Capitolo 20
“Ho comprato un nastro
oggi, un lungo nastro di seta rossa.
Prima o poi, lo userò per
legarti al letto come un delizioso
regalo di Natale che mi
divertirò a scartare.”
“Vorrei poterlo fare già adesso.”
Deglutii
nervosamente, non riuscendo a capire con esattezza cosa quella notizia mi
provocasse a livello emotivo. Spostai incerta lo sguardo sull’entrata del
passaggio segreto fino a Leo, poi di nuovo sulla porta.
«Ah,»
mormorai, con lo sguardo fisso nell’oscurità della scalinata. «E ci sono tanti
passaggi segreti in casa?»
Più
che vederlo, percepii Leo annuire al mio fianco.
«Alcuni
sono dei veri e propri passaggi che attraversano tutta la casa, ma questo venne
ideato per agevolare gli spostamenti tra le camere dei padroni e… quelle dei
loro amanti.»
Assorbii
quell’informazione senza scompormi, continuando a fissare dritto davanti a me.
«Per
cui… io dormo nella stanza dell’amante?»
Leo
non rispose, ma non era necessario. Mi voltai a fissarlo impassibile.
«Quindi
questa,» dissi lanciando uno sguardo alla camera, «non è l’unica stanza a cui
si può arrivare da questo passaggio, giusto?»
La
mia nuca iniziò a pizzicare fastidiosamente, mi allontanai di un passo da quel
buco nero ora diventato tremendamente spaventoso, e da quell’uomo che mi
fissava con espressione corrucciata, senza evidentemente capire quale fosse il
problema.
«No,»
mi rispose con calma, scandendo lentamente le parole quasi pensasse che potesse
spaventarmi parlando più in fretta, «si possono raggiungere altre due stanze.
Ma attualmente sono entrambe vuote.»
Il
petto iniziò a dolermi terribilmente, avevo gli occhi lucidi.
«Ti
prego,» lo supplicai con tutta me stessa, «ti prego, dimmi che quelle due
stanze sono sempre state vuote da quando io dormo in questa casa.»
Lo
vidi sgranare impercettibilmente gli occhi, intuii che doveva aver capito quale
fosse il mio problema, dove la mia mente terrorizzata mi aveva condotto, in
quali acque scure stavo lentamente annegando.
«Nessuno
di esterno alla casa conosce questi corridoi, Desdemona.»
Ansimai,
arretrando di un altro passo e sbattendo le gambe contro il bordo del letto,
mentre cercavo di lottare con un nodo in gola che sembrava diventare sempre più
grande.
«Avrebbe
potuto scoprirlo,» mormorai, la voce tremante. Mi afferrai la testa tra le mani
guardando il pavimento, non sapendo come uscire da quel vortice di ansia e
disperazione. «Mio dio…» gemetti a un passo dalle lacrime, «sarebbe potuta
entrare in camera mia, avrebbe potuto farmi qualsiasi
cosa!»
Le
mani di Leo mi afferrarono le spalle, ma non volevo essere toccata, non in quel
momento, non quando ero sul punto di spezzarmi di nuovo. Lo scacciai facendo
forza per liberarmi e lo fissai adirata, lui sembrava impassibile.
«Tu
non capisci!» gli urlai contro, puntandogli seria un dito accusatore. «Io non
dormo bene la notte da anni, chiudo la porta a chiave quando vado a dormire per
colpa sua!»
Leo
digrignò i denti, la mascella così serrata che mi domandai vagamente come
faceva a non provare dolore.
«Non.
Poteva. Saperlo,» scandì ogni parola duramente, i pungi stretti lungo i
fianchi, «Smettila di comportarti come una bambina, non è successo niente!»
«Come una bambina?» urlai
indignata. «Mia madre si divertiva a
entrarmi in camera quando dormivo per torturarmi! Lo sai cos’è questa?» chiesi stizzita voltandomi. Slacciai la
cintura della vestaglia e abbassai le spalline della camicia da notte, scoprendo
quasi totalmente la schiena.
