Capitolo 43

 

Leo mi portò in camera sua, mi adagiò con delicatezza sulla poltrona di fronte al caminetto e si chinò per accendere il fuoco, nonostante fossimo ormai in estate. Quando le fiamme presero a scoppiettare vivaci, si allontanò lasciandomi a tremare davanti a quel bel fuoco e, quando tornò aveva tra le mani alcune camicie. Mi aiutò a sfilarmi di dosso gli abiti bagnati, mi asciugò delicatamente il corpo con la stoffa di uno di quegli indumenti, poi mi tamponò i capelli con un’altra. Di nuovo, mi sentii invadere da una profonda tristezza. Non meritavo quell’uomo, nonostante ciò che sapevo sul suo conto, non meritavo di essere trattata così gentilmente da quelle mani. Mi salirono le lacrime agli occhi e lui, quando si sollevò per aiutarmi a infilare la terza camicia, quella pulita, se ne accorse.

«Che hai?» bisbigliò, allungando una mano per carezzarmi la guancia. Tirai su col naso guardandogli il mento.

«Ti ho deluso, mi dispiace.»

Le lacrime iniziarono a scivolare più in fretta, singhiozzai con la gola che bruciava dolorosamente a ogni sobbalzo.

Lui mi asciugò le guance con le dita poi, gentilmente, mi fece avvicinare al suo petto, così che potessi appoggiarci il volto contro.

«Piccola, no, non è vero,» iniziò dolcemente, eppure io avevo visto la tristezza nei suoi occhi, quel lampo di delusione che gli aveva attraversato lo sguardo poco prima che io scappassi. «Non mi piace sapere che ancora adesso dubiti di me,» continuò più seriamente, «pensavo che dopo la nostra ultima conversazione tu avessi capito, o con tutto quello che c’è stato dopo. Ma se ancora senti il bisogno di scappare anche da me, evidentemente anche io ho sbagliato qualcosa con te.»

Sollevai debolmente le mani per carezzargli il mento.

«No,» gracchiai, «non hai sbagliato niente, Leo. È solo che in quei momenti, ho così tanta paura, così tanto bisogno di scappare, non so come poter cambiare questa cosa.» Chiusi gli occhi, nascondendo il volto contro il suo torace, e lui mi strinse nel suo tepore.

«Dovremo lavorarci insieme,» il suo voltò si chinò su di me, per sfiorarmi col naso la nuca coperta dalla camicia, «tu magari non te ne accorgi, ma sei già cresciuta molto da quando sei venuta a vivere qui.» Visto che io non gli rispondevo, perché dubitavo profondamente di quelle sue parole, lui continuò. «Avresti mai pensato, anche solo qualche mese fa, di riuscire a tenere testa a tua madre in una sala piena di persone?»

Scossi debolmente il capo. No, non mi sarei mai immaginata capace di un simile gesto, ma era stata una cosa così improvvisa, per puro istinto, da rendermi conto di esserne in grado solo mentre lo stavo effettivamente facendo.

«Ho agito d’impulso,» cercai di giustificarmi, stringendomi le mani sul ventre per riscaldarmi dal gelo che mi invadeva sempre più, nonostante il piacevole calore della stanza e del suo corpo.

«Ma l’hai fatto,» insisté lui, «ed è proprio su questo che dobbiamo lavorare, quando i tuoi sentimenti prendono il sopravvento, tu agisci d’istinto ma spesso arrivi a compiere gesti di cui poi ti penti.»

Annuii lasciando che mi passasse le mani attorno al corpo per sollevarmi, scortandomi verso il letto.

«Ora come ora, non posso fidarmi pienamente di te,» ripeté, infilandomi sotto le coperte, «ma vedo quanto tu ti stia impegnando per migliorare. Diciamo che la tua parte logica sa perfettamente come si deve comportare e riesce a eseguire gli ordini, finché continua a mantenere il controllo sul tuo corpo,» mi sistemò meglio i cuscini dietro la testa e mi accarezzò teneramente la fronte, «dobbiamo solo riuscire a farlo capire anche alla tua parte illogica.»

