Capitolo 50
Guardai
sconvolta le ragazze.
Julie
cercò di alleggerire l’atmosfera che si era creata sorridendomi debolmente.
«Purtroppo,
la signora Patrick come vi abbiamo raccontato non è più in sé, ma… loro ormai
hanno imparato a convivere anche con questa sua particolarità. Lo sapete anche
voi, ci ridiamo tutti bonariamente su.»
«Ma
non mi sembra comunque giusto ridere su una cosa così,» dichiarai guardando le
due ragazze.
Abigail
scrollò le spalle. «Lei è la prima a farlo, vuole che si rida, vuole che il
marito e i figli siano felici.»
Julie
posò una mano sulla spalla dell’altra ragazza che le sorrise desolata tornando
poi a guardarmi.
«Ma
così non crea l’effetto opposto? Non pensa che la sua famiglia vedendola in
quello stato possa soffrire poiché ricorda a tutti quanti perché si comporta
così?»
«Non
saprei, credo sia il loro modo di espiare le colpe che sentono di avere, o per
esorcizzare in qualche modo il dolore. Come vi abbiamo già detto in passato,
ognuno ha un proprio equilibrio e se per loro quello funziona, anche se nessuno
di noi riesce pienamente a capirli, dobbiamo rispettare la loro decisione.»
Mi
accigliai, certamente la famiglia Patrick era molto più misteriosa e complicata
di quanto non avessi immaginato inizialmente, con quelle nuove informazioni ero
molto più curiosa di conoscerli, ma allo stesso tempo una parte di me temeva di
farlo.
Rimanemmo
in silenzio per alcuni secondi, poi Stevenson bussò portando con sé il vassoio
con la mia colazione.
Le
ragazze si inchinarono e uscirono, lasciandomi sola col maggiordomo, lui mi
sorrise mentre apparecchiava la scrivania di Leo per permettermi di mangiare.
«Vi
sentite meglio oggi?» domandò e, in qualche modo, capii che non si stava
riferendo solo alla mia forma fisica. Annuii alzandomi per raggiungere la
grande sedia dietro il tavolo.
«Io
e Leo abbiamo parlato.»
L’uomo
chinò lievemente il capo, palesemente compiaciuto di quella notizia.
«Sono
felice che le cose si siano sistemate,» dichiarò regalandomi un sorriso
caloroso, cercai di restituirglielo senza però riuscirci pienamente; stavano
succedendo così tante cose nella mia vita, avevo ricevuto così tante
informazioni nell’arco di così poco tempo da sentirmi molto confusa.
«È
successo qualcosa?» s’informò mentre mi versava una tazza di tè. Scrollai le
spalle afferrando un biscotto di Lewis e infilandomelo tutto in bocca, non
sapendo proprio cosa rispondergli in quel momento.
«È
per quello che ci siamo detti ieri?» volle sapere, io sollevai lo sguardo sul
suo volto pensieroso e allungai le mani iniziando a gesticolare freneticamente.
«Oh
no, no,» iniziai quasi strozzandomi con una briciola del biscotto, che per la
foga nel rispondergli mi era finita di traverso, tossicchiai un paio di volte e
bevvi un sorso di tè caldo. «Dicevo,» ripresi quando mi fui calmata, «non
c’entra niente, anzi, le tue parole ci hanno aiutati a chiarirci.»
Lui
grugnì osservandomi attentamente sperando forse di intravedere della menzogna
nei miei occhi.
«Davvero,»
riprovai sorridendo, «sono solo turbata per questa storia dell’assassino.»
Stevenson
storse la bocca distogliendo lo sguardo.
«Già,
quello stronzo,» mormorò guardando il bosco dalla finestra alle mie spalle.
«Abigail
e Julie mi stavano raccontando che Leo è stato ingaggiato per trovarlo… dopo
l’omicidio della figlia dei Patrick.»
L’uomo
inclinò leggermente il capo in segno affermativo.
