Capitolo 36

 

“Ieri ho visto un cagnolino per strada, era così magro, così affamato,

avrei tanto voluto portarlo a casa e adottarlo, ma non ho

fatto in tempo a raggiungerlo che è corso via; credo di averlo

spaventato con la mia irruenza. Adesso, non faccio che chiedermi

se riuscirà a cavarsela, se troverà del cibo o, ancor meglio, una

famiglia che lo amerà e lo nutrirà come merita. Intanto io

so che i rimorsi mi perseguiteranno per sempre.”

 


“Non devi lasciare che i rimorsi vincano, hai agito d’impulso

e credendo di fare la cosa giusta, quel povero animale sarà

stato sicuramente picchiato e maltrattato così tante volte che se

l’avessi colto di sorpresa avvicinandoti più cautamente,

probabilmente ti avrebbe morso. Purtroppo tutti

i randagi sono così, diffidenti e schivi.

Lo so per esperienza personale.”

 

 

 

Il giardino si rivelò essere magnifico, ricolmo di cespugli odorosi costeggianti un labirinto di siepi, che a vedersi non sembrava tanto complicato né imponente come l’avevo immaginato nella mia mente, ma ero comunque certa che se mi fossi infilata lì dentro avrei avuto qualche difficoltà a uscirne. Andrew mi scortò lungo il sentiero tra i cespugli, passammo sotto un piccolo arco su cui stavano crescendo dei rampicanti e girammo attorno al labirinto, Leo sempre un passo dietro di noi.

«Al centro del labirinto ho fatto mettere una piccola fontana e una panchina,» mi rivelò Drew indicandomi l’entrata tra le siepi, «è un luogo meraviglioso per passare qualche ora in tranquillità, ovviamente con la mia servitù non basta più nemmeno questo.» Ridacchio scuotendo il capo. «Inizialmente mi lasciavano stare perché non sapevano come raggiungermi, ma una volta imparato il percorso, addio pace.»

Gli sorrisi amichevolmente, dispiacendomi un po’ per lui. Doveva essere terribile agognare a una vita di pace e tranquillità quando nascevi marchese; le responsabilità che gravavano sul titolo e che derivavano dal buon nome della famiglia ti costringevano ad allontanarti dalla quiete che tanto desideravi.

«Vi piacerebbe entrare per provare a trovarlo?»

Sbattei le palpebre, riportando l’attenzione su di lui, ci eravamo fermati proprio davanti al labirinto e Drew mi fissava sorridendo sornione. Lanciai un’occhiata all’entrata, poi a Leo che si era posizionato al mio fianco, per tornare ad osservare il marchese.

«Ho paura di non essere molto brava a orientarmi.»

Cercai di tirarmi indietro, la prospettiva di infilarmi tra quelle siepi più alte di me appariva sempre meno allettante, ma Andrew rise scuotendo piano il capo.

«Suvvia, è un labirinto molto semplice, ha più uno scopo decorativo.»

«La accompagno io.»

Leo si inserì nella nostra conversazione, mi voltai a guardarlo, grata come sempre della sua presenza al mio fianco. Mi porse teatralmente il braccio e mi affrettai ad avvinghiarmi a lui con tutte le mie forze.

Andrew si scostò dall’ingresso augurandoci buona fortuna e ci osservò entrare a passo spedito.

«Grazie,» bisbigliai per essere certa che Drew non potesse sentirci, Leo fece una smorfia strana con la bocca, fissando dritto davanti a sé.

«È questo che succede quanto ti fai amico Kerr, ti ritrovi perso in un labirinto in cui nemmeno volevi mettere piede.»

Il tono che usò, il modo serio in cui continuava a scrutare attentamente davanti a sé mentre avanzava, mi fece capire che quelle parole nascondevano un significato molto più profondo, che lo toccavano personalmente.

Gli strinsi impercettibilmente la mano attorno al bicipite, sperando di comunicargli in qualche modo il mio supporto e il mio amore.

«Non è un cattivo ragazzo,» continuò, guidandomi sapientemente in mezzo a quell’intricato intreccio di siepi, «ma come te, ha avuto la sfortuna di nascere in un brutto clima famigliare.»

Una cosa che avevo intuito a suo tempo quando l’avevo visto così abbattuto parlando del fratello dal quale era letteralmente scappato.

«Puoi dirmi altro?» chiesi, sperando con tutta me stessa che si confidasse con me, non tanto perché ero curiosa di scoprire di più sulla vita di Andrew, ma perché non mi piaceva vederlo in quelle condizioni, avrei voluto che si aprisse solo per permettergli di alleviare un po’ quella sensazione di pesantezza e oppressione che sicuramente lo stavano affliggendo da quando eravamo partiti.

Leo sospirò stancamente fermandosi proprio al centro del labirinto, che come aveva anticipato Andrew, era adornato con una piccola fontana che zampillava allegramente e una panchina a due posti circondata da cuscini imbottiti di varie forme e dimensioni. Arrossii, immaginando le cose che si sarebbero potute fare in quel posto, e mi strinsi più forte contro il fianco di Leo, stupita dalla scabrosità dei miei pensieri in un momento simile.

