Capitolo 59

 

«Come mai non è arrivato ancora nessuno a controllare?» chiesi, lanciando un’occhiata lungo il corridoio deserto che si stava scurendo sempre di più.

«Probabilmente nessuno ci ha sentiti,» rispose Leo scrollando le spalle. «Tuo padre li starà intrattenendo nel salone dall’altra parte della casa.»

Mi voltai a guardarlo, un sopracciglio sollevato per la sorpresa.

«Papà?» chiesi scettica. «Sta intrattenendo gli ospiti?»

Leo annuì greve.

«Mio padre?» ripetei, sempre meno sicura che una cosa simile potesse effettivamente accadere. Stevenson ridacchiò sommessamente, il volto parzialmente coperto dalla stoffa del fazzoletto, e Leo lo imitò.

«Lo so che è strano,» iniziò scuotendo la testa, «ma, se serve, tuo padre è in grado di fare qualsiasi cosa.»

Già, dovevamo tenere tutti gli ospiti felici e soddisfatti della loro permanenza in casa, dovevamo incoraggiarli a rimanere quanto più possibile.

«Devo andare a controllare la cucina,» mormorò il maggiordomo rimettendosi in piedi a fatica, spingendosi contro la parete per darsi lo slancio necessario ad alzarsi. Leo lo imitò, allungano poi le mani per aiutarmi, accettai con un sorriso.

I due uomini rimasero per qualche minuto a osservarsi in silenzio, poi Leo sollevò piano un sopracciglio e Stevenson chinò lievemente il capo. Ipotizzai che quello fosse il loro modo di comunicarsi che la situazione era risolta, almeno per il momento, perché certamente i problemi di James non erano spariti e sarebbero riemersi finché lui non avesse deciso di affrontarli di petto.

Un po’ come quella sera io avevo deciso di affrontare i miei.

A quel pensiero mi irrigidii, guardai il mio vestito sgualcito, sentii le mie cosce nude al di sotto, i miei capelli in disordine. Non potevo affrontare mia madre in quelle condizioni.

«Posso… posso tornare in camera mia?» chiesi guardando entrambi gli uomini. Stevenson si scostò per farmi passare ma Leo era dubbioso.

«Perché mai vorresti andare in camera?»

«Ecco…» iniziai titubante lisciandomi le pieghe del vestito. «Vorrei darmi una rinfrescata e… sistemarmi per… per stasera, ecco.»

Leo continuò a fissarmi con quella strana espressione dubbiosa, tuttavia annuì seccamente, prendendomi sotto braccio per scortarmi fino alla mia stanza.

«Manda qualcuno a pulire questo corridoio e di’ a Julie di salire ad aiutare Desdemona.» disse rivolto a Stevenson, indicando con un cenno del capo gli schizzi del suo sangue che imbrattavano il pavimento e il tappeto. Il maggiordomo si inchinò senza aggiungere altro e ci incamminammo tutti insieme lungo il corridoio dal quale eravamo arrivati.

«Ah,» aggiunse Leo quando fummo davanti alla scalinata, «ti sei ricordato di informare Lucas, vero?»

Stevenson sbuffò, iniziando a scendere le scale.

«Mi hai preso per un bambino?»

«Ogni tanto un po’ infantile lo sei.» Fu la risposta ironica di Leo.

James scrollò le spalle alzando la mano libera per rivolgergli un gestaccio.

«Coglione,» gli urlò sparendo al piano di sotto.

Leo scosse la testa, sorridendo, poi riprendemmo a camminare lungo il corridoio.

«Vuoi che entri per aiutarti a scegliere un vestito?» chiese, la voce un misto tra malizia e incertezza, cercai di sorridere e di farmi coraggio.

«Temo che se tu entrassi, non usciremmo più.»

Lui annuì lentamente. «Vero,» convenne con me, aprendo la porta per farmi passare. Si guardò attentamente attorno, quasi si aspettasse di trovare qualcuno appostato all’interno, pronto ad aggredirmi, poi il suo occhio tornò a posarsi su di me.

«Ci vediamo a cena, allora.»

Un ordine, una domanda, una speranza.

Quella frase sembrava tante cose e al tempo stesso nessuna di esse.