«Non
capisco cosa possa spingere qualcuno a comportarsi in una simile maniera, quale
mostro devi essere per prendertela con delle ragazzine? A che scopo?» scosse la
testa. «Quello che mi fa più rabbia è il pensiero che potrebbe anche non
esserci un motivo.»
Addentai
un altro biscotto, osservando attentamente l’uomo davanti a me, sperando che
aggiungesse altro.
«Ieri
notte, quando Leo mi ha mandato a chiamare,» disse spostando lo sguardo sul
cibo che avevo davanti, «sinceramente non credevo alle sue parole, come ho già
detto a lui, c’è più di un individuo attualmente sotto questo tetto che
potrebbe considerarsi un maniaco capace di infastidirvi. Mi sembrava sciocco
additare subito il colpevole come l’uomo a cui diamo la caccia ormai da così
tanto tempo.» Abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe lucide, poi tornò
a sollevare il capo incrociando il mio sguardo. «Ma stamattina sono dovuto
entrare in camera vostra attraverso il passaggio segreto. Ho dovuto farlo per
sbloccare la porta e permettere così alle ragazze di recuperare il necessario
da portarvi su.»
Si
mosse, sciogliendo le mani dalla rigida posa incrociata dietro la schiena in
cui era solito tenerle e si scostò un lembo della giacca scura della divisa,
infilando poi la mano nel taschino interno. «C’erano questi appoggiati sul
vostro comodino,» mormorò, tirando fuori i miei vecchi occhiali e poggiandoli
sul tavolo.
Sgranai
gli occhi portandomi una mano sulla bocca e fissando sconvolta quelle piccole
lenti ora spaccate da un lato.
«Questa
cosa devo ancora riferirla a Leo,» mi informò lui tornando a incrociare le
braccia dietro la schiena, «ma vista la gravità della situazione, volevo
avvisarti.»
Annuii,
spostando il mio sguardo ancora sconvolto su di lui.
«Come
faceva a sapere del passaggio segreto?» chiesi, ricordandomi fin troppo bene il
terrore provato quando mi ero resa conto di non essere sola in quel corridoio
scuro. «Come faceva a sapere che c’era più di un modo per arrivare in camera
mia?»
Lo
vidi serrare la mascella e inspirare profondamente.
«Il
problema di queste domande,» iniziò con tono di voce moderato, «è che possono
avere più di una risposta e per ognuna, differenti persone in questa casa
potrebbero risultare colpevoli.»
Indicò
con un cenno del capo il passaggio segreto alle sue spalle, ormai bloccato.
«Posso
dirti che nessuno a esclusione di noi conosce quei passaggi che si snodano per
tutta casa. Perché io so che è così, ma allora l’assassino dovrebbe per forza
essere uno di noi. Potrebbe anche darsi che chiunque sia abbia scoperto da solo
i passaggi segreti o, l’ipotesi peggiore, che qualcuno di interno alla casa
glieli abbia rivelati, aiutandolo quindi a mettere in atto il suo piano.»
Nessuna
di quelle ipotesi mi piaceva o mi sembrava plausibile, ma doveva per forza
essere andata in uno di quei modi, il che implicava che nel peggiore dei casi,
c’erano un assassino e un traditore in casa, inoltre se avevo interpretato bene
lo sguardo del maggiordomo, era proprio quello che temeva anche lui.
«Come
arrivare alla verità?» domandai, seriamente intenzionata ad aiutare.
L’uomo
scrollò le spalle mestamente. «Non credo di essere la persona più adatta per
questo genere di discorsi, forse dovreste parlarne con vostro padre e con Leo.»
Giusto,
mio padre, lui era quello che aveva indagato per primo sulla faccenda, lui era
la persona analitica che mi serviva in quel momento per riuscire a scoprire di
più su quella faccenda.
Ringraziai
Stevenson e continuai a mangiare la mia colazione, persa nei miei pensieri.
