Capitolo 34
“Anche se è rischioso, conservo tutte le tue
lettere,
le rileggo quando sento troppo la tua
mancanza.
Certe volte, invece, le guardo solamente
senza aprirle
per accertarmi che tutto questo non sia solo
un sogno.”
“Sono felice di sapere
che non sono l’unico a farlo.”
Rimanemmo
ancora qualche minuto a parlare in biblioteca, Lucas cercò con un certo
imbarazzo di raccontarmi qualche aneddoto divertente su mio padre e io risi di
cuore, scoprendo quel lato del suo carattere a me totalmente sconosciuto ma
tuttavia così familiare.
«Grazie,
Lucas,» dissi alla fine, «mi ha fatto molto piacere sentire questi racconti.»
Lui
annuì brevemente e scattò in piedi, come se solo in quel momento si fosse
ricordato di qualcosa di estremamente importante.
«Dovevo
andare in cucina per vostro padre!» esclamò spaventato, poi con un inchino
frettoloso uscì di corsa dalla porta, lasciandomi sola a riflettere su quanto
avevo appreso.
Indubbiamente le parole di Lucas non avevano che confermato ciò che già Leo mi aveva detto in precedenza, e non avevano che rafforzato il mio bisogno di chiarirmi con mio padre prima possibile. Sospirando uscii dalla biblioteca, speravo che il giorno sarei riuscita a porre fine a quella spiacevole situazione.
***
Sam
scalpita, in tutta la sua vita non gli era mai successa una cosa simile, non
aveva mai avvertito così tanto il bisogno di nutrirsi, di saziare la sua fame
in così poco tempo. L’ultimo trofeo gli era costato così tanto, rischiando di
esporre la sua esistenza, eppure lo aveva saziato ben poco. La sua fame lo
assordava ormai, non facendogli pensare a nient’altro.
Era
tutta colpa della sua preda, quella troppo furba, troppo appetitosa, che gli
scatenava una fame senza pari, che lo tormentava, lo stuzzicava, senza però
accontentarlo. Sam la voleva con tutto se stesso, era tutto ciò che aveva
sempre desiderato, tutto ciò che aspettava da sempre. Lei lo guardava, lei lo vedeva
per ciò che era realmente e invece di scappare, lo assecondava, lo incitava a
nutrirsi, gli sussurrava all’orecchio terribili parole tentatrici che lui non
voleva ascoltare, ma che penetravano così profondamente da diventare una parte
del suo essere. Così era costretto a nutrirsi ancora e ancora. Nessuna delle
sue vecchie prede aveva esercitato su di lui un potere tanto forte, erano state
conquiste facili, che doveva avere, ma senza rischiare di finire risucchiato
nell’oblio. Erano state tutte dolci e ingenue, troppo immature per riuscire a
capire quale potere esercitassero su di lui, troppo innocenti per sapere come
ammaliarlo, e lui aveva dovuto divorarle subito, appena la fame si era
risvegliata, altrimenti sapeva bene che il baratro l’avrebbe di nuovo chiamato
a sé.
Tutte
tranne Beatrice, l’unica, la sola.
L’unica
che era riuscita a condurlo in quel baratro oscuro, la sola altra persona che
l’aveva visto per ciò che era realmente e che, nonostante ciò, l’aveva
amato.
Ma
Sam non aveva permesso nemmeno a lei di trattenerlo in quel baratro, nonostante
una parte di lui avesse lottato e combattuto duramente opponendosi alla morte
della giovane.
Sam
non poteva rischiare di esporsi, aveva troppa paura di tornare di nuovo a
vivere circondato da tutto quel dolore, tutte quelle urla.
Beatrice
lo amava e lui l’aveva uccisa per quello.
Negli
occhi della nuova preda però non c’era amore, solo odio e rancore. Sapeva come
giocare, sapeva come stregarlo, come scatenare i suoi peggiori impulsi. Guardava
negli occhi la bestia e le sorrideva, come già Beatrice aveva fatto in quel
passato ormai remoto. Due sorrisi totalmente diversi, ma che per Sam erano
ugualmente ammalianti. E adesso, questa nuova preda si offriva a lui, completamente
come aveva sempre sognato. Avrebbe potuto farle tutto ciò che sognava, se
avesse esaudito il suo ultimo desiderio.
Finalmente,
Sam sarebbe riuscito a placare la sua fame per sempre.