Assentii ancora, non sapevo come avesse intenzione di farlo, ma ero del tutto pronta a seguire le sue direttive.

«Leo?» lo chiamai, la voce già impastata dal sonno, lui si chinò in modo che i nostri volti potessero essere vicini. «Non mi importa che lavoro fai per vivere,» biascicai, allungano debolmente una mano da sotto le coperte per sfiorargli delicatamente l’occhio gonfio, «voglio solo starti accanto.»

Per un attimo, pensai di vedere il suo occhio appannarsi leggermente, mi afferrò la mano, portandosela alle labbra e ricoprendomi il palmo di baci.

«Uccidi davvero gli innocenti?» chiesi, gli occhi già socchiusi.

«Cerco di evitarlo, ma te lo spiegherò meglio quando ti sveglierai,» rispose, continuando a tenere stretta la mia mano, io sorrisi debolmente, certa che non potesse essere così tanto cattivo. Chiusi gli occhi stringendo la presa delle mie dita attorno alla sua mano, l’unico modo che avevo in quel momento per dirgli che non volevo essere lasciata sola.

 

Il tempo si distorse attorno a me. Non sapevo che ore fossero, né di che giorno. Non riuscivo ad aprire gli occhi ma sentivo rumori in lontananza, persone che parlavano, passi che entravano e uscivano dalla stanza. Qualcosa di freddo mi veniva appoggiato a intervalli regolari sulla fronte, poi c’era il sapore di intrugli disgustosi che mi costringevano a bere. Ero sempre così stanca e riuscivo a rimanere semicosciente solo per brevi intervalli, ricadendo subito tra le braccia di Morfeo. Per tutto il tempo, sia da sveglia che da addormentata, rimasi sempre consapevole della solida presenza di Leo accanto a me. Quando riprendevo i sensi, anche se non riuscivo ad aprire gli occhi, sapevo che lui era lì, avvertivo la sua presenza nella stanza anche senza bisogno della vista. Ignoravo chi fossero le altre persone, troppo scombussolata per riconoscerle, ma lui era sempre il primo di cui mi accorgevo. Era così bello, così rincuorante sapere che era lì a vegliare su di me, che potevo dormire sonni tranquilli perché ci sarebbe stato lui a prendersi cura di me.

Ma, per quanto Leo potesse proteggermi nella realtà, non poteva nulla contro gli incubi che mi assalivano. Vedevo oscuri mostri avvicinarsi al mio letto, le zanne insanguinate e gli artigli sporchi di fango raggrumato, cercavo di urlare, di scappare, ma le coperte mi tenevano saldamente ferma, la gola mi faceva troppo male, ero bloccata alla completa mercé della belva affamata. Intanto, mia madre rideva in lontananza e io osservavo orripilata quello strisciante demone farsi sempre più vicino, riuscivo quasi a percepire l’odore di morte che lo accompagnava, l’acidità fetida del suo alito. “Te lo meriti”, urlava mia madre dal fondo della stanza, guardandomi con occhi crudeli, “mi hai rovinato la vita.”

Aprii gli occhi scattando a sedere sul letto, madida di sudore; subito Leo corse verso di me, così come mio padre.

«Desdemona,» mi chiamò Leo, cercando di farmi stendere e poggiandomi una pezza bagnata sulla fronte, «calma, era solo un incubo.»

Annuii, ancora tremendamente scossa da quelle immagini, lanciai spaventata un’occhiata in fondo alla stanza, quasi temessi di trovarci sul serio mia madre o di vedere il mostro iniziare a strisciare verso di me.

«Come ti senti?» volle sapere mio padre, avvicinandosi serio e sedendosi sulla sedia accanto a me, io scrollai le spalle. Avevo la testa che mi pulsava, il naso tappato e la gola che mi doleva terribilmente, in più, ogni volta che respiravo sentivo uno strano dolore al petto.

«Sono stata meglio.»

Leo si spostò in modo da non stare in mezzo e fece il giro del letto, sedendosi nel posto vuoto accanto a me.

«Sei stata molto male,» mi informò mio padre aggrottando le sopracciglia, «hai la febbre da quasi una settimana.»