«Non saremmo dovuti venire,» mormorò cupo Leo e, per un istante, mi chiesi confusamente perché mai non saremmo dovuti entrare nel labirinto, ma, quando si voltò a guardarmi, capii.

«Tu non saresti dovuta essere qui.»

Il suo commento gelido mi penetrò nelle ossa facendomi rabbrividire, mi staccai da lui, allungando una mano per toccarmi il collo.

«Ma…» iniziai sconvolta, «anche tu hai accettato,» gli feci presente, sottolineando bene con le parole il fatto.

«Mi hai comprato un vestito per il ballo,» mormorai, sconvolta da quel suo inspiegabile attacco rivolto verso di me, «la collana!» esclamai, quasi con le lacrime agli occhi guardandolo in faccia.

«Tutto quello che ci siamo detti ieri sera, perché l’hai fatto se non volevi che venissi?»

Lui sollevò una mano per grattarsi dietro la nuca e lanciò un’occhiata di traverso alla fontana.

«Diciamo che fino a stamattina ho cercato di convincermi del fatto che sarebbe andato tutto bene anche con te presente. Ti ho comprato il vestito e i gioielli perché voglio che tu domani sera ti diverta, ma sono terrorizzato,» esclamò avvicinandosi e afferrandomi gli avambracci per tirarmi a sé. «Terrorizzato che tu domani possa vedere qualcosa che non dovresti, che possa avere dei ripensamenti su di noi… su di me

Sbattei le palpebre confusa e un po’ intimorita da quella sua strana reazione.

«Leo,» cercai di calmarlo sollevando le mani per carezzargli il mento, «non so cosa deve succedere domani sera oltre al ballo, se te lo chiedessi probabilmente non mi risponderesti.» Aspettai di vederlo annuire serio e deciso. «Ho imparato che preferisco aspettare che sia tu a riferirmi quello che vuoi quando ritieni che sia saggio farlo, quindi… sono qui, mi fido di te.» Sorrisi sollevandomi sulle punte dei piedi per dargli un piccolo bacio sulle labbra. «Dimmi come comportarmi domani sera… dimmi cosa posso fare per non vedere quello che tu disperatamente non vuoi che veda e lo farò.»

Le sue braccia mi circondarono, schiacciandomi contro il suo petto caldo.

«Lo farai sul serio?» chiese roco, io annuii a contatto con la pelle del suo panciotto.

«Tutto quello che mi dirai.»

Le sue labbra scesero a baciarmi teneramente la nuca e io sorrisi chiudendo gli occhi e ascoltando rapita il rumore del suo cuore che gli batteva rapidamente nel petto.

 

Quella sera arrivarono i primi ospiti e quella che avevo ipotizzato si sarebbe svolta come una tranquilla cena tra amici, si trasformò presto in un caotico banchetto tremendamente chiassoso.

Io mi trovai seduta stretta tra un certo conte Acton, un anziano signore canuto e pingue, dall’aria tremendamente gioviale e il visconte Huxley, un timido ragazzo filiforme, che con ogni probabilità, aveva l’intero corpo cosparso di efelidi. Dirimpetto avevo la baronessa de Ros, una signora molto briosa e chiassosa, che indossava rilucenti gioielli su ogni lembo di pelle visibile. Leo e Andrew, le uniche due persone che conoscevo, si trovavano sedute all’altro capo del tavolo, il che mi toglieva un po’ di coraggio. Nonostante nessuno dei miei vicini sembrasse sgradevole, non mi sentivo a mio agio a fargli intendere che ero disponibile a conversare, quindi mi limitai a tenere gli occhi fissi sul piatto, sollevandoli solo occasionalmente per cercare il mio bicchiere. Avrei continuato tranquillamente così tutta la sera se, improvvisamente, il visconte Huxley seduto alla mia destra, non avesse sbadatamente rovesciato il suo bicchiere di vino, versandolo sulla tovaglia e nel piatto ancora pieno che avevo davanti. Sorpresa, sollevai lo sguardo solo per incontrare i suoi occhi che mi fissavano mortificati.

«Sono desolato, signorina,» mormorò mentre un paio di camerieri si affrettavano a portare via il piatto e a tamponare il disastro.

Io sorrisi sollevando le mani per minimizzare la cosa.

«Non preoccupatevi, sapeste quante volte è successo a me!»

Il ragazzo però non la smetteva di scusarsi e alla fine, fu il conte Acton accanto a me a intervenire.

«Suvvia, ragazzo!» lo riprese bonariamente, mentre il cameriere mi serviva un nuovo piatto straripante. «Credo che la signorina abbia capito perfettamente che siete dispiaciuto, così come il resto di noi.» E scoppiò in una grassa risata, gli lanciai un’occhiata di traverso, apprezzavo il suo volermi aiutare, ma non che per farlo si fosse preso gioco del giovane. Mi voltai verso sir Huxley che stava chino sul suo piatto, tutto rosso per l’imbarazzo.

