Capitolo 44
Sbattei
le palpebre, sorpresa. «Papà è… il capo?»
Leo
annuì, sospirando piano. «Già, è lui che decide, è lui che indaga. Noi siamo
solo strumenti nelle sue mani.» Ridacchiò, come se quell’idea lo divertisse moltissimo.
«Lui è nato per comandare e io per ammazzare, sembra quasi fatto apposta.»
Poi
una terza voce disse: «Ma papà ha sempre voluto che lavorassimo assieme.»
Sussultai
e mi voltai di scatto, alla fine mio padre si era svegliato e ci guardava
entrambi con la fronte ancora terribilmente aggrottata.
«Anche
questo è vero,» concordò Leo sistemandosi meglio sul letto. «Nostro padre ha
sempre voluto che tra di noi ci fosse collaborazione, che ci supportassimo e
aiutassimo. I punti di forza di uno dovevano compensare quelli deboli
dell’altro e viceversa.»
Ero
frastornata, mi erano state dette così tante cose in così poco tempo che la mia
mente faticava ad assimilarle tutte. In quello stesso momento, il mio stomaco
pensò bene di farsi sentire, emettendo un cupo borbottio perfettamente udibile
da tutti i presenti, Leo sorrise sporgendosi per baciarmi la fronte.
«Vado
a vedere se Lewis ha preparato la zuppa,» mi informò alzandosi dal letto e
lanciando un’occhiata penetrante a mio padre. «Torno subito,» asserì prima di
uscire dalla stanza, lasciandoci soli.
Guardai
mio padre con il cuore che mi batteva furiosamente, lui sollevò
impercettibilmente l’angolo della bocca, quasi stesse sorridendo.
«Tu
e Leo…?»
Non
c’era bisogno che terminasse la frase, sapevo perfettamente cosa voleva
chiedermi e sentii una lieve ondata di panico invadermi, ma il mio corpo era
troppo spossato, troppo debilitato dalla malattia per prendere davvero sul
serio quell’avvertimento. Non avevo le forze per sopportare quella discussione
ma, se davvero mio padre voleva parlarne in quel momento, non mi sarei tirata
indietro, non quella volta.
«Lo
amo, papà,» dichiarai fissandolo dritto negli occhi. Lui abbassò lo sguardo
sulle sue mani giunte in grembo e annuì molto lentamente.
«Francamente,
non mi piace questa cosa,» sostenne serio continuando a fissarsi le dita, «non
solo è mio fratello, c’è anche una grossa differenza d’età.»
Quello
non mi sembrava un problema, nelle mie stagioni in società avevo visto molte giovani
sposare ricchi ma decrepiti uomini, in cerca della loro terza o quarta moglie
in grado di fornirgli un erede; potevano esserci tante cose sbagliate nel
nostro rapporto, ma non avrei mai annoverato tra esse la differenza d’età.
«Ho
sempre pensato di vederti felicemente sposata con qualcuno come te…» mormorò
lui, con il tono tipico di chi stava parlando più con se stesso che con il
proprio interlocutore, «qualcuno di dolce e gentile, qualcuno con cui poter
invecchiare insieme e mettere su famiglia, qualcuno che ti meritasse.» Rise,
scuotendo la testa e tornando a puntare i suoi occhi grigi su di me. «Ma
nessuno sarà mai abbastanza meritevole ai miei occhi, credo che sia una
prerogativa dell’essere padre, giusto?»
Gli
occhi mi si riempirono di lacrime, annuii e strisciai con le poche forze che
avevo verso il bordo del letto, verso di lui. Mio padre sorrise allungando una
mano per posarmela sulla fronte.
«Sicuramente
mio fratello non sarebbe mai stato l’uomo che avrei visto al tuo fianco ma, se
davvero lo ami, se ti rende felice, immagino che dovrò farmene una ragione e
accettarlo.» I suoi occhi si incupirono. «So bene cosa significa amare qualcuno
ed essere costretti a nasconderlo.»
Lo
guardai sbattendo velocemente le palpebre per scacciare le lacrime e
permettermi di vedere meglio. «Leo mi rende migliore, papà.»
Lui
rise, carezzandomi la nuca con le lunghe dita.
«Già,
mi ha raccontato cos’è successo con tua madre durante la festa,» sorrise
teneramente, «sono così orgoglioso di te.»