Avevo tremendamente paura di essere finita nelle mire di un qualche folle
assassino, ma allo stesso tempo, ero anche estremamente curiosa. La mia mente
lavorava freneticamente nel disperato tentativo di rimettere assieme i pezzi
della storia che avevo già appreso da tempo, quando ancora non immaginavo che
quel fatto tanto macabro mi avrebbe poi riguardato personalmente.
Finita
la colazione mi feci scortare al piano di sotto, per riprendere il giro di
visite, in cuor mio desideravo solo sbrigare la faccenda al più presto, così da
poter correre a cercare mio padre per avere maggiori informazioni sulla
faccenda.
Dopo
che mi fui avvolta per bene sotto la coperta, nonostante facesse già molto
caldo a causa del sole che batteva fuori dalla finestra, Stevenson fece
accomodare subito il primo ospite.
Andrew
varcò quindi la soglia seguito a passo svelto da Mikhail e io sospirai di gioia
vedendo loro e non qualche sconosciuto o presunto amico con cui avrei dovuto
solo fingere cortesia.
«Drew!»
esclamai, sinceramente felice di vederlo, lui sorrise radioso avvicinandosi per
abbracciarmi contro ogni decenza.
«Desy!»
rispose al saluto, accomodandosi allegramente accanto a me, mentre Mikhail ci
scrutava torvo, spostai il mio sguardo su di lui e gli sorrisi.
«Signor
Mikhail…» iniziai perché non conoscevo il suo cognome, «buongiorno… e grazie
ancora.»
L’uomo
assottigliò lo sguardo e chinò bruscamente il capo, allontanandosi per andarsi
a posizionare vicino alla finestra, proprio alle nostre spalle.
Andrew
mi fece un sorriso tremulo lanciando un’occhiata rapida alle sue spalle.
«Sì,
scusalo, Mikhail non è molto cordiale.»
Scossi
il capo sentendo gli occhi del maggiordomo puntati su di noi.
«Non
fa niente, piuttosto mi dispiace per quello che è successo quella sera.»
L’espressione
di Andrew divenne gentile, poggiò una mano sulle mie, che tenevo intrecciate
grembo, e le strinse piano.
«Non
devi dispiacerti, è normale e… lo capisco se non vorrai più avere niente a che
fare con me.»
Sbattei
le palpebre incredula. «Perché dovrei volere una cosa simile?»
«Perché
ho chiesto a Leo di far uccidere mio fratello.»
I
suoi occhi erano divenuti improvvisamente freddi e tristi, voltai leggermente
il capo per osservare l’uomo che ci teneva d’occhio, ma lui aveva in volto la
stessa espressione impassibile di sempre.
«Tu
mi hai già spiegato i motivi che ti hanno portato a prendere quella decisione,»
tornai a guardarlo, «e non sono così ingenua da giudicarti a prescindere, solo
per il gesto in sé.» Chinai il capo sulle nostre mani. «Credo tu sappia, grazie
a Leo e a quello che è successo al ballo, che genere di madre mi ritrovo ed
ecco, io… onestamente non so cosa farei se mi venisse offerta la stessa
possibilità.»
La
presa delle sue dita si fece ancora più serrata attorno alle mie mani, sciolsi quell’intreccio
per potergli restituire la stretta, così da comunicargli con quel piccolo gesto
tutto il supporto che lui stava cercando di comunicare a me.
«Le
cose sarebbero potute andare diversamente,» mormorò dopo un lungo minuto di silenzio,
«ti ho raccontato del mio bisnonno William, di come fosse diverso da tutti gli
altri Kerr.»
Feci
un lieve cenno col capo per fargli intendere che ricordavo molto bene la nostra
conversazione sul suo antenato. Drew stirò gli angoli della bocca in un debole
sorriso.
«Era
diverso perché fu il primo della nostra famiglia a diventare un pirata.»
