Capitolo 19

 

“Durante i tuoi viaggi, qual è stata la cosa più bella che hai visto?”

 


“Se dicessi le tue lettere al mio ritorno a casa risulterei troppo

sdolcinato suppongo, quindi dirò qualcosa di banale

 come veder sorgere il sole in mezzo all’oceano.”

 

 

La mattina dopo scesi per fare colazione, di umore decisamente più sereno, e varcata la porta della sala trovai il marchese ad attendermi sorridente; il maggiordomo alle sue spalle.

«Buongiorno, s ignorina!» mi salutò energicamente con un inchino profondo, io sorrisi prendendo posto come di consuetudine di fronte a lui.

«Buongiorno a voi,» dissi, cercando di non sembrare eccessivamente imbarazzata, «vi sentite meglio oggi?»

Provai ad analizzare la reazione sul suo viso, ma non notai né imbarazzo né disagio in lui, solo gioia quando annuì enfaticamente.

«Oh, sì, mi dispiace terribilmente di avervi fatta preoccupare, ma il viaggio deve avermi stancato più del previsto.»

Il viaggio o il vostro maggiordomo, pensai divertita, tuttavia non insistetti oltre e iniziai a mangiare.

Avrei voluto osservare meglio l’uomo che stava alle sue spalle, fare più domande sul suo conto, ma non volevo risultare troppo sfacciata; ero tuttavia affascinata da quel maggiordomo che sembrava tenere il suo padrone strettamente sotto controllo. Un brivido mi corse lungo il corpo. A prima vista era un uomo così diverso da Leo, eppure condividevano lo stesso segreto, lo stesso bisogno, cosa che evidentemente facevamo anche io e il marchese. Mi chiesi quante altre persone ci fossero come noi in giro per il mondo, magari molte più di quante immaginassi, o magari esistevano persone con gusti e desideri ancora più singolari di quelli. Già di per sé, il marchese aveva desideri simili ai miei ma diversi, visto che il suo Signore era un altro uomo.

Durante la nottata avevo a lungo riflettuto su quanto udito, su cosa comportasse per il marchese. Ero diventata accidentalmente custode di un segreto molto pericoloso che, se rivelato poteva causare danni irreparabili a molte persone, lui per primo. Personalmente, non mi importava con chi preferisse dividere il letto, già molti anni prima ero stata costretta a fare un lungo e doloroso esame di coscienza, precisamente quando mi ero accorta di provare più del semplice affetto per il mio misterioso zio. Dibattendo tra la parte di me che trovava moralmente sbagliato l’essersi innamorata di un proprio consanguineo e quella razionale che sottolineava il fatto che tra me e Leo non ci fosse mai stato un vero legame al di là di quello. Alla fine, l’immensità dei miei sentimenti per lui avevano prevalso, soffocando e distruggendo ogni più piccola obbiezione la mia mente fosse stata in grado di articolare. Ero giunta alla conclusione che lo amavo e la cosa non ledeva nessuno salvo forse me stessa, ma quello era un altro discorso. Fintanto che le cose fossero rimaste così, a nessuno sarebbe dovuto importare niente di quello che provavo per mio zio o di quello che lui provava per me.

«Vorrei di nuovo scusarmi per i miei modi oltremodo scortesi dell’altro giorno, signorina.»

Sollevai gli occhi dal piatto per incontrare il suo sguardo contrito.

«Non sarei dovuto restare. È stato terribilmente inappropriato, come il parlarvi in quel modo a cena. Vi porgo le mie più sincere scuse e, se lo desiderate, me ne andrò immediatamente.»

Sorrisi scuotendo leggermente il capo.

«Davvero non serve, Marchese. Vi prego,» dissi sollevando i palmi per cercare di tranquillizzarlo, «non mi avete offesa in alcun modo e sentitevi pure libero di restare quanto volete.» Lui sembrava dubbioso, così provai a sorridere un po’ di più e continuai: «Non ho spesso a che fare con la nobiltà, quindi potrei sembrarvi un po’ rigida e impacciata, ma è colpa mia non vostra.»

Il marchese sollevò un sopracciglio, bevendo lentamente un sorso del suo tè.

«Non credo che voi siate rigida e impacciata,» iniziò, sorridendomi leggermente, «vi state comportando al meglio, considerando che dovete intrattenere uno sconosciuto e  completamente da sola.»

Risi scuotendo la testa. «Per fortuna che l’uomo in questione è così affabile e comprensivo, sennò sarebbe stato un vero calvario.»

Ridacchiò anche lui e, per un istante, giurai che il suo naso fosse diventato leggermente più rosso.

 

Il marchese, o Drew, come mi aveva pregato di chiamarlo in seguito, si rivelò una persona estremamente solare e gentile, l’opposto di quel che sembrava. Una volta Leo mi aveva detto che non dovevo giudicare le persone alla prima occhiata, e in compagnia del marchese mi accorsi di quanto avesse avuto ragione.