Mossi debolmente la testa, spostando il mio sguardo tra i due uomini, entrambi sembravano molto provati: Leo aveva una benda sull’occhio ferito e una profonda occhiaia sotto quello sano; mio padre era pallido, barba e capelli incolti, le occhiaie quasi più scure di quella di Leo.

«Sto bene,» cercai di rassicurarlo sorridendo debolmente, «non volevo farvi preoccupare.»

Mio padre inspirò profondamente, poi scoccò un’occhiata strana al fratello, dopodiché tornò a guardarmi. «Voglio solo che tu ti riprenda presto,» mormorò allungando un braccio per stringermi debolmente la spalla. Leo accanto a me grugnì.

«Dalle qualche giorno, Gregory, uscirà da questo letto più forte di prima.»

C’era evidentemente qualcosa di non detto che aleggiava tra di loro, qualcosa che non stavano dicendo a causa mia. Ma prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa, gli occhi tornarono a chiudersi e io scivolai di nuovo in un sonno profondo.

 

Quando mi svegliai la seconda volta, stavo decisamente meglio, il sole splendeva nella stanza e mio padre se ne stava raggomitolato sulla sedia al mio fianco, profondamente addormentato, Leo invece era fermo davanti a una delle finestre che davano sul terrazzo. Pensai con una punta di tristezza che ancora non ero mai stata su quel balcone per ammirare il paesaggio.

Percependo i miei occhi su di sé, lui si voltò e mi sorrise, avvicinandosi silenziosamente per non disturbare mio padre.

«Come stai?»

Gli restituii il sorriso, allungando il collo per andare incontro al palmo della sua mano.

«Mi sento un po’ stanca,» mormorai con voce roca, «ma decisamente meglio. Tu?» chiesi, studiando attentamente la benda che aveva sul volto, lui grugnì scuotendo le spalle e sistemandosi meglio per avvicinarsi di più a me sul letto.

«Sopravvivrò con ancora entrambi gli occhi, quindi nulla di grave.»

Inspirai bruscamente, sollevando un braccio per sfiorargli la guancia poco sotto il bendaggio.

«È stato Brian?» volli sapere. Leo si chinò appoggiandosi sul cuscino accanto a me, così da tenere schiacciata la mia mano tra la stoffa e il suo volto.

«Già,» disse studiandomi attento, «anche da ubriaco perso, quel bastardo ha saputo menar le mani fino alla fine, ed eravamo in quattro contro uno.»

Sbattei le palpebre, sorpresa. «In quattro? Ti prego, raccontami.»

Aggrottò le sopracciglia, lanciando un’occhiata alle mie spalle, dove ancora mio padre dormiva profondamente, poi tornò a guardarmi.

«Avevamo studiato un piano perfetto,» mormorò carezzandomi delicatamente i capelli, «Mikhail l’aveva fatto ubriacare e gli aveva detto della festa. Mentre lui faceva casino nell’atrio, io e i gemelli ci eravamo appostati lungo la strada che avrebbe dovuto percorrere per tornare a casa. Più tardi ci aveva raggiunti anche Mikhail.» Sorrise tristemente. «Ti risparmio i dettagli, ti basti sapere che doveva sembrare uno sfortunato incidente o, al massimo, l’attacco di qualche predone. La sera della festa era il momento ideale per mettere in atto il piano, perché tutti noi saremmo stati presenti, con decine di testimoni che avrebbero potuto confermare dove ci trovavamo durante lo spiacevole incidente, nel caso in cui a qualcuno fosse venuto il minimo sospetto.»

Ecco spiegato perché Stevenson aveva finto di essere lui, i presenti avrebbero potuto testimoniare che né lui né Andrew avevano mai lasciato la sala.

«Davvero anche gli altri fanno… il tuo stesso lavoro?» domandai, non riuscendo ancora a credere che qualcuno di timido e innocente come Julie potesse essere un’assassina. Leo sospirò, voltandosi sulla schiena per fissare il soffitto.