Sgranai
gli occhi fissandolo stupita e lui ridacchiò scrollando il capo.
«Lo
so, è folle che un nobile intraprendesse quella vita, ma a William non piaceva
la vita in panciolle, voleva vivere sul serio, vedere il mondo. Quando nacque
mio nonno, erano trascorsi anni e William si era fatto un nome nel mondo nero
della pirateria.» Gli scappò un sospiro lieve. «Mio nonno mi raccontava sempre
che fu grazie alla sua nascita che il bisnonno si ravvide; che il puro
desiderio di vivere fregandosene delle conseguenze, nato lui, si trasformò in
quello di sfruttare il potere e l’influenza che aveva ottenuto nel corso degli
anni per proteggere lui e la bisnonna.» Chinò il capo per fissare i delicati
ghirigori del tappeto sotto di noi. «Ma il mondo della pirateria è spietato. Se
si fosse semplicemente ritirato, se fosse tornato a casa, qualcuno sarebbe
senza dubbio tornato a cercarlo per vendicarsi di qualche antico rancore,
quindi scelse di andarsene, scelse di riprendere il mare e sparire.» Per
qualche momento Drew tacque, cercando di trovare le parole giuste per
raccontarmi il resto della storia. «Mio nonno ha passato la vita a cercarlo, ma
per farlo non poteva ovviamente ricorrere ai classici metodi, quindi anche lui
si diede all’illegalità, facendo amicizia con canaglie della peggior specie,
sperando che qualcuno avesse delle informazioni su suo padre.» Tornò a voltarsi
verso di me, sorridendomi con malinconia. «Come puoi immaginare, il mondo dei
bassifondi è veramente tetro, nessuno fa niente o ti dà informazioni se non può
ottenere qualcosa in cambio, quindi ben presto mio nonno si trovò a farsi molti
amici risolvendo situazioni spinose per loro, più la sua cerchia di amici si
allargava, più il potere di mio nonno cresceva.»
Aggrottai
la fronte, una domanda che mi girava per la testa che però preferii non fare,
lasciandogli il tempo di concludere la sua storia.
«Come
puoi ben immaginare, nonostante l’influenza e il potere che mio nonno aveva
accumulato scavando nei bassifondi, non riuscì mai a trovare nessuno che
sapesse dirgli che fine avesse fatto suo padre e quando poi nacque il mio di
padre, semplicemente decise di arrendersi. Aveva dedicato tutta la sua vita a
sporcarsi le mani per poter conoscere un uomo che ricordava solo che vagamente.
Per lui era arrivato il momento di godersi il frutto di tanti sforzi e di
crescere suo figlio al meglio delle sue possibilità.» Con quel sorriso triste,
scosse piano il capo. «Ma quando sei il capo di un impero così grande, non puoi
semplicemente andartene. La gente contava su di lui, necessitava del suo aiuto
e in quel momento mio nonno capì come si fosse sentito suo padre quando aveva
preso la decisione di andarsene. Ma c’era una differenza sostanziale tra loro
due, lui non avrebbe lasciato moglie e figlio, avrebbe fatto funzionare
entrambi gli aspetti della sua vita. In quegli anni ci credeva davvero e per un
po’ fu sul serio così, addirittura iniziò a istruire mio padre, così che un
giorno potesse prendere il suo posto.»
Mi
chinai in avanti, cercando di incontrare il suo sguardo.
«Poi
cosa successe?»
Drew
sospirò ancora, voltando il capo verso di me.
«Mia
nonna venne uccisa, fu una tragica notte quella che segnò profondamente tutti
quanti.»
La
mia presa attorno alla sua mano si serrò ancora di più, Drew arricciò
debolmente l’angolo della bocca per ringraziarmi.
«Fu
ovviamente tutto causato da un terribile incidente, ma mio padre non perdonò
mai il nonno, lo rinnegò e giurò che non avrebbe mai preso il suo posto. Nonno
ha sempre rispettato la decisione di papà, però ormai c’erano troppe persone
che si fidavano e contavano su di lui, non poteva rischiare che andasse tutto
perduto.»