***
Il
giorno prima della partenza, iniziai a preparare il bagaglio che avrei portato
con me per il ricevimento di Andrew, nulla di troppo strano o stravagante, solo
un paio di modesti abiti uno beige l’altro bianco, con dei deliziosi ricami
floreali sopra, sicuramente Drew li avrebbe apprezzati molto. Sorridendo aiutai
Julie e Abigail a riempire il baule nonostante le proteste delle due ragazze.
«Sono
i miei vestiti,» feci notare mentre infilavo uno dei due abiti nel bagaglio,
«non vedo perché non debba aiutarvi.»
Le
ragazze si erano guardate un istante e poi Abigail aveva scosso la testa,
rassegnata, iniziando a radunare gli indumenti sul letto, mentre Julie si
accertava che non mancasse niente.
Alla
fine, realizzai divertita, mi stavo portando molte più cose dietro per un
ricevimento di qualche giorno, di quante ne avessi portate con me quando ero
arrivata in quella casa.
Ero
così presa dall’osservare quel baule ricolmo che sussultai quando sentii
qualcuno bussare alla porta.
Julie
si sbrigò ad aprire e, voltandomi, vidi l’espressione seria e corrucciata di
mio padre, che spostava lo sguardo da me alle cameriere.
Il
mio cuore sussultò e mi avvicinai alla porta congedando le due giovani, che
uscirono con un inchino. Senza dire nulla, mi scostai dall’uscio invitando mio
padre a entrare e lui avanzò silenzioso nella mia stanza.
Si
guardò attorno per un istante, guardò il baule ancora aperto da cui
strabordavano i miei vestiti, poi andò a sedersi al tavolino vicino alla
finestra, lo seguii e ci trovammo seduti faccia a faccia.
«Mi
dispiace,» iniziai io, incapace di trattenermi oltre, «non avrei dovuto dire
quelle cose.»
Lui
annuì con calma, assimilando le mie parole.
«So
bene,» iniziò lentamente, giungendo le mani davanti a sé e fissando un punto
imprecisato del tavolino, «che come padre avrei dovuto comportarmi… più
calorosamente nei tuoi riguardi. Ma… non è qualcosa che fa parte di me.» Sollevò
lo sguardo, cercando il mio, in quel momento avvertii tutto il bisogno che
stava provando, bisogno che io capissi quel che cercava di spiegarmi. «Le
tipiche dimostrazioni di affetto che per tutti gli altri vengono così naturali
e scontate, non sono qualcosa che riesco a compiere con altrettanta
naturalezza.» Si fermò aggrottando le sopracciglia e io istintivamente mi
sporsi verso di lui, stringendogli le mani con le mie. L’intreccio delle sue
dita si sciolse e ci stringemmo in silenzio le mani, guardandole.
«Avrei
dovuto realizzare prima quel che stavi facendo per me,» iniziai a bassa voce,
troppo emozionata per parlare normalmente, «avrei dovuto capire tutto molto
prima, dopotutto siamo così simili.»
Le
sue mani si strinsero dolcemente attorno alle mie.
«Non
fartene una colpa, come hai detto, siamo troppo simili e per troppo tempo siamo
rimasti entrambi chiusi in noi stessi.» Sorrisi debolmente sollevando lo
sguardo su di lui che però, continuava ancora a fissare le nostre mani intrecciate.
«Le cose però non cambieranno, Desdemona,» mi informò con un tono triste e
cupo, «solo perché ci siamo chiariti non mi vedrai magicamente trasformare in
un padre affettuoso. Ti amo con ogni fibra del mio essere e l’ho fatto fin dal
primo istante in cui la nutrice ti ha messa tra le mie braccia. Sarà sempre
così, ma non posso cambiare quel che sono, non più di quanto non abbia già
fatto. Mi dispiace.»
Scossi
la testa con le lacrime che mi appannavano la vista.
«Non
scusarti,» lo implorai, «non voglio questo, non me ne importa più niente, non
adesso che so la verità.»
Lui
non rispose ma la sua presa si serrò quasi dolorosamente sulle mie dita, non mi
importava, gli restituii la stretta in silenzio, sperando che i gesti
arrivassero lì dove le parole non sarebbero mai arrivate.
«So
che hai parlato con Lucas, ieri,» affermò lui dopo un lungo silenzio, io annuii
sorridendo debolmente.
«Sì,
mi ha raccontato un po’ come vi siete conosciuti.»