«No, non esattamente,» iniziò, «James, Lewis e tutti gli altri… lavorano per me, da sempre. Erano con me in America e quando poi ho detto loro che sarei dovuto tornare, hanno voluto accompagnarmi perché mi sono fedeli. Ognuno di loro mi ha sempre aiutato a modo proprio,» si spostò per lanciarmi un’occhiata intensa, «Elisabeth ieri ti ha detto che agiamo al posto della giustizia, il che è vero; finché si tratta di compiti come quello dell’altra sera, il nostro lavoro è molto facile. Ma spesso arriva qualcuno a chiedere giustizia, o meglio, vendetta per una morte ingiusta e in quei casi il colpevole, il cattivo della vicenda, non è così facile da scovare. Quanti casi ci sono, solo a Londra, di persone trovate morte senza che mai nessuno scopra il vero colpevole?»

Tante, molte più di quelle dichiarate sui giornali.

«E questa cosa succede sempre, ovunque, le famiglie disperate si rivolgono a noi per sistemare i loro affari scomodi, per togliersi di torno persone nocive, a volte anche solo per trovare un po’ di pace nel sapere che, ad esempio, l’assassino della loro figlia è morto e non potrà più fare male a nessuno. Ma senza un’adeguata rete di informazioni, nemmeno noi potremmo fare qualcosa.»

Aggrottai la fronte, non capendo bene ciò che Leo stava cercando di spiegarmi. Mi guardò e sospirò, tornando a voltarsi verso di me.

«Quando viene commesso qualche omicidio, qualche atrocità, c’è sempre qualcuno che sente, qualcuno che vede, qualcuno che sa. James, Lewis, Dana, Lily e molti altri sono stati i miei occhi e le mie orecchie finché eravamo in America, aiutandomi a trovare chi c’era da trovare o a farli sparire per sempre.» Aggrottò le sopracciglia, pensieroso. «Non è un compito facile e in molti casi nemmeno noi siamo mai riusciti a scoprire i colpevoli… ma è questo che fa la nostra famiglia.» Tornò a guardarmi, serio. «Non siamo uomini per bene, nessuno di noi ha l’animo privo di colpe. Nel corso della mia vita ho rubato e ho ucciso persone che probabilmente non meritavano di morire, ma l’ho fatto per seguire un’ideale in cui credo.»

Annuii piano, cercando di sorridere nonostante l’immensa stanchezza che sentivo addosso. «In teoria è molto bello,» iniziai cautamente, «che vogliate dare giustizia a chi normalmente non potrebbe averla, ma in pratica… mi sembra tutto così complicato. Come fate a sapere che chi vi paga non vi stia solo usando per far del male a qualcuno che non se lo merita? O per non sporcarsi le mani?»

Lui annuì, avvicinandosi leggermente al mio volto.

«Infatti cerchiamo sempre di aiutare solo chi riteniamo abbia davvero bisogno di noi. Per questo, la nostra famiglia ha sempre lavorato con qualcun altro, per poter ottenere più informazioni possibili.» Il suo volto si rabbuiò. «È per questo motivo che Jeremy, Martin e Elisabeth si sono uniti al gruppo… è proprio per questo che Gregory è stato costretto a sposare tua madre.»

Spalancai la bocca, sorpresa, voltai il capo verso mio padre, che dormiva con il volto tremendamente accigliato, poi tornai a guardare Leo.

«Come sarebbe a dire?»

«Nostro padre,» iniziò Leo lanciando anche lui uno sguardo al fratello, «faceva esattamente le stesse cose, a Londra. Aiutava chi ne aveva bisogno e puniva chi se lo meritava, ma all’inizio era da solo e, come hai fatto presente tu, non poteva rischiare che qualcuno richiedesse il suo aiuto solo per incastrarlo. Quindi cercò e trovò un alleato in tuo nonno, Isaac Thornberry, essendo all’interno del sistema giudiziario lui era in grado di reperire molte più informazioni di quante nostro padre avrebbe mai potuto ottenere da solo, inoltre anche se non era ancora giudice per la Camera dei Comuni, rimaneva un uomo molto importante e di una certa influenza, quindi avrebbe potuto accedere senza nessun problema anche ai resoconti della polizia. Sarebbe stato perfetto come alleato e per diversi anni funzionò tutto splendidamente. Isaac è un uomo con un profondo senso della giustizia e a lui non importava come venivano presi i criminali, voleva solo che pagassero per le atrocità commesse.»