Drew era un ragazzo grande e grosso, dagli occhi estremamente intelligenti che scoprii essere di un caldo color ambra. All’apparenza dava l’impressione di una persona incline alla violenza, in grado di prendere e distruggere una parete con un singolo pugno se solo l’avesse voluto. Parlandoci, venni a sapere che preferiva di gran lunga starsene chiuso nella sua serra a fare esperimenti botanici, piuttosto che interagire con il genere umano. Motivo per cui le poche volte che usciva era al contempo felice e nervoso, e si ritrovava spesso a commettere errori che di norma sarebbero stati imperdonabili per un normale membro dell’alta società, ma che a lui venivano perdonati bonariamente in quanto marchese. Mi parlò a lungo di fiori, mi invitò anche ad andare a visitare il suo giardino e io accettai con gioia.

«Quando tornerà Leo, sicuramente sarà felice di accompagnarmi,» esclamai e lui sorrise lanciando un’occhiata fuori dalla finestra, verso il bosco. Era pomeriggio e, subito dopo pranzo, ci eravamo spostati in biblioteca, eravamo seduti su delle comode poltroncine, i nostri maggiordomi sempre al nostro fianco – anche se per come si guardava attorno Stevenson, ipotizzavo che si fosse autoproclamato mio chaperon –, mentre sorseggiavamo un caldo tè con i pasticcini. Ormai parlare con Andrew mi risultava molto più semplice, forse perché conoscevo il suo segreto o perché sapevo che in fondo non era una cattiva persona… o magari entrambe.

«Se mai doveste riuscire a convincere Fortescue ad accompagnarvi, giuro che darò una festa per celebrare l’evento.»

Sbattei le palpebre sorpresa e inclinai leggermente la testa.

«Come mai dite così?»

Lui lanciò un’occhiata rapida alla sua sinistra, dove il suo maggiordomo, di cui ancora ignoravo il nome, stava fermo impassibile, fissando un punto indefinito davanti a sé, poi tornò a guardarmi.

«Perché quando sono stato io a invitarlo, mi ha detto che preferiva farsi amputare un arto piuttosto che respirare per ore l’olezzo dei miei fiori,» esclamò alla fine, il naso arricciato con tono in parte offeso in parte divertito.

«Oh, allora devo proprio costringerlo ad accompagnarmi.» Decisi divertita, immaginandomi la faccia scioccata di Leo mentre pronunciava quella frase; afferrai un biscotto a mia volta e lo mordicchiai. «Così potrete vendicarvi di queste sue parole cattive.»

Drew mi guardò sorridendo, con gli occhi che gli brillavano.

«Mi piacete, signorina.»

Io arrossii e mi infilai tutto il biscotto in bocca, così da non dovergli rispondere.

 

Leo non tornò neanche quella sera. Iniziavo a sentirmi terribilmente sola nonostante la piacevole compagnia di Drew. Esattamente come quando eravamo a Londra, durante la giornata mi scoprivo immobile ad ascoltare i rumori della casa, sperando di sentire aprirsi il portone, sperando di udire i suoi passi rimbombare tra le pareti fin dentro il mio animo.

Invece, anche quella sera mi infilai tra le coperte senza sue notizie e non sapendo che fare. Stevenson, così come il resto della servitù, pareva pensieroso, ma non capivo se per la prolungata assenza di Leo o per l’inaspettata presenza di un ospite. Julie ormai a stento sollevava gli occhi per guardarmi e Abigail si muoveva nervosamente per la stanza, scattando al più piccolo rumore, come se si aspettasse di venire colpita alle spalle da un momento all’altro.

Possibile che l’assenza di Leo li destabilizzasse così tanto?

Non potevo esserne sorpresa più di tanto, io per prima non ero al meglio in quei giorni. Semplicemente, la casa smetteva di funzionare senza di lui, ci muovevamo tutti in funzione del nostro Signore e Padrone; senza di lui, ci sentivamo persi e smarriti. O almeno, fu ciò che provai quella notte.

Non potendo resistere oltre senza sentire perlomeno la presenza di Leo, scalciai via le coperte con un gesto stizzito e scesi dal letto. Mi infilai la vestaglia nel caso in cui avessi incontrato qualcuno lungo i corridoi e uscii, scalza.

Mi mossi rapida e silenziosa lungo le rampe di scale, finché non arrivai davanti alla porta del terzo piano: la camera di Leo.

Inspirai profondamente. Entrai e chiusi a chiave, fu un gesto sciocco e impulsivo che in quel momento sentivo di dover fare. Volevo isolarmi dal mondo e stare più vicina possibile a Leo; chiudermi nella sua stanza era l’unico modo che mi era venuto in mente per riuscirci.

Mi avvicinai cauta al grande letto sulla destra, quasi con timore e allo stesso tempo sperando di trovarcelo disteso sopra. Carezzai le coperte e appoggiai la testa sul cuscino morbido, inspirando alla ricerca di una traccia del suo odore.

Le coperte erano state cambiate ogni giorno da quando era partito. Era così che Leo gestiva la casa, teneva tutte le stanze sempre in ordine e le faceva pulire ogni mattina, ma nonostante quello riuscii a percepire il flebile aroma del suo corpo, o magari fu una suggestione della mia mente, ma tanto bastò a infondermi un senso di calma e farmi cadere in un sonno profondo.

 

Mi svegliai con il tocco di una mano sul mio fianco, mugolai confusa voltandomi ancora assonnata.

«Mmm, non pensavo di trovare una così bella sorpresa ad attendermi al mio ritorno.»

Mi svegliai all’istante. Sbattei le palpebre per scacciare la foschia del dormiveglia e mi trovai a fissare nella luce fioca della stanza rischiarata dalla luna e da un’unica candela, il volto sorridente di Leo. Aveva la barba più lunga dell’ultima volta che l’avevo visto, le occhiaie un po’ più marcate come se non avesse dormito bene per giorni, gli occhi appena iniettati di sangue, e pareva che non mangiasse da quando era partito. Solo in quell’istante capii quanto intensamente mi fosse mancato, gli buttai le braccia al collo e scoppiai a piangere, incapace di formulare qualsiasi frase di senso compiuto. Lui mi circondò con le sue forti braccia e mi strinse a sé carezzandomi teneramente il capo.

«Mi dispiace,» mormorò tra i miei capelli, «non sarei dovuto restare fuori così tanto, non succederà più.»

Annuii, avvinghiandomi ancora di più a lui. Non volevo lasciarlo andare mai più, volevo fondermi con lui e diventare un’unica entità così da non essere più costretti a separarci.

Leo continuò con le sue carezze in silenzio finché non riuscii a calmarmi abbastanza da smettere di piangere.

«Mi sei mancato,» dissi staccandomi leggermente da lui per poterlo guardare in faccia.

Lui rise, poggiando la fronte sulla mia. «Davvero? Avrei giurato il contrario.»

Sorrisi e tirai su col naso poco raffinatamente.

«Il Marchese di Lothian è qui già da qualche giorno…» iniziai, sperando con tutto il cuore di non aver agito male in sua assenza. Lui grugnì, annuendo leggermente.

«Sì, Stevenson me l’ha detto non appena ho messo piede in casa,» ridacchiò, «non è molto felice della sua presenza.»

Mi accigliai un po', non stava reagendo come avevo immaginato.

«E a te invece sta bene il fatto che il marchese sia rimasto con me per giorni?»

Lui si allontanò un po’ dal mio volto per guardarmi con attenzione.

«Il marchese non è certo un problema,» asserì blando, e in quel momento capii.

«Tu sai!» esclamai sorpresa. Se non avessi avuto le mani occupate a stringergli i lembi della camicia, probabilmente avrei anche alzato un dito accusatore contro di lui.

Leo ghignò divertito.

«Certo che lo so, io so tutto di chi fa affari con me, piuttosto…» mi osservò sospettoso e curioso allo stesso tempo, «tu come lo sai?»

Arrossii distogliendo lo sguardo.

«Una donna non può rivelare i propri segreti,» borbottai, cercando di trovare qualsiasi altra cosa da fissare che non fosse lui. Lo sentii ridere e le sue braccia si strinsero un po’ di più attorno ai miei fianchi.

«Oh, piccola,» mormorò baciandomi il collo e mandandomi scariche di piacere lungo tutto il corpo, «mi sei proprio mancata.»

Dentro di me esultai felice, sentendogli pronunciare quelle parole. Tornai lentamente a voltare il capo verso di lui quando, per caso, il mio sguardo si soffermò sulla porta chiusa. Mi bloccai.

«Leo?» lui grugnì continuando a baciarmi teneramente il collo. «Come sei entrato?»

La sua bocca, a un sospiro dall’attaccatura del mio seno, si fermò di colpo.

Deglutii nervosa guardandolo mentre tornava a sollevarsi, in quel momento non riuscii a leggere la sua espressione anche se mi parve leggermente colpevole.

«Dall’altro ingresso.»

Mi guardai intorno, cercando altre porte che potevo non aver notato prima, ma oltre a quella chiusa, vedevo solo quelle che davano sul terrazzo.

«Non dirmi che ti sei arrampicato fino a qui?!» chiesi a metà tra l’inorridito e il meravigliato. Lui corrucciò la fronte e si scostò un po’ di più da me.

«No, non sono salito da fuori.»

Scese dal letto e, adagio, lo aggirò arrivando dall’altro lato della stanza, poi premette delicatamente contro la parete e quella, semplicemente, si aprì.

Meravigliata, scesi dal letto per esaminare meglio il passaggio segreto.

«Incredibile!» esclamai affascinata, affacciandomi per guardare la piccola rampa di scale strette e buie che spariva tra le pareti della casa.

«Dove porta?» chiesi guardandolo, lui parve seriamente prendere in considerazione se rispondermi o meno e, per come si comportava, un pensiero iniziò a serpeggiarmi nel cervello, un pensiero che trovò conferma quando lui alla fine decise di parlare.

«In camera tua.»

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