Lui
sbuffò sollevando le spalle nel farlo e scuotendo la testa.
«Non
so come riesca a rimanere al mio fianco nonostante tutto, dopo quasi trent’anni
che ci conosciamo.»
Sollevai
lo sguardo sul suo volto, ora mio padre era voltato verso la finestra e
guardava fuori.
«Perché
ti ama,» esclamai risoluta, «e lo fa anche lui con ogni fibra del suo essere, è
così evidente che davvero non so come abbia fatto a non accorgermene prima.»
Lui
finalmente si voltò a guardarmi, i suoi chiari occhi grigi fissi nei miei.
«Perché
abbiamo sempre fatto le cose con estrema discrezione,» mi spiegò carezzandomi
piano il dorso della mano col pollice, «diciamo che non eri l’unica che girava
di notte nei corridoi, solo che noi passavamo tra le mura.»
Spalancai
gli occhi, stupita. «Anche la nostra vecchia casa aveva dei passaggi segreti?»
chiesi, con un tono di voce più alto di quanto fosse mia intenzione, mio padre
annuì lentamente.
«Tutte
le residenze Fortescue hanno sempre avuto dei passaggi e delle stanze segrete,
erano necessari.»
Aggrottai
la fronte, pensierosa.
«Necessari
per cosa? Per nascondere amanti e cortigiane?»
Mio
padre mi lanciò una lunghissima occhiata che sembrò scavarmi nell’anima, in
quel momento mi ricordò moltissimo Leo.
«Sì,
anche per quello,» concesse con tono definitivo, dopodiché sciolse la stretta
sulle mie mani e si alzò, risistemandosi il panciotto rosso scuro.
«Ora
che ci siamo chiariti, posso andare.»
E,
senza che io potessi aggiungere altro, uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Quella
sera, dopo aver cenato, mi ritirai in camera prima del solito così da poter
andare a letto presto e svegliarmi più lucida per la partenza. Appena ebbi
finito di infilarmi la camicia da notte, però, sentii Leo arrivare davanti alla
mia porta e bussare delicatamente, entrando poi senza aspettare il mio
permesso. Sorrisi sollevando gli occhi al cielo e lo osservai con curiosità avanzare
nella stanza portando con sé due scatole di diverse dimensioni. Appoggiò la
prima, la più piccola, sul tavolino e la seconda sul letto, poi si avvicinò e
mi circondò la vita con le mani, tirandomi a sé per un rapido bacio.
«Ti
ho portato dei regali,» mormorò a un soffio dalle mie labbra, e il mio cuore
prese a battere più veloce. Lanciai uno sguardo meravigliato alle due scatole,
la mente che lavorava furiosamente per immaginare cosa potessero contenere.
Scalpitando eccitata guardai Leo che rise, baciandomi la punta del naso e
liberandomi poi dall’abbraccio.
«Vai
pure, apri prima quello sul letto.»
Obbedendo,
scartai impaziente la confezione e rimasi immobile a fissarne il contenuto,
meravigliata. All’interno c’era un bellissimo abito da sera per il ballo, il
tessuto rosso scuro, esattamente dello stesso colore che avevo scelto quando mi
ero recata in città con Leo.
Lui
si avvicinò baciandomi teneramente una tempia.
«Puoi
toccarlo sai, lui non morde,» mi
prese bonariamente in giro assestandomi poi un morso giocoso sulla guancia.
Ridacchiai allungando le mani per afferrare i lembi dell’abito e sollevarlo.
Il
vestito aveva una scollatura ampia e le spalline basse, quasi al limite
dell’indecenza, il corpetto sembrava adatto per modellarsi morbidamente attorno
al mio corpo e la gonna era vaporosa, ma non ingombrante. Inoltre, tutto
intorno al busto e sulle maniche, erano state cucite numerose rose di stoffa
anch’esse rosse e sull’orlo della gonna un numero spropositato di piccoli
petali di stoffa.
Era
un vestito così bello che mi sembrava quasi un peccato rovinarlo indossandolo,
molti degli abiti che avevo nell’armadio mi sembravano troppo belli per essere
indossati, ma quello li batteva senza dubbio tutti.
«È
bellissimo Leo, grazie,» sussurrai commossa, carezzando piano una delle rose,
lui si chinò per baciarmi una spalla da sopra la camiciola.
«Voglio
che lo indossi la sera del ballo.»