Bastò
quello per farmi scoppiare a piangere, allungai le mani tremanti per cercare il
suo corpo, subito lo sentii chinarsi su di me e avvolgermi in un dolce
abbraccio. Piansi nella sua stretta confortevole, finché non sentii la porta
aprirsi e i passi di Leo rientrare nella stanza. Voltai leggermente il capo per
guardarlo, ancora tra le braccia di mio padre.
«Che
succede?» volle sapere, avanzando con un vassoio pieno tra le mani, avvertii
mio padre muoversi sopra di me.
«Abbiamo
parlato,» rispose, tenendomi ancora tra le braccia, Leo sbuffò poggiando il
vassoio sul tavolo e avvicinandosi al letto.
«Vi
lascio soli cinque minuti e quando torno piangono tutti,» borbottò sedendosi
sul letto accanto a me. Tirai su col naso sollevandomi impercettibilmente, possibile
che anche mio padre…? Quando vidi i suoi occhi lucidi, per poco non venni
soverchiata da una nuova ondata di lacrime.
Papà
mi passò un fazzoletto dalla sua giacca e io lo accettai con un sorriso.
«Adesso,»
mormorò lui con voce roca guardando il fratello, «di norma, dovrei
schiaffeggiarti con un guanto e sfidarti a duello per ciò che hai fatto a mia
figlia.»
Trattenni
il fiato, guardando i due occhieggiarsi seri.
«Cosa
le ho fatto?» chiese Leo, sprezzante. «L’ho resa una donna libera?»
«Hai
sedotto una ragazzina, tua nipote.»
«Papà,»
mi intromisi spostandomi vicino Leo, «hai detto che ci avresti accettato.»
Lui
aggrottò le sopracciglia, guardando prima me, poi il fratello.
«Ma
non ho detto che l’avrei accettato fin da subito,» rispose serio, «e poi resta
comunque mio fratello.»
Leo
sorrise carezzandomi la nuca.
«Già,
deve farmela pagare in qualche modo.» Dopo avermi dato un’ultima carezza, si
sollevò per andare a recuperare il vassoio. «C’è del cibo anche per te,»
dichiarò Leo guardando mio padre e appoggiando il vassoio sul letto mentre io
tornavo a stendermi sui cuscini.
Fece
per avvicinarsi e assicurarsi che riuscissi a tenere tra le mani la ciotola
della zuppa, quando sentii Stevenson bussare alla porta.
L’uomo
entrò con lo sguardo tetro e lanciò un’occhiata penetrante a Leo.
«Dovresti
scendere… adesso.»
Leo
storse la bocca, guardando mio padre.
«Assicurati
che mangi a sufficienza,» sentenziò burbero, poi si affrettò a raggiungere il
maggiordomo e insieme uscirono, lasciandoci di nuovo soli. Lui scrutò
pensieroso la porta per qualche istante, poi con un sospiro tornò a voltarsi
verso di me.
Iniziammo
a mangiare in un silenzio rotto solo dal rumore delle posate che tintinnavano
sui piatti.
Ero
preoccupata per il modo frettoloso e serio in cui Stevenson era venuto a
chiamare Leo, perché non prometteva niente di buono, ma il piacevole calore
della zuppa che scendeva dolcemente lungo la mia gola fino alla pancia, mi
rendeva troppo sonnolenta, gli strascichi della malattia troppo inerte, me ne
sarei preoccupata quando e se fossi stata costretta a sbatterci contro la
faccia. Come succedeva sempre.
«Te
l’ha regalata lui quella?»
La
voce di mio padre mi riportò alla realtà, mi toccai distrattamente il collo,
dove c’era ancora la mia collana, mi ero così abituata alla sensazione di
averla attorno al collo che me ne ero quasi dimenticata. Annuii portandomi alle
labbra il cucchiaio per non essere costretta a rispondergli in modo più
articolato, anche se gli ero grata per la sua comprensione, parlare di quel
lato della mia vita era troppo imbarazzante, specie se dovevo farlo con lui.
Lui
storse leggermente la bocca, senza commentare. Non sapevo se capiva quale fosse
il vero significato della collana, non sapevo se Leo gli avesse mai parlato di
quella parte del suo carattere, mi metteva in difficoltà sentire i suoi occhi
scrutarmi in quel modo mentre ero rosa dal dubbio.
«Lucas
dov’è?» chiesi, cercando di cambiare argomento.
Papà
sorrise mettendosi in bocca un pezzo di carne. «Di sotto,» rispose dopo aver
ingoiato, «è molto preoccupato per te, ma non riteneva opportuno vegliarti come
abbiamo fatto io e Leo.» Scosse la testa, come se non capisse affatto il modo
di pensare del compagno.
«Papà…»
lo chiamai, «tu, ecco, hai sempre saputo che… ecco… le donne non ti
interessavano?»
Lui
aggrottò le sopracciglia, pensieroso, staccò con le mani un altro pezzo di pane
e se lo mise in bocca, masticando lentamente.
«In
verità,» dichiarò poi, «a me non interessa niente.» Mi guardò, bevendo un sorso
d’acqua. «Non so se ha un qualche senso per te, ma non sono mai stato attratto
da alcun genere in sé.»
Aggrottai
a mia volta le sopracciglia. «E Lucas allora?»
Lui
annuì solennemente asciugandosi le labbra.
«Io
amo lui, perché è Lucas. Non mi è mai importato niente di cosa avesse o non
avesse in mezzo alle gambe.»
Mi
studiò con attenzione, aspettando di vedere se capissi o meno ciò che stava
cercando di dirmi.
«Quindi…»
iniziai riflettendo, «tu l’avresti amato anche se fosse stato una donna? Perché
non ami il suo corpo, ma il suo spirito?»
Lui
ridacchiò, allontanando il piatto e pulendosi le mani.
«Diciamo
che è un modo molto poetico di vedere la cosa, ma grossomodo sì, è così.»
«Io
ho amato Leo prima ancora di vedere il suo aspetto,» iniziai incapace di
fermarmi, «avrebbe potuto avere qualsiasi forma o essere chiunque, ma l’avrei
comunque amato.»
Questa
volta fui io a fermarmi, aspettando e sperando che capisse ciò che cercavo di
comunicargli, che le mie parole lo aiutassero in qualche modo ad accettare ciò
che c’era tra me e suo fratello.
Rimase
fermo per molti minuti, poi, semplicemente annuì.
«Immagino
che fosse inevitabile,» mormorò alla fine sorridendomi flebilmente, «dopotutto,
sei mia figlia.»
Leo
tornò su qualche minuto dopo assieme a Stevenson che, silenzioso, si aggirò per
la stanza per recuperare gli avanzi del nostro pasto.
«Sono
contento di vedervi sveglia,» mormorò quando gli passai il mio piatto e
sorrisi, ormai troppo addormentata per trovare la forza per ringraziarlo a
parole.
«È
successo qualcosa?» volle sapere mio padre appena il maggiordomo fu uscito
dalla stanza. Leo sospirò, venendosi a sedere accanto a me sulla sua parte di
letto.
«A
quanto pare,» iniziò a metà tra l’arrabbiato e il divertito, «alcuni degli
invitati alla festa di Andrew hanno notato l’assenza improvvisa di Desdemona e,
quando sono andati a chiedere spiegazioni, lui ha pensato bene di dir loro che
si era ammalata.» Sollevò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. «Adesso al
piano di sotto abbiamo quasi una decina di ospiti che non hanno intenzione di
andarsene finché non si saranno accertati delle condizioni di tua figlia.»
Mio
padre mi guardò, la sua espressione a metà tra il divertito e il sorpreso.
«Hai
proprio fatto colpo a quella festa.»
Avrei
voluto rispondergli, avrei dovuto sentirmi intimorita dalla strana occhiata che
vidi scambiare ai due fratelli, ma il piacevole tepore della zuppa nello
stomaco unito alla stanchezza che mi aveva accompagnato fin dal mio risveglio,
mi costrinsero a chiudere definitivamente gli occhi. Qualsiasi altra cosa ci
fosse da scoprire, sarebbe stata sicuramente ancora lì al mio risveglio.
Il capitolo è molto bello, ma, sempre di più, penso che Desdemona non abbia legami di sangue con loro; il padre l'ha presa troppo bene, per essere così.
RispondiEliminaAh, ma guarda comunque Gregory non è tanto normale... ma in quella famiglia CHI LO è, mi chiedo io ahahahah
EliminaUna famiglia di matti 😂😂
EliminaEsattamente 🤣🤣🤣 Nel momento in cui li troverai a ballare sui tavoli cantando "un buon non compleannoooo" allora saprai che abbiamo toccato il fondo 🤣
Elimina😂😂😂😂😂
Elimina