Deglutii, la bocca arida e uno strano sibilo nelle orecchie, la mia mente lavorava furiosamente per cercare di dire qualcosa, per riuscire a capire e reagire di conseguenza, ma rimasi immobile, a osservare con espressione stupita l’uomo che mi stava di fronte.

«Desdemona,» pronunciò il mio nome, abbandonando ogni formalità, la sua voce mortalmente seria, «Leo non è l’uomo che tu credi. Scappa finché sei in tempo.»

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