Capitolo 31

 

“Non so quando leggerai questa lettera, ma… Buon Natale, Leo.

Spero che tu stia bene e possa tornare presto a casa, ogni

giorno che passo senza ricevere tue notizie mi sento morire

un po’ di più.”

 

“Ormai è quasi primavera, non avrei dovuto metterci così tanto, mi dispiace,

ma rincasare e trovare la scrivania sommersa dalle tue lettere è stato forse

il momento più bello. Prometto che risponderò a ognuna di esse.”

 

 

 

Quando mi fui calmata a sufficienza, Leo mi aiutò a scendere dal letto e in silenzio, iniziò a spogliarmi. Ero come creta nelle sue mani e mi lasciai manovrare mollemente, senza opporre la minima resistenza, troppo spossata per fare qualsiasi cosa che non fosse limitarmi a respirare. Dato che in camera sua non c’erano abiti per me, dopo avermi denudata, andò verso il suo armadio e tirò fuori una delle sue camicie, infilandomela da sopra la testa senza nemmeno sbottonarla. L’indumento era troppo grande per me, scivolò fino ad arrivare alle ginocchia, e Leo fu costretto ad arrotolare le maniche un paio di volte prima di veder spuntare la punta delle mie dita. Quando fu soddisfatto, mi tolse gli occhiali e mi prese per mano, riportandomi a letto e facendomi adagiare prona, così da non infierire ulteriormente sul mio fondoschiena. Dopo essersi spogliato a sua volta, a parte i pantaloni, fece rapidamente il giro della stanza per spegnere tutte le candele e far piombare tutto nell’oscurità, poi tornò a sdraiarsi accanto a me, rimanendo però nella sua metà del letto. Una volta che i miei occhi si furono abituati al buio, potei osservare il suo profilo accanto a me, sembrava calmo ma scrutava con espressione corrucciata il soffitto, le mani giunte sopra il petto. Mi domandai perché non mi stesse più toccando, perché dopo quello che era appena successo se ne stesse silenzioso, dall’altra parte del letto. Le natiche mi bruciavano come mai prima ed ero certa che il giorno dopo non sarei riuscita a sedermi nonostante l’unguento lenitivo che mi aveva spalmato. Quella sua lontananza faceva forse parte della punizione? Dopo avermi percossa ora voleva anche ignorarmi?

Sentii le lacrime tornare ad appannarmi la vista.

«Leo?» lo chiamai, la voce tremante e incrinata. Lui voltò il capo per guardarmi e la sua espressione da corrucciata divenne preoccupata.

«Cosa c’è? Ti fa male?»

Scossi la testa per quanto mi fu possibile e allungai il braccio verso di lui, per cercare di raggiungerlo. La sua reazione fu istantanea, si mosse rapido per spostarsi verso di me, afferrò la mia mano tra le sue e mi tirò cautamente su di sé passandomi un braccio attorno alle spalle. In quel momento, mi strinsi a lui con tutte le forze che mi erano rimaste e piansi nascondendo il volto nell’incavo del suo collo. Piansi perché temevo di averlo deluso, e per tutto il tempo lui non smise mai di carezzarmi il capo.

 

Mi risvegliai sentendo il rumore di qualcosa che cadeva a terra; sbattei le palpebre corrucciata alla ricerca del rumore e trovai Leo già vestito di tutto punto, in piedi accanto al letto.

«Scusa,» mormorò chinandosi per posarmi un bacio tra i capelli, «non volevo svegliarti. Torna a dormire, è ancora presto.»

Mi sollevai parzialmente e le mie mani volarono al colletto della sua camicia, bloccandolo prima che potesse allontanarsi.

«Resta con me,» lo implorai. Dopo la notte appena passata sentivo dentro di me il bisogno irrequieto di stargli vicino il più possibile, di rimediare in qualche modo al mio sbaglio e ai miei capricci. Lui sorrise sporgendosi per baciarmi brevemente.

«Non posso, piccola. Rimettiti a dormire, prometto di tornare da te prima del tuo risveglio.»

Avrei voluto dirgli che era impossibile, perché io non mi sarei mai riaddormentata, quindi in qualche modo era già venuto meno alla sua promessa, ma lui mi fece stendere di nuovo carezzandomi delicatamente i capelli.