Mi sporsi verso di lui, sapendo bene come ci si sentiva in quelle situazioni e sperando di riuscire a risollevargli un po’ l’umore.

«Non è successo niente, davvero. Pensate che io una volta tirai giù una tenda.»

Lui sollevò la testa, guardandomi curioso. «Una tenda?»

Annuii, cercando di ricordare i dettagli di quel mio disastroso ballo.

«Sì, credo fosse il secondo o terzo ballo, dopo il mio debutto. Naturalmente ero molto nervosa, quella sera faceva molto caldo e la stanza era decisamente affollata, quindi mentre cercavo di districarmi tra i vari invitati per raggiungere il tavolo del rinfresco, inciampai nei miei stessi piedi e istintivamente mi aggrappai alla prima cosa che trovai a portata di mano, per l’appunto la tenda.» Sorrisi ricordandomi quanto ero stata in imbarazzo quella sera e quanto mi fossi sentita sola. «Tirai giù tutto quanto, e come se non bastasse il bastone che la sorreggeva mi cadde sulla testa, il bernoccolo restò per settimane.»

«Dev’essere stato terribile,» constatò, mentre cercava chiaramente di reprimere un sorriso, io scrollai le spalle.

«Molto, ma come vedete, non sono morta per l’imbarazzo e sono qui ancora viva per potervelo raccontare e per poterci ridere su, dovreste fare altrettanto.»

Lui annuì solennemente e mi ringraziò, poi tornò alla sua portata.

Il resto della cena si svolse senza altri problemi e, quando arrivò il momento per uomini e donne di separarsi, lanciai un’occhiata spaventata a Leo. In una situazione del genere avrei dovuto fare salotto con donne di cui non sapevo niente e il ricordo di come era finita per me le ultime volte che ci avevo provato tornò a terrorizzarmi l’animo.

Speravo che almeno lui riuscisse a tirarmi fuori da quella situazione, ma quando incrociai i suoi occhi, lo vidi sorridere mestamente e scuotere impercettibilmente la testa. Ero in trappola in quell’universo femminile fatto di chiacchiere, pizzi e merletti.

Mi lasciai condurre inerme verso il salottino adibito al ritrovo delle signore e aspettai rassegnata il momento in cui si sarebbero scatenate contro di me, come avvoltoi che si avventano su una carcassa, ma quel momento non arrivò. Le signore parlottarono tra di loro, spettegolando dei loro mariti e degli ultimi avvenimenti in città, per lo più ignorandomi, finché una di loro, la baronessa de Ros, non mi si accostò poggiandomi una mano carica di anelli sulla spalla.

«Gradite qualche pasticcino, cara?» domandò porgendomi un piccolo vassoio ricolmo di dolcetti, sorridendo ne accettai volentieri uno e lo addentai con gusto, sentendo il dolce ripieno invadermi la bocca.

La signora sorridendo si sedette sul divanetto di fronte a me e poggiò il piattino sul basso tavolino davanti a noi.

«Servitevi pure senza fare complimenti,» mi invitò indicando con la mano il piattino, «non lasciatemi a ingrassare da sola.»

Sorrisi, allungandomi per prendere un altro pasticcino sotto il suo sguardo attento e soddisfatto.

Nessun altro mi rivolse la parola quella sera, ciò nonostante, non mi sentii esclusa dalla conversazione come succedeva nei salotti londinesi, le signore lì riunite conversavano tranquillamente del più e del meno ed ero stranamente consapevole del fatto che, se mi fossi inserita nel discorso con qualche domanda o con qualche commento, avrebbero accolto con entusiasmo le mie parole. Tuttavia, preferii rimanere in silenzio, a mangiare dolcetti con la signora brillante, come l’avevo ribattezzata nella mia testa, e ad ascoltare le innocenti chiacchiere che si diffondevano per il salotto.

Quando arrivò l’ora di coricarsi, salii in camera mia un po’ triste che la serata fosse già finita e il pensiero mi stupì molto, ma ne fui anche estremamente felice. Una volta dentro, chiusi a chiave la porta – perché in fondo ero in una casa sconosciuta con molte persone estranee –, e mi recai verso il letto per prepararmi per dormire e notai, appoggiato sui cuscini, un piccolo bocciolo di rosa con una nota.

Curiosa, mi allungai per prendere il bigliettino e leggerlo.

“Una rosa, per omaggiare il fiore più bello di tutti.”

Mi sentii invadere da una profonda gioia e mi portai le mani tremanti al petto, stringendo forte quel bigliettino come se avessi avuto tra le braccia colui che l’aveva scritto.


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Prossimo capitolo [In arrivo il 10 luglio]

Commenti

  1. Finalmente sono riuscita a leggere questo bellissimo capitolo e sono curiosa di sapere cosa Leo non vuole che Desdemona veda, quindi, ti prego, falla spiare! Ah ah ah

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    1. ❤❤ Grazie mille come sempre, ehehehe sì, stiamo per scoprire qualcosa, forse chissà 🤭❤

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