Annuii, allungando la mano per carezzargli le bende, lui chiuse l’occhio appoggiando la mano contro il mio palmo.

«Ti ha fatto male?» volli sapere, ma lui grugnì scrollando piano il capo.

«Se avesse voluto me ne avrebbe fatto sul serio, sì,» rispose tornando ad aprire l’occhio. «James è tremendamente sadico e crudele quando vuole esserlo.»

Rabbrividii cercando di far combaciare l’immagine che avevo di Stevenson con quella nuova che iniziavo a intravedere di lui.

«Spero che riesca a trovare la pace,» mormorai, avvicinandomi al corpo di Leo per sentirne il calore. Il suo occhio brillò per un breve istante e mi afferrò la mano, ancora poggiata sulla sua guancia, per baciarmi il palmo.

«Lo spero anche io,» bisbigliò contro la mia pelle. «Deve solo trovare qualcuno di speciale, come io ho trovato te.»

Arrossii e premetti il capo contro il suo petto, l’immagine del volto arrossato di Christopher mi tornò in mente come un lampo, mi chiesi se sarebbe mai stato all’altezza di reggere il peso del passato di James e delle conseguenze che l’avevano trasformato in ciò che era diventato.

In lontananza, sentii i passi di Julie avvicinarsi e mi staccai dal corpo di Leo con immensa tristezza. Lui sorrise chinandosi per rubarmi un bacio fugace sull’uscio.

«Ci vediamo giù,» promise, poi si incamminò per il corridoio proprio mentre Julie arrivava in cima alle scale e avanzava rapida nel corridoio; quando i due si incontrarono, Leo la fermò per bisbigliarle qualcosa, a causa della distanza e del volume troppo basso della voce di Leo non capii cosa le stesse dicendo ma, dal modo in cui Julie sollevò lo sguardo per guardarmi, intuii che ero io l’argomento della conversazione. La ragazza annuì energicamente e riprese poi a camminare verso di me, mentre Leo spariva giù per le scale senza più voltarsi indietro, quando lei raggiunse la stanza mi salutò con un breve inchino, io mi feci da parte per farla entrare e chiusi la porta alle nostre spalle.

Julie mi sorrise guardandosi attorno timidamente.

«Mi spiace, Abigail non è potuta salire purtroppo, con tutti questi ospiti in casa siamo un po’ a corto di personale e quindi…»

Scossi la testa avvicinandomi a lei.

«Non importa, Julie, tranquilla.» Sorrisi indicandole la cabina armadio. «Mi aiuti a scegliere un vestito per stasera?»

Il volto della ragazza si illuminò felice e annuì entusiasta, correndo verso le ante e spalancandole con impeto. Sorrisi seguendola, pronta più che mai a scegliere un abito magnifico che avrebbe fatto sfigurare qualsiasi indumento avesse deciso di indossare mia madre quella sera e che, soprattutto, avrebbe fatto brillare nuovamente d’orgoglio il volto del mio Signore.

 

Alla fine, dopo un attento scrutinio da parte di entrambe, la scelta ricadde su un abito nero a maniche corte con uno scollo a cuore, l’abito era interamente cosparso di gemme di vario colore e, anche se dubitavo fortemente che fossero pietre vere, l’effetto che facevano esposte alla luce, era meraviglioso. Sembrava quasi di indossare un cielo stellato.

«È davvero bellissimo,» commentò Julie estasiata, carezzandolo piano con dita delicate, annuii concordando con lei.

«Peccato non avere nessun gioiello da abbinarci.» Sospirai mentre andavo verso il catino per darmi una rinfrescata, Julie ridacchiò e io la guardai, corrucciata.

«A tal proposito,» intervenne avvicinandosi per aiutarmi, «Leo mi ha chiesto di dirle che più tardi, prima di cena, vuole incontrarvi in biblioteca, pare voglia regalarvi qualcosa di speciale.»

Subito, la mia mano volò verso il mio collo nudo, stringendosi leggermente attorno a esso. Socchiusi le labbra, felice e speranzosa, il cuore che batteva furiosamente alla sola idea di ciò che potesse essere quel suo dono.

«Tu sai cos’è, Julie, vero?» dissi, visto come aveva reagito alle mie parole, la ragazza sorrise, sollevando però le spalle.

«Forse,» ammise sorridendo giocosa e io sentii il cuore scalpitare, impaziente. Avrei voluto riempirla di domande per riuscire a estorcerle quell’informazione, ma allo stesso tempo, non volevo rovinarmi la sorpresa nel momento in cui mi sarei trovata da sola con Leo, quindi mi morsi l’interno della guancia per costringermi a tacere e resistere il tempo sufficiente per finire di prepararmi, così da poter poi correre al piano di sotto da Leo.

 

Julie mi aiutò a fare il bagno e vestirmi, poi mi acconciò i capelli, li aveva fermati e sollevati da un solo lato, lasciandomeli cadere sciolti tutti sulla spalla sinistra, accuratamente acconciati così da sembrare tanti bei boccoli perfetti, invece del disordinato nido di rondini che solitamente sembravo portare in testa.

«Siete splendida,» mi lodò la ragazza mentre uscivamo insieme dalla stanza, io arrossii aspettando che avesse chiuso la porta per incamminarmi con lei lungo il corridoio.

«Grazie Julie, credi che…?»

Lei mi sorrise furbescamente.

«Piacerete moltissimo a Leo, non temete,» rispose prima ancora che potessi terminare la frase, arrossii ancora di più chinando il capo e guardando il mio seno stretto nella scollatura che lo stringeva e sollevava facendolo sembrare ancora più grande di quanto già non fosse di suo.

«Sono così palese?» chiesi mentre scendevamo le scale dirette in biblioteca, lei annuì continuando a sorridere.

«Diciamo che per nessuno in casa sarebbe stato un mistero anche se non l’avessimo saputo ben prima del vostro arrivo.» Mi guardò con le labbra che continuavano ad allargarsi per la felicità. «Non prendetevela a male, solo che in generale è molto difficile capire cosa vi passa per la testa, ma… quando pensate a Leo o quando Leo è nella stanza… il vostro volto cambia.» Tacque un istante, riflettendo su come spiegare ciò che voleva dirmi. «Come se in una stanza sempre buia qualcuno improvvisamente accendesse una luce e allora si riuscisse a vedere tutto ciò che contiene.»

Strinsi le labbra sorridendo, mentre ci avvicinavamo alle porte doppie della biblioteca, felice che finalmente Julie si sentisse tanto a suo agio con me da parlarmi con una simile familiarità.

«Capisco,» assentii, con la mente in subbuglio per ciò che stava per succedere.

Julie mi accompagnò fin davanti alla porta, poi si congedò da me con un inchino e andò via. Inspirai profondamente chiudendo gli occhi, la mano stretta attorno alla maniglia della porta, quello era l’ultimo momento in cui avrei potuto ripensarci, l’ultimo momento in cui avrei potuto girare i tacchi e ritornare in camera. Mia madre in fondo non sarebbe andata da nessuna parte, no? Potevo affrontarla un altro giorno, quando mi sarei sentita più in forze, magari. Quando non avrei avuto altri pensieri per la testa che non comprendessero assassini che mi davano la caccia. Potevo scappare e rifugiarmi sotto il letto, nel mio posticino sicuro dove niente mi avrebbe fatto male. Leo avrebbe capito, ne ero certa, non mi avrebbe costretta a fare niente che non volessi e, anche se lo avesse fatto, avevo comunque la mia parola di sicurezza per fermarlo. Potevo andarmene, non ero costretta ad affrontare quel mostro, non quella sera.

Presi una lunga boccata d’aria, stringendo con più forza la maniglia tra le dita ora pallide.

Ripensai alle parole di Leo, alle sue occhiate preoccupate, ai suoi baci, le sue carezze. Lui era dall’altra parte, mi aspettava pazientemente. Sapeva che ero dietro la porta eppure rimaneva silenziosamente in attesa di scoprire quale sarebbe stata la mia decisione definitiva. Niente pressioni, niente ordini, silenzioso aspettava di scoprire se mi sarei fidata abbastanza di lui da abbassare quella maniglia.

Aprii gli occhi, le gambe mi tremavano terribilmente, i palmi sudati, il respiro corto.

Non avrei permesso alla paura di controllarmi, quello era un compito che spettava solo al mio Signore.

Abbassai la maniglia e varcai la soglia.


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