«Dormi,» disse gentilmente, eppure riuscii comunque a percepire la leggera traccia di ordine nella sua voce. Provai quindi a obbedirgli: appena fu uscito chiusi gli occhi e sospirai profondamente. Dovevo rilassarmi e pensare a cose tranquille, senza focalizzarmi troppo sul mio fondoschiena dolorante, gli occhi gonfi, sui polsi e le caviglie irritate. Per il mio Signore, provai a sgombrare la mente e a rilassarmi.

Quando sentii la mano di Leo sfiorarmi la nuca, spalancai gli occhi, sorpresa che fosse già tornato. Sollevai lo sguardo perplessa e lui sorrise, allungandosi per mettermi gli occhiali.

«Visto?» disse, scivolando a sedere sul materasso accanto a me. «Ho mantenuto la promessa.»

Sbattei le palpebre confusa, finché mi resi conto che la stanza era molto più luminosa di quando l’avevo visto andare via.

«Quanto è passato?» chiesi, non riuscendo a credere di essere davvero stata capace di riaddormentarmi.

«Quasi sei ore,» rispose Leo divertito dalla mia evidente confusione. «È quasi ora di pranzo.»

Ero scioccamente orgogliosa del piccolo risultato ottenuto quella mattina e mi mossi sul letto per osservare meglio la luce del sole che filtrava dalle imposte, il movimento però mi causò una tremenda fitta e sibilai, bloccandomi.

Leo scattò subito sull’attenti, mi fece tornare a stendere prona e sollevò l’orlo della camicia per valutare quanto grave fosse la situazione, poi recuperò l’unguento della sera prima e riprese a spalmarmelo cautamente sulle natiche.

«Non avrei voluto farlo,» iniziò spingendomi a voltare il capo per guardarlo, ma esattamente come la sera prima, lui non stava guardando me, concentrato sul lavoro. «Avrei voluto punirti in un altro modo ieri sera, ma eri così sconvolta, così ostinatamente decisa a opporti…» mi lanciò una mezza occhiata di traverso e riprese a spalmarmi la crema. «Ho fissato delle regole per un motivo e sono io che comando, capisci? Ciò non significa che tu non possa mai opporti a un mio ordine, ma devi essere pienamente conscia di quali sono le conseguenze a cui vai incontro.» Tacque per un istante, fissando attentamente la piccola ampolla che teneva tra le mani. «È tutto bello ed eccitante finché è solo una fantasia scritta su carta, no? Ma quando arrivi a viverlo sulla tua pelle la cosa cambia.» Finalmente, si voltò a guardarmi e rimasi sorpresa di scorgere un velo di tristezza nei suoi occhi. «Se questo,» iniziò indicando con un cenno della testa il mio fondoschiena, «per te è troppo, devi dirmelo adesso. Ora che forse riesco ancora a fermarmi, perché non sopporterei il tuo odio.»

Per quello la sera prima mi era stato lontano? Perché temeva che se si fosse avvicinato avrei potuto allontanarlo?

Deglutii sperando di sciogliere il nodo che si era velocemente formato nella mia gola.

«Se avessi voluto fermarti,» mormorai roca, «avrei usato la mia parola di sicurezza.»

Ed era vero, l’avevamo scelta insieme apposta e, anche se non l’avevo mai usata, sapevo che c’era. La sera prima non ero stata nemmeno lontanamente vicina al pensare di usarla, per il semplice motivo che mi fidavo di Leo. Non avrebbe avuto importanza quanto forte sarei stata colpita o quanto dolore avrei provato, mi sarei sempre fidata di lui.

Poggiò cautamente l’ampolla sul comodino, raccolse il panno da terra e si pulì le mani, poi esattamente come la sera prima, venne a sdraiarsi accanto a me passandomi le dita sul viso.

«Capisci a cosa stai acconsentendo? Se ti serve, posso darti più tempo per riflettere, ma se mi dici di sì adesso, non potrai mai più tornare indietro.»

Rividi nella mia mente quei mesi trascorsi con lui: tutte le cose che mi aveva insegnato; il modo così impercettibile agli occhi del mondo eppure così profondo in cui stavo cambiando grazie a lui; quello strano e spaventoso tono di voce che gli avevo sentito usare in biblioteca, un tono che con me non aveva mai usato. Mi chiesi se fosse solo questione di tempo prima che lo rivolgesse contro di me.

Leo non è l’uomo che tu credi. Scappa finché sei in tempo.

«Capisco perfettamente, Signore.»

La sua bocca calò voracemente sulla mia, togliendomi il respiro e gli circondai il collo, tirandolo a me per quanto la nostra posizione ce lo consentisse.