«Quindi
il nuovo successore divenne mio nonno.»
Diedi
voce ai miei pensieri, Andrew mi sorrise flebilmente.
«Esattamente,
tra vostro nonno e mio padre non correva molta differenza di età, credo giusto
una decina d’anni, ma in lui mio nonno aveva intravisto tutto quello che non
riusciva più a scorgere in papà. Per mio nonno, Gregory fu quasi un secondo
figlio e, dato che vostro nonno la pensava come lui, dedicò i suoi ultimi anni
di vita a istruirlo al meglio delle sue possibilità. Quando morì però, sebbene
vostro nonno fosse pronto a mettersi all’opera per aiutare chi ne avesse
bisogno, per immergersi in quel mondo disgraziato, nessuno si fidava veramente
di lui. Era un esterno, qualcuno che era appena arrivato, non lo vedevano come
il capo che era stato mio nonno per tanti anni, ma solo come un usurpatore che
alla prima occasione li avrebbe pugnalati alle spalle. Vostro nonno quindi si
trovò da solo senza una rete di amicizie di cui fidarsi, ma allo stesso tempo
sommerso da tutti quegli incarichi lasciati in sospeso dal suo predecessore.»
«E
chiese aiuto al padre di mia madre,» conclusi con un sospiro, lasciandomi
cadere contro lo schienale del divanetto, Andrew mi imitò e rimanemmo a
fissarci in silenzio per lunghi istanti.
«Se
le cose fossero andate diversamente,» bisbigliò con gli occhi lucidi, «mio
padre non avrebbe odiato così tanto mio nonno. Il suo odio non si sarebbe
trasmesso involontariamente a mio fratello, che da questa storia ha sempre e
solo carpito il peggio, convincendosi nel profondo di sé che era giusto
esercitare il potere della nostra famiglia per fare quel che gli pareva.»
Cercai
di sorridere per alleggerire un po’ la tensione nell’aria.
«Non
possiamo cambiare il passato, ma alla fine se tutta questa catena di eventi non
fosse avvenuta, noi non saremmo qui adesso e mi sarebbe dispiaciuto molto non
aver mai avuto l’occasione di conoscerti, Drew.»
Il
sorriso tornò a splendere sul suo volto. «Davvero?»
Ridacchiai
annuendo.
«Certo,
sei mio amico e il massimo esperto di fiori di tutta la contea, se non
addirittura di tutto il paese, non potrei chiedere di meglio.»
Buttò
fuori un po’ il petto, in un gesto che voleva scimmiottare gli atteggiamenti di
Christopher.
«In
effetti, hai perfettamente ragione, sono il migliore.»
Scoppiammo
a ridere divertiti, il momento di pesantezza ormai passato. Mi sporsi per
prendere uno dei dolcetti poggiati sul tavolino.
«Ne
vuoi uno?»
I
suoi occhi brillarono e annuì, iniziando a chinarsi per afferrarli ma, in quel
momento dietro di noi, Mikhail si schiarì la voce e nello stesso istante Andrew
si fermò.
«Forse
più tardi.»
Si
corresse, scusandosi con un sorriso aspro e tornando a sedersi compostamente
sul divanetto.
Assentii
e mi chinai verso il tavolino per cercare di nascondere il sorriso che mi stava
spuntando sulle labbra.
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Prossimo capitolo (in arrivo il 16 ottobre)
Stevenson è un altro dei miei probabili assassini, ma anche lui è troppo scontato. Si sa che l'assassino è sempre il maggiordomo 😂😂😂
RispondiEliminaComunque, il capitolo è bellissimo!
Ahahah esatto! Il maggiordomo in biblioteca col candelabro, elementare! 🤣
EliminaE grazie mille, come sempre ❤