Lo
sentii trattenere il fiato poi una delle sue mani sfiorò delicatamente la
cicatrice che mi attraversava come una lunga e sottile striscia di fuoco, un
fuoco che mai si sarebbe spento.
«Questa,»
continuai fissando dritto davanti a me, dandogli le spalle e lasciandogli
osservare per bene la ferita, «me l’ha fatta mentre dormivo, con un attizzatoio
rovente.»
Non
volevo ricordare l’orrore provato svegliandomi e sentendo quel dolore immane,
con mia madre sopra di me che rideva istericamente mentre mi forzava a rimanere
ferma, schiacciandomi con forza la testa. Urlavo, piangevo, ero arrivata perfino
a supplicarla. Il dolore era stato così intenso che avevo pensato di morire
quella notte, ma il fato era stato clemente con me e mi aveva concesso di
svenire, di nascondermi in un oblio oscuro dove né lei né il dolore avrebbero
mai potuto raggiungermi. Poi, ricordavo solo di essermi risvegliata parecchi
giorni dopo, con un gran dolore alla schiena fasciata e una febbre che mi aveva
accompagnato per lungo tempo. Il medico quella volta aveva detto che ero stata
fortunata a sopravvivere, avevo dodici anni. Fu allora che avevo cominciato ad
avere problemi ad addormentarmi e di conseguenza a chiudermi in camera.
«Desdemona,
tua madre merita di morire per quello che ti ha fatto…» mormorò Leo prendendomi
nuovamente per le spalle e obbligandomi gentilmente a voltarmi, «ma non sapevo
queste cose quando sei arrivata, ricordi?»
Mi
si riempirono gli occhi di lacrime, mi rimisi a posto l’abito con gesti bruschi
e lo fissai, voltandomi.
«Ma
dopo sì,» iniziai stizzita, «dopo che te l’ho urlato in faccia lo sapevi!
Eppure nemmeno in quel momento me l’hai detto.» Di nuovo, mi scostai da lui, ma
con calma. «Quante cose mi stai nascondendo?»
I
suoi occhi brillarono feroci e le narici si allargarono leggermente. «Tutte
quelle che reputo necessarie.»
«Ma
io voglio sapere!» scattai esasperata. «Perché vuoi nascondermi delle cose?
Eppure io non posso nasconderti niente, no? Questo è tremendamente ingiusto!»
In
un istante fu su di me, la sua mano afferrò brutalmente il mio mento,
costringendomi a guardarlo dritto negli occhi.
«Tu
devi dirmi tutto, perché sei mia,» ringhiò feroce, avvicinandosi al mio volto
sempre di più. «Se e quando vorrò dirti qualcosa lo deciderò io, fino ad allora
preoccupati solo di compiacermi come si deve.»
La
mia mano scattò senza che me ne accorgessi, non avevo mai tirato uno schiaffo e
scoprii che bruciava terribilmente. Mi domandai se bruciasse anche la sua
guancia tanto quanto il mio palmo, lo sperai.
Mi
staccai da lui con uno strattone violento, non avevo intenzione di rimanere in
quella stanza un secondo di più, avevo bisogno di stare da sola, avevo bisogno
di pensare senza l’ingombrante presenza di Leo a confondermi e scombussolarmi
l’anima.
Scattai
verso la porta, ma lui fu più svelto di me, ci si piazzò davanti e mi bloccò le
mani per non farmi scappare. Potevo vedere la collera nel suo sguardo e, di
nuovo, agii d’istinto.
Gli
assestai un pestone sul ginocchio che, nonostante fossi scalza, gli fece
piuttosto male almeno a giudicare dal mezzo gemito che gli sfuggì.
Finalmente
libera sfruttai i miei pochi istanti di vantaggio per lanciarmi verso il
passaggio segreto, riuscendo a imboccarlo e a chiudermelo alle spalle prima che
lui potesse raggiungermi.