Non sarei mai stata in grado di scappare dalle sue grinfie feline, ero perduta e non me ne importava niente. Avrei accettato tutte le conseguenze di quella mia scelta, avrei scoperto dolorosamente ogni suo segreto, ma l’avrei fatto traendo forza dal suo abbraccio e ossigeno dai suoi baci.

 

Quel giorno non uscimmo di camera, non so cosa avesse detto a mio padre per giustificare la nostra assenza ma, in quel momento, non me ne curai, ero troppo felice di avere la sua totale attenzione, di passare ogni istante sentendo il suo corpo pronto ad adorare il mio in ogni modo possibile. Ci fermammo solo quando il mio stomaco brontolò poco carinamente, rovinando del tutto l’atmosfera. Leo ridacchiò baciandomi la punta del mento, poi scivolò fuori dal letto per vestirsi e uscì rapido dalla camera, annunciandomi che sarebbe andato a procacciare un po’ di cibo.

Tornò qualche minuto dopo portando tra le mani una cesta strabordante. Appoggiò il tutto sulla sua scrivania e poi venne a prendermi, aiutandomi a indossare di nuovo la sua camicia, mi sollevò tra le braccia trasportandomi verso il tavolo col cibo. Si lasciò cadere sulla sedia e mi fece accomodare sulle sue cosce in modo tale che non fossi costretta a stare poggiata sul fondoschiena.

Mangiammo in silenzio, imboccandoci a vicenda, immersi nella più totale pace del momento, e quando tornammo sul letto mi fece nuovamente voltare per potermi controllare e medicare.

Passammo il pomeriggio sonnecchiando e facendo l’amore, senza scambiarci mai più di qualche parola sussurrata. Leo mi fece sistemare su un fianco, sollevandomi una gamba ed entrando piano dentro di me. Si muoveva pigramente all’interno del mio corpo, toccando e stimolando ogni mio punto, sembrava volesse imprimere in modo permanente la sua presenza nella mia carne, così che qualsiasi cosa fosse successa mi sarebbe stato impossibile dimenticarmi di lui o sostituirlo. Come se fosse possibile.

Mi strinsi a lui, assecondando col bacino le mosse dei suoi fianchi e cercando la sua bocca per un bacio languido.

Quando venimmo lo facemmo quasi nello stesso momento, le nostre bocche unite ingoiarono i rispettivi gemiti, continuando a divorarsi senza pace. Leo rimase a lungo sepolto dentro di me quasi non volesse più separarsi. Strinsi il mio sesso attorno a lui, per comunicargli che anche io provavo le stesse cose, che non volevo perderlo, e lo sentii ridacchiare piano.

«Così me lo fai tornare duro.»

Sollevai la testa per guardarlo interrogativamente.

«E sarebbe un male?»

Dopodiché non ci fu più spazio per le parole.

 

La mattina successiva, mi svegliai rinvigorita e felice. La giornata di pausa che ci eravamo presi per permettere al mio fondoschiena di guarire e per riaffermare quel legame che per un motivo o per un altro temevamo di aver incrinato ci aveva resi entrambi più forti. Sapevo bene che in futuro avrei commesso altre sciocchezze che lo avrebbero costretto a punirmi, magari più duramente di quanto non avesse già fatto, ma se non altro adesso sapevo come mi sarei sentita dopo. Il profondo senso di amarezza e di tristezza per la paura di averlo deluso e averlo allontanato da me con i miei capricci non mi avrebbe più assalita in modo così prepotente da farmi scoppiare in lacrime.

Mi stiracchiai constatando con un misto di sorpresa e gioia che il mio sedere non faceva più male come il giorno prima, il dolore era a un livello decisamente sopportabile, questo grazie alle cure di Leo che aveva passato tutta la giornata e gran parte della nottata a spalmarmi il suo misterioso unguento a intervalli quasi regolari.

Scesi dal letto e, con un po’ di rammarico, mi tolsi la camicia che avevo addosso, era stato bello portare un indumento di Leo, anche se fresca di bucato e quindi priva del suo caratteristico odore. Senza fare movimenti bruschi, mi infilai cautamente i vestiti che indossavo quando Leo mi aveva portata lì due sere prima e uscii dalla stanza, con lo stomaco che brontolava dal disperato bisogno di cibo.

Finita la prima rampa di scale, tuttavia, mi trovai a bloccarmi, incredula e sconvolta da ciò che i miei occhi stavano vedendo.

Poco più avanti c’erano mio padre e Lucas, fermi nel bel mezzo del corridoio, intenti a baciarsi appassionatamente.

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