Mio padre si mosse sulla sedia ed entrambi ci voltammo a guardarlo, ma non si svegliò, si sistemò meglio e tornò a respirare lentamente.

«Invecchiando,» riprese Leo catturando nuovamente la mia attenzione, «in Isaac iniziò a crescere la paura di venire scoperto, nonostante i molti anni di successi che lui e nostro padre avevano alle spalle, inoltre, era un uomo degno di nota ma gli mancava qualcosa: prestigio, il prestigio che solo un titolo nobiliare associato al suo nome poteva portargli. E per ottenerlo era disposto a tutto, anche a sacrificare la sua stessa figlia. Così, stabilì che si sarebbe ritirato dall’attività, agendo solo in sordina nei casi di estremo bisogno, ma decise anche di redigere quello stramaledettissimo contratto, obbligando nostro padre a firmarlo, minacciandolo non solo di smettere di aiutarlo, ma di andare a denunciarlo alle autorità con le prove di tutti gli omicidi che aveva commesso nel corso degli anni.»

Inspirai bruscamente portandomi una mano sulla bocca, per quanti anni avevo vissuto in casa con nonno senza sapere a conti fatti nulla sul suo conto? Senza sapere quale enorme peso gravasse sulle sue spalle, sulle spalle di tutti loro?

«Ovviamente Isaac non era sciocco, sapeva bene a chi stava dando in sposa sua figlia, quindi nel contratto scrisse a chiare lettere che se la sua incolumità fosse venuta meno, la minaccia iniziale sarebbe stata messa in atto,» scosse la testa, ridendo amaramente, «Molly e Joseph sono servi suoi, sai?» Sgranai gli occhi, sconvolta da quell’informazione.

«È lui che li paga, l'ha sempre fatto, fin da quando sono entrati a servizio prima di nostro padre e in seguito vostro; avevano iniziato con l’informarlo delle mosse di nostro padre e dopo le nozze anche di come veniva trattata tua madre,» fece una breve pausa prima di continuare, «cosa che ovviamente abbiamo sempre fatto anche noi con alcuni dei servi al suo servizio. Non possiamo permetterci di farci trovare impreparati, in nessun caso.»

Quella notizia fece più male di quanto non avessi mai creduto, ero sempre stata convinta che fossero rimasti con noi perché in fondo, ci volevano bene… mi volevano bene, e invece avevo appena scoperto che semplicemente erano stati assoldati per spiarci.

«Fosse stato per tuo padre, Mary avrebbe smesso già da anni di vessarti,» continuò cupo Leo, «ma dopo la tua nascita, non potevamo rischiare. Non c’era più solo la nostra reputazione, la nostra vita in gioco, c’eri anche tu e Isaac avrebbe potuto distruggere tutta la nostra famiglia con una sola lettera alle autorità. So che per te è stato duro vivere sopportando le angherie di tua madre, ma per tuo padre e tuo nonno non è stato da meno, sapere cosa ti stava succedendo, vedere quella crudeltà, che tanto cercavano di combattere nelle strade, proprio in casa loro e sentirsi impotenti perché impossibilitati a proteggere il sangue del loro stesso sangue.»

Le lacrime iniziarono a scorrermi copiose sulle guance, tirai su col naso, cercando di asciugarmi goffamente gli occhi con una mano.

«Quindi anche papà,» chiesi tra i singhiozzi che cercavo di attutire per non disturbare il suo sonno, «fa quello che fai tu?»

Leo sorrise sollevando piano l’angolo della bocca.

«Direi proprio sì,» rispose guardandolo, «dopotutto, è lui il capo.»

---

Leggi dall'inizio

Prossimo capitolo

Commenti

  1. Praticamente, Leo è un supereroe 😂😂
    Sei un genio!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. 🤣🤣🤣 Esatto, di giorno Leo, di notte Batman... no, aspè ho sbagliato animale 🤣

      E sei sempre gentilissima 🥺🥺 grazie 💟

      Elimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Capitolo 32

Capitolo 35

Capitolo 21