Ero
immersa nell’oscurità più totale, ma sapevo dove andare, avevo visto le scale
prima, quindi muovendomi alla cieca raggiunsi il muro e scesi velocemente giù
lungo la stretta rampa finché non trovai il pannello leggermente socchiuso
della mia camera. Per tutto il tempo avevo sentito i suoi passi dietro di me e
ogni istante avevo temuto di essere raggiunta e catturata. Con il cuore che
batteva all’impazzata, entrai lanciandomi praticamente dentro, richiudendo la
porta. Poi senza rifletterci molto, mi infilai sotto il letto e mi raggomitolai
tremante, in attesa.
Pochi
istanti dopo lo sentii irrompere come una furia nella stanza, la porta che
sbatteva violentemente contro il muro.
Lo
sentii grugnire a denti stretti e i suoi passi risuonarono tutto attorno al
letto, allontanandosi poi in direzione della porta principale, svanendo lungo
il corridoio. Chiusi gli occhi, continuando a tremare e rimanendo con le
orecchie tese, pronta a captare ogni più piccolo rumore, le ginocchia strette
al petto come mia unica ancora di salvezza.
Non
avevo la più pallida idea di cosa avrebbe fatto una volta che fosse riuscito a
catturarmi – perché alla fine, era solo questione di tempo, non potevo certo
passare il resto della vita a fuggire –, ma francamente in quel momento non mi
importava di farlo arrabbiare, del resto, lui aveva fatto arrabbiare me. Una
piccola e contorta parte di me fu felice di averlo fatto infuriare e soffrire,
così come ero infuriata e stavo soffrendo io. Rimasi immobile in quella
posizione per quelle che parvero ore. Ero quasi sul punto di appisolarmi,
quando il suono di passi che si avvicinavano mi fece scattare all’erta.
Leo
era di nuovo entrato in camera mia, girò attorno al letto e si avvicinò al
passaggio segreto. Sentii la porta chiudersi ma lui era ancora lì e il
terribile sospetto che sapesse perfettamente dov’ero iniziò a trasformarsi in
realtà. Decisi però di restare immobile per capire cos’avesse intenzione di
fare, anche se così facendo molto probabilmente sarei caduta nella sua
trappola. Sopraggiunsero i rumori di qualcosa di pesante che veniva spostato e
ci misi un minuto buono per realizzare che sembrava stare spostando il
cassettone. Avrei voluto sollevare le coperte e osservare meglio quello che
stava facendo, ma sarebbe stato sciocco. Rimasi immobile come una statua di
marmo e ascoltai i suoi passi fare il giro del letto e dirigersi verso la
porta, chiudendo anche quella.
Quando
scattò la serratura capii che sì, sapeva benissimo dov’ero e che ormai ero in
trappola.
«Quindi,»
disse lui, la voce appena ansante, «hai intenzione di uscire da sola, o ti devo
trascinare fuori io?»
Mi
ostinai a mantenere la mia posizione, le braccia saldamente strette attorno
alle gambe, temevo che lasciandole andare avrei iniziato a tremare.
Lui
attese qualche istante, poi lo sentii sospirare.
«Se
esci da sola prometto di andarci più leggero con la tua punizione.»
Non
mi mossi, decisa più che mai a portare fino in fondo la mia rimostranza, per
quanto pessima e inutile potesse risultare.
«Molto
bene,» concesse avvicinandosi al letto. Il mio cuore sussultava a ogni passo, poi
il lenzuolo venne sollevato e il suo volto sbucò dall’apertura. Era
terribilmente corrucciato e io non ero sicuramente da meno, per un lungo
istante ci fissammo nella penombra, finché lui allungò la mano per afferrarmi
un polso. «Forza, esci.»
Di
nuovo, agii d’istinto e cercai di divincolarmi dalla presa, ma le sue dita si
strinsero ferree attorno al mio polso, impedendomi qualsiasi mossa.
«Non
ci pensare neanche,» mi intimò lapidario, poi con uno strattone mi trascinò
fuori dal mio rifugio e a forza mi costrinse a sollevarmi.
Lo
osservai truce mentre lui mi lasciava libera per andare ad accendere le candele
che tenevo sul mio comodino e in quel momento, vidi un’occasione: scattai in
avanti verso la porta, ma subito il suo braccio mi circondò la vita,
sollevandomi in aria.
«E
io che volevo essere indulgente con te,» ringhiò tra i denti scaraventandomi
sul letto e tenendomi giù con un ginocchio piantato sulla schiena.
Io
non risposi, decisa nel mio piccolo a ribellarmi in quel modo, negandogli
qualsiasi soddisfazione di sentirmi urlare o imprecare o gemere o quel che
credeva di suscitare in me con quel trattamento. Volevo rimanere impassibile, e
in quel momento credetti sul serio che ne sarei stata capace.
Lo
sentii armeggiare con i fiammiferi e subito dopo un caldo bagliore illuminò la
stanza, voltai la testa dalla parte opposta, verso il cassettone che ora era
stato appoggiato contro la porta del passaggio segreto, così da non vederlo in
faccia.
«Fai
pure l’offesa, presto capirai che non hai motivo di esserlo.»
Mi
morsi la bocca per impedirmi di rispondergli a tono.
Certo
che avevo un motivo per essere risentita. Me ne stavo lì che scioccamente
speravo di riuscire a scoprire tutto di lui, di poter conoscere meglio
quell’uomo di cui ero follemente innamorata e poi, cosa? Scoprivo che mi aveva
tenuto volontariamente nascosto qualcosa e che continuava a farlo, nemmeno
lontanamente intenzionato a confidarsi con me. Faceva male scontrarsi con la
dura realtà e scoprire che non combaciava con le fantasie di una ragazzina
innamorata.
Mi
afferrò le mani, portandole dietro la schiena e legandomele assieme, così che
non potessi muoverle. Solo in quel momento tolse il ginocchio, permettendomi di
respirare un po’ meglio. Senza aggiungere altro, sentii le sue dita vagare sui
miei fianchi e afferrarmeli, costringendomi a tirarli su e poggiare le
ginocchia sul materasso.
In
quella posizione, il mio didietro era sollevato in aria, alla sua completa
mercé, come lo era il resto del mio corpo.
Quando
con un gesto brusco mi sollevò la gonna fin oltre le natiche, iniziai a
tremare. Avevo sempre temuto l’arrivo di quel giorno. Nelle lettere che mi
scriveva, spesso Leo parlava di punizioni corporali e la cosa scatenava in me
mille e più dilemmi. Dopo tutto quello che avevo subito da mia madre, non
sapevo se sarei stata in grado di sopportare un trattamento simile da parte sua
senza crollare vittima dei miei brutti ricordi, ma d’altro canto, era proprio
l’essere tra le mani di Leo a rendere il tutto nettamente diverso. Sapevo che
ogni colpo che poteva infliggermi non sarebbe mai stato dato con l’intento di
distruggermi ma con quello di vedermi crescere e migliorare come persona. Alla
fine, però, leggendo solo le sue lettere non ero mai stata in grado di capire
come avrei potuto reagire davanti a uno scenario simile, per saperlo mi ci
sarei dovuta trovare coinvolta.
Quando
le dita del mio Signore si infilarono sotto l’orlo del mio intimo, rabbrividii.
Le
sue mani scesero lente insieme alla stoffa scoprendo quel punto che, fino a
quel momento, nessun uomo aveva mai visto. Arrossii, tremendamente imbarazzata,
sentendo l’aria fresca della stanza colpire le mie parti intime, e pensai di
morire dall’imbarazzo al pensiero d’essere esposta in modo così esplicito
davanti ai suoi occhi; era qualcosa che non pensavo sarebbe mai successa, anche
se ci avevo lungamente fantasticato su.
Lo
sentii emettere un basso ringhio gutturale mentre le sue mani lasciavano andare
la stoffa incastrata tra le mie ginocchia aperte e salivano ad agguantarmi le
natiche, palpandole duramente. Morsi le labbra per impedirmi di gemere a ogni
costo.
L’idea
che ciò che stava vedendo potesse piacergli, che potesse eccitarlo… scatenava
in me gli stessi sentimenti, anche se in quel momento mi rifiutavo di
ammetterlo. Ero così concentrata a non emettere suoni, a gestire il mio
imbarazzo e allo stesso tempo continuare a essere arrabbiata con lui, che non
mi accorsi quando una delle sue mani si staccò dalla mia natica solo per
tornare poi a calarci sopra, colpendola con un sonoro schiocco.
Sussultai
sconvolta, il bruciore che iniziava a diffondersi come un fuoco sotto pelle, un
altro colpo seguì il primo, poi un altro e un altro ancora.
Ognuno
di essi mi faceva sussultare dal dolore, ognuno andava a battere precisamente
sopra il segno lasciato dallo schiaffo precedente, intensificandone il
bruciore.
Chiusi
gli occhi, affondando il volto nel materasso e cercando di non pensare a quello
che stava succedendo, cercando di ignorare le dita rudi che affondavano nella
mia carne mentre mi percuoteva sempre più velocemente con l’altra mano. Non
avrei saputo dire per quanto continuò, tranne che a ogni colpo ero un passo più
vicina all’abbandonare qualsiasi proposito di silenzio e iniziare a urlare.
«Bene,»
disse il mio Signore fermandosi di colpo, «ora dall’altra parte.»
Sobbalzai
quando lo sentii afferrarmi con la mano la natica martoriata e strizzarla
forte, riprendendo poi a percuotermi l’altra, ricominciando tutto da capo.
Strinsi le mani così forte da conficcarmi le unghie nei palmi e mi morsi il
labbro tanto da farlo sanguinare.
Il
dolore riecheggiava lungo tutto il mio corpo, ogni colpo rimbombava aumentando
la risonanza di quello precedente, senza concedermi un attimo di pace, senza
permettermi di riprendermi o di pensare ad altro che non fossero quelle mani
crudeli su di me.
Quando,
finalmente, la scarica di colpi si interruppe, tirai mentalmente un sospiro di
sollievo. Ce l’avevo fatta, ero riuscita a resistere a quell’attacco senza
cedere, senza permettergli di udire nulla fuoriuscire dalle mie labbra serrate
fino allo stremo.
«Adesso,»
decretò soddisfatto staccando tutte e due le mani da me, «su entrambe.»
Spalancai
gli occhi spaventata.
«No!» esclamai,
voltandomi di scatto per cercare il suo sguardo e lo trovai, fermo appoggiato
contro la colonna del letto, le braccia conserte, mi osservava con espressione
seria ma allo stesso tempo vagamente divertita.
«Allora
riesci ancora a parlare.»
Tornai
a guardare dall’altra parte, indignata con me stessa per non essere riuscita a
resistere e un po’ anche con lui per avermi indotta con l’inganno a parlare.
Sentii
i suoi passi mentre girava attorno al letto, poi il materasso accanto alla mia
testa si affossò, voltai il capo e lo trovai appoggiato con le braccia vicino a
me, aveva le maniche della camicia tirate su e da quella distanza potevo quasi contare
i peli che le ricomprivano.
«Ti
sei calmata ora?» mi chiese osservandomi tranquillo con il mento abbassato sul
petto e a braccia conserte. Io aggrottai la fronte e, stranamente, mi trovai ad
annuire. Avevo il sedere che bruciava indicibilmente ma nella mia testa c’era
quasi silenzio. Tutto il caos di sentimenti provati poco prima era sparito,
rimpiazzato solo dal pizzicore che stava lentamente trasformandosi in
qualcos’altro.
Lui
annuì a sua volta, serio, e mi scrutò con occhi attenti.
«Capisci,
vero, che le cose che ti nascondo te le nascondo per il tuo bene?»
Sospirai,
studiando attentamente il suo volto rude e bellissimo.
«Perché
non mi hai detto del passaggio segreto?» volli sapere, e lui scrollò le spalle
grugnendo.
«Volevo
entrare in camera tua ogni volta che ne sentivo il bisogno e non volevo che tu
bloccassi il passaggio, quindi nascondertene l’esistenza era l’unico modo per
garantirmi l’accesso incondizionato.»
Mi
carezzò la nuca e io chiusi gli occhi mugolando soddisfatta.
«Sai,»
iniziò lui e io anche con gli occhi chiusi sentii la nota divertita nella sua
voce, «puoi anche abbassarle le ginocchia ora.»
Spalancai
gli occhi, le guance che iniziavano a bruciarmi quasi quanto il sedere. Non mi
ero resa conto d’essere rimasta nella stessa posizione in cui mi aveva lasciata
lui.
Il
mio Signore rise e si spostò.
«Ripensandoci,»
disse tornando dietro di me, «lasciale pure su.»
Ero
confusa, non sapevo cos’aveva intenzione di fare e, sperai francamente non
volesse riprendere a colpirmi, non in quel momento che il dolore si stava trasformando
in quel pizzicore dannatamente piacevole.
«Allarga
un po’ queste gambe, piccola.»
Obbedii
diligentemente e allargai le gambe finché non fu lui a fermarmi nella posizione
che riteneva opportuna.
Le
sue mani scesero a sfilarmi del tutto l’intimo fermo alle ginocchia e ripresero
a farmi allargare le cosce, finché non arrivai al mio limite.
«Perfetta,» lo
sentii mormorare, poi il materasso dietro di me si affossò pesantemente, le sue
mani afferrarono nuovamente le mie natiche doloranti palpandole gentilmente,
gemetti per la scarica di piacere improvviso e inaspettato che mi investì. «Abbassati.»
Sbattei
le palpebre confusa, la sua voce proveniva da sotto di me? Nella posizione in
cui ero non capivo, tuttavia obbedii e iniziai lentamente ad abbassare il
bacino, guidata dalle sue mani.
Quando
sentii le sue labbra entrare in contatto con quel punto magico tra le mie
cosce, urlai sorpresa ed eccitata come non lo ero mai stata in vita mia. Le sue
mani mi portarono letteralmente a sedermi sulla sua faccia e io glielo
concessi, arrendevole, desiderosa di sentire quelle labbra peccaminose su di
me.
Mi
leccò e succhiò con maestria, sapendo bene cosa stuzzicare o dove leccare per
farmi gemere e inarcare senza controllo.
Poi
sentii l’onda del piacere più puro salire implacabilmente dentro di me e,
quando lui lasciando andare una delle mie natiche, mi penetrò piano con un
dito, seppi che non sarei riuscita a trattenermi.
Mi
sollevai di scatto, urlando a occhi chiusi e muovendo i fianchi forsennatamente,
le dita dei piedi arricciate per l’estasi finalmente raggiunta.
Fu
incredibile. Attraverso le palpebre chiuse vidi ogni stella del firmamento e
forse anche qualcuna in più. I polmoni si svuotarono di tutta l’aria e rimasi
boccheggiante, sospesa a mezz’aria, incapace di fare altro se non restare
immobile ad aspettare che l’onda passasse.
Solo
dopo, mi lasciai cadere esausta sul materasso, ansimante e sudata. Leo sotto di
me, continuava a giocare e stuzzicare la mia carne ora sensibile, sentivo la
sua barba sfregarmi e i suoi denti mordere gentilmente la pelle esposta. Mugolai
piano, desiderando più che mai d’avere la forza di ricominciare immediatamente
quell’incredibile esperienza.
«Un
giorno,» disse lui uscendo da sotto le mie gambe e spostandosi fino a
raggiungermi in cima al letto, «ci sarò io dentro di te quando raggiungerai
l’orgasmo.»
Sospirai
felice a quelle parole, mentre lui mi liberava le mani, massaggiandomele
delicatamente.
Sazia
e soddisfatta mi lasciai andare contro di lui, che mi circondò con un braccio.
Gli baciai un bicipite, poggiandoci sopra il capo e ascoltando il suono del suo
possente cuore.
«Grazie,
Signore,» mormorai, un attimo prima di cadere addormentata.
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