Quel
sabato Andrew aveva organizzato un ballo, così da intrattenere e divertire al
meglio gli invitati alla festa; e per movimentare un po’ le cose, aveva deciso
che sarebbe stato un ballo in maschera. Io gli avevo ripetuto più volte che non
avrei partecipato e che, anzi, sarei stata molto tempo chiusa in camera mia per
non rischiare di incontrare qualcuno che conoscevo e dover quindi vedere le
loro facce contrariate scoprendo che avevo già dimesso il lutto. Il mio piano
fino a quel momento era stato perfetto, saremmo arrivati la mattina, in
anticipo rispetto al resto degli invitati, così da avere tutto il tempo di
visitare la serra e passare un po’ di tempo con Andrew, prima che i suoi
impegni da padrone di casa lo reclamassero altrove. Dopodiché mi sarei tenuta
in disparte, il più lontano possibile da tutto e tutti, interagendo con le
persone solo se fossero state loro ad avvicinarmi. Nonostante le numerose
rassicurazioni di Andrew sull’impossibilità che qualcuno dei suoi invitati mi
riconoscesse, ero comunque intenzionata a seguire il mio piano iniziale, almeno
fino a quel momento.
«Ma
Leo,» esclamai, voltandomi a guardarlo, «il ballo? E se qualcuno mi
riconoscesse?»
Lui
corrucciò la fronte.
«Io
voglio che tutti ti riconoscano, Desdemona. Ogni persona in quella stanza deve
vederti e mangiarsi il fegato per non averti notata prima.»
«Ma
parleranno male di noi,» provai a ribattere, ma lui sollevò un sopracciglio,
divertito.
«Ti
importa davvero di quello che possono pensare quattro vecchi bacucchi?»
Mi
fermai, con la risposta già pronta che mi moriva sulle labbra.
Già,
mi importava davvero quello che pensavano? E perché poi?
Non
erano persone importanti, almeno non per me, nonostante tutti i miei sforzi non
ero mai riuscita a incontrare il loro favore. Erano persone odiose che si
divertivano a prendere di mira i deboli, quindi perché preoccuparsi tanto di
quello che pensavano?
Chiusi
la bocca, pensando che in fondo, potevo anche partecipare a quel ballo in
maschera come voleva Leo, niente avrebbe cambiato la pessima opinione che si
erano già fatti di me.
«No,
credo di no,» mormorai alla fine, quasi sovrappensiero e lui mi sorrise,
baciandomi la fronte.
«Vedrai,
andrà tutto bene, sarai meravigliosa e spezzerai un sacco di cuori. E ora
vieni,» disse prendendomi per mano e conducendomi verso il tavolino, «questo
l’ho fatto fare appositamente per te,» annunciò prendendo la scatolina tra le
mani e piazzandosi davanti a me, mi fissava con espressione grave.
Aprì
lentamente la scatolina e il mio cuore perse un battito, smisi di respirare e
mi portai una mano sulle labbra, non potendo credere a quello che stavo
vedendo.
Quella
era la collana che avevo visto in città, ma era stata leggermente modificata,
poiché i diamanti erano stati incastonati in uno spesso strato di stoffa nera,
creando così un collarino con al centro quel rubino a goccia che scendeva
appeso a un sottile filo di diamanti.
«Questo
è tuo, Desdemona,» dichiarò Leo serio, «e sai bene che non è un semplice
gioiello.»
Scossi
la testa, gli occhi incantati ancora fissi sulla collana.
«Se
accetterai di indossarlo, solo io potrò mettertelo o togliertelo. Tu girerai
con questo al collo, sarà un monito che ricorderà a te stessa e a chiunque ti
guardi, che appartieni solo a me.»
Sollevai
lo sguardo su di lui, sui suoi occhi che stavano diventando più scuri e
deglutii, il mio stomaco dolorosamente annodato per l’immensa emozione.
«Voglio
indossare il vostro collare, Signore.»
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Non vedo l'ora di scoprire chi sia Sam! Un capitolo meraviglioso!
RispondiElimina🥺 Grazie💟 spero che la scoperta non ti lasci delusa 💟
EliminaHo visto ora la tua risposta!
EliminaComunque, sull'identità di Sam ho diverse ipotesi, tra cui anche Leo, ma penso che siano tutte sbagliate perché una brava scrittrice come te, sicuramente, ha reso il vero Sam il più insospettabile di tutti.
Sei sempre così gentile 🥺 più si va avanti più spero che il finale non ti deluda 😭💟